Sanremo: la seconda serata è ricca di conferme. Purtroppo.

La seconda serata si apre con l’ingresso trionfale di Baglioni e Hunziker dalle scale di Hogwarts e una sfilza di  smancerie reciproche. Una volta i siparietti li facevano a spettacolo avviato, adesso li fanno per avviarlo. Baglioni non perde occasione per mostrare quanto fiato ha e si esibisce in un un acuto interminabile quanto inutile, instillando in chi lo ascolta il sospetto che, con tutta l’aria che ha in corpo, sia un pallone gonfiato.

Poi finalmente comincia la gara delle nuove proposte.

Comincia il giovane Lorenzo Baglioni, che canta una canzone dedicata al congiuntivo, rischiando di tirarsi addosso l’ira dei grillini che, come è noto, sono guidati da Di Maio che coi congiuntivi ha un rapporto a dir poco conflittuale. Come inizio è sicuramente meglio della serata iniziale dei cosiddetti big. Una lezione di grammatica ironica, anche nella presentazione. Chissà? Forse stasera mi toccherà essere meno cattivo di ieri. Spero di no, altrimenti che gusto c’è?

Poi c’è Giulia Casieri, che si presenta con le frasi scaramantiche di prammatica: comunque vada sono felice lo stesso! dice.  Un cavolo: in realtà, se la scartano, un piantarello se lo farà di sicuro. Canta “Come stai”. Comincia col mugolio di prammatica, e poi prosegue con un rap. Tanto basta per farmela trovare antipatica. Se tolgo l’audio al televisore mi piace di più, anche se è vestita da paramento a lutto di un catafalco funebre. Comunque è tanto carina, e le daranno sicuramente una promozione al merito, se non musicale, della gnoccaggine.

Favino e Hunziker si scambiano scempiaggini a raffiche; poi introducono un cantante dall’aria sfigata, Mirco e il Cane (non è colpa mia se si chiama così). Un altro rapper, con pretese recitative, che interpreta un pezzo in carattere con la sua aria, “Stiamo tutti bene”. Che c’entra questa cosa col concetto di canzone? Boh! Il pezzo racconta la storia di un bambino su un barcone di migranti. OK, intenzione buona. Ma non è una canzone, comunque. Mi ricorda “Signor tenente” di Faletti, ricordate? Sarà bocciato, perché la ggènte non sopporta i migranti.

La quarta nuova proposta della serata è Alice Caioli, tutta tatuata, e questo, per quanto mi riguarda, non depone a suo favore. Canta “Specchi rotti”. Come i tatuaggi facevano prevedere, il pezzo è un rap, anche se fa finta di essere una canzone. Baglioni (nel senso di Claudio), che il rap l’ha escluso, o quasi, dai big, lo ha ammesso con le nuove proposte. C’è una logica, in questo: il pubblico ggiòvane bisogna pur attirarlo, no?

Io promuovo Lorenzo Baglioni, a dispetto del suo cognome, ma vediamo cosa decide la giuria popolare. Mirco è ultimo, come avevo previsto; la Casieri terza, la Caioli vince. Il mio favorito è secondo. Poteva andare peggio, sapendo con quanta competenza votano le giurie popolari in Italia, sia a Sanremo che in generale, per esempio alle elezioni politiche.

Pubblicità. Tornano il risucchio Suzuki e lamiaclinicadelavelèsa di Valeria Mazza. Sono conferme importanti, in un mondo che di conferme ne offre così poche.

E adesso si passa alla gara dei big, ospiti e siparietti permettendo. L’ordine delle esecuzioni, stasera, è invertito rispetto a ieri, ma fortunatamente si sentiranno solo dieci dei venti pezzi. Intanto le scale – quelle della scenografia, non quelle musicali – imperversano, andando su e giù e avanti e indietro un po’ come i sondaggi del PD.

Favino stasera è più sciolto, e per dimostrarlo si è tolto il papillon e si è slacciato la giacca. Baglioni, invece, lamentando una crisi di identità (dice che fortunatamente Wikipedia ancora lo definisce un cantautore, ma non dice che la pagina di Wikipedia se l’è scritta lui), resta ingessato e abbottonato nella sua giacca due taglie troppo piccola.

Iniziano “Le Vibrazioni”. Bene, così ci leviamo subito il pensiero. “Così sbagliato”, il titolo del pezzo, è emblematico. Guardo il bassista con le gambe nude e lo strumento all’altezza delle ginocchia, e il latte mi scende alle medesime. Quanto alla canzone, il riascolto conferma il giudizio di ieri.

Ermal Meta e il suo partner Moro sono sospesi, perché a quanto pare il pezzo non era inedito. Sogno che si scopra lo stesso anche per le altre 19 canzoni, poi la reltà prende il sopravvento.
Torna infatti Nina Zilli con la sua “Senza appartenere”, con tanto di miagolio iniziale. Senza rendersene conto, mentre sciorina la prima strofa, Zilli muove in modo imbarazzante la sinistra su e giù sull’asta del microfono, che fortunatamente però non reagisce. Il pezzo vorrebbe magnificare lo status di donna, ma non convince. Il pensiero vola a “Quello che le donne non dicono”, e il paragone è inclemente. A suo merito va detto che Zilli è molto elegante e anche tanto caruccia. Ma la canzone non sa né di me né di te.

I siparietti scontati e stiracchiati fra i presentatori si susseguono senza pietà. Purtroppo arrivano pure gli ospiti, e si comincia con “Il volo”; i tre finti tenori si cimentano, ma guarda un po’, in “Nessun dorma”, che saggiamente si dividono in tre perché tutto intero, poverini, non ce la farebbero a cantarlo. Fra l’altro questo brano è talmente inflazionato, s’è sentito così tanto e in così tanti modi che quasi quasi non lo sopporto più nemmeno cantato dai tenori veri. La tragica brevità dell’acuto finale la dice lunga sulla vera portata dei loro mezzi. Oddio, mezzi… non esageriamo: sedicesimi, al massimo. Un tributo a Sergio Endrigo con “Canzone per te” da parte del trio e di Baglioni trasforma quel pezzo meraviglioso in una via di mezzo fra una messa da morto e una cantata da osteria. Povero Endrigo! Si starà rivoltando nella tomba.

Mai ho aspettato con tanta ansia la pubblicità. Viva il pomodoro biologico, il cioccolato “Sfizzero?” “No, Novi”, e gli improbabili esploratori di montagne, deserti e foreste alla guida di SUV che il massimo del brivido lo vivono in realtà sulle circonvallazioni urbane. Signor Conad, ti voglio bene! Farò nascere nel tuo supermercato il mio primo nipotino.

Torna la gara con Diodato e Roy Paci e la loro “Adesso”, e i movimenti scomposti di Diodato mentre Paci si esibisce alla tromba sono a dir poco preoccupanti. Fossi in lui, un’occhiata da un neuropatologo me la farei dare.

Baglioni continua a menarla con il giochino scemo fra “direttore” e “dittatore” artistico, che ha cominciato a usare ieri, e introduce l’ospitata di Pippo Baudo. Ventata di malinconica allegria o se preferite di allegra malinconia, rievocando 50 anni di pippobaudismo. Baudo fa un discorso, rievocando appunto i suoi 14 festival e i tanti personaggi che ha invitato o scoperto. Lo rispetto, ma se non avesse lanciato anche la Pausini e, peggio ancora, la Tatangelo, lo rispetterei di più.

Baglioni gli fa presentare Elio, che si presenta di nuovo in tenuta da marajà insieme alle Storie Tese con la sua “Arrivedorci”. Stasera noto che hanno anche un terzo occhio sulla fronte. Purtroppo Baglioni, Baudo e Hunziker la menano con le rimpatriate, e il brodo si allunga. La canzone, a risentirla, lascia molto amaro in bocca, nonostante il tentativo di essere ironica.

Ancora pubblicità, e poi, come se non bastasse, l’ospitata di Biagio Antonacci, quello che quando è allegro canta il salmo responsoriale del venerdì santo. Canta “Meriti di più” ma pare che dica “Ti ritiri tu?”, e mi viene da rispondergli “Tara tara tà”.

Baglioni gli si affianca portandosi dietro un microfono da canto, il che promette duetto. Purtroppo mantengono. Solito inizio baglionico da controfagotto afono, ma prevedo la consueta ascesa fino ai livelli dello strangolamento, con la frittella che gli imperversa nell’ugola, che puntualmente si verifica. E insiste con quelle note lunghe lunghe da fenomeno di baraccone, che esala con lo sguardo compiaciuto di chi dice “guardate quanto sono bravo”.

La Hunziker ritorna, finito il duetto, e continua a ripetere “mamma mia che emozione, è incredibile, è incredibile”. “È incredibile” lo dice tante volte che mi pare di essere in un documentario di Discovery Channel. Presenta infine Ornella Vanoni con  Bungaro e Pacifico, quello che somiglia a Costantino della Gherardesca; o forse è Bungaro? Boh! I tre ripetono “Imparare ad amarsi”, e io cerco di non guardare la faccia della Vanoni, che poveretta mi fa impressione. Non mi fa invece nessuna impressione il pezzo, che come d’altra parte tutti quelli che ho sentito finora sembra destinato a non lasciare traccia nella mia memoria.

Baglioni torna, dopo la pubblicità, senza la camicia bianca e il farfallino,  ma una camicia scura aperta sul collo; e introduce per il suo siparietto Favino che fa finta di recitare un inedito di Garcia Lorca che in realtà è il testo di “Despacito”, il tormentone della scorsa estate: un rap spagnolo, che poi canta e balla. Capirai! Già mi stanno sugli zebedei quelli americani e quelli inglesi, per non dire di quelli italiani, figurati se mi piace un rap spagnolo.

Ma finalmente finisce, e torna la gara. Purtroppo torna con il redivivo Red Canzian, che ricanta “Ognuno ha il suo racconto”. Il suo è lo stesso da una cinquantina d’anni. Se va bene, questo potrebbe essere l’ultimo; ma lo dico solo per farvi piacere, tanto sappiamo tutti che purtroppo non è vero.

Ancora un ospite. Come aveva detto Baglioni ieri? “Le canzoni sono al centro del festival”. Meno male! figurati se erano spostate di lato. Presentatori e ospiti continuano a scambiarsi vagonate di complimenti; scenda un pietoso velo sul corno scaramantico che Baglioni si è appeso dietro la schiena.

I tre presentatori, insieme, introducono l’ospitata di Sting, che canterà in italiano. Confesso che come Police l’ho sempre detestato, ma negli ultimi anni, quando si è orientato verso il classico, l’ho apprezzato molto di più, in particolare con “If on a winter night”. Stasera, però… Certo che per uno che vive in Italia da decenni, cantare in italiano come lo sta facendo lui lascia un po’ interdetti. Non si capisce niente, è peggio di Terence Hill che fa don Matteo. E poi con l’intervista di Savino dimostra che di italiano non ha imparato niente.

Ovviamente non poteva cantare un pezzo solo, e purtroppo si esibisce duettando con uno che si muove come un rapper, tiene il microfono come un rapper e snocciola la sua filastrocca come un rapper, per giunta in inglese: sospetto che si tratti proprio di un rapper. Sting gli risponde con una melodia che lo riporta allo stile dei Police, e dunque si merita la mia esecrazione. Non gliene frega ovviamente niente, ma io comunque tolgo l’audio al televisore.

Finita l’esibizione di Sting, la penitenza continua con la pubblicità. Il ballerino della Tim debbono pagarlo davvero poco, se dall’anno scorso va ancora in giro con lo stesso vestito. Ma è meglio lui dei finti gemelli di Poltrone&Sofà, che tanto per cambiare annunciano la fine dello sconto di questa settimana. Come se non sapessimo che la prossima ne comincia un altro. E poi sconto su che? Loro fanno i listini, e sui quelli fanno gli sconti: così sono buoni tutti. Un divano mi costa 10, lo voglio vendere a 15, lo metto in listino a 50, e poi prometto lo sconto del 50% più il 40%: voilà, il gioco è fatto.

Ma torniamo a Sanremo. Purtroppo la gara non va avanti: Baglioni si esibisce nella sua maglietta fina, tanto stretta al punto che eccetera e interloquisce con lui (dio, che originalità!) Franca Leusini, la conduttrice di “Un giorno in pretura”, pure lei in avanzato stato di mummificazione. Lui non rinuncia all’acuto finale con frittella incorporata: è più forte di lui. Baglioni e Leusini escono cantando “Ancora”, sia nel senso che purtroppo Baglioni insiste a cantare, sia nel senso del titolo del pezzo. Le scale di Hogwarts scendono di nuovo, e le percorre Hunziker in lungo rosso ultra scollato.

Ron, finalmente, torna per la gara, a ripetere “Almeno pensami”, il pezzo che Lucio Dalla aveva preferito non cantare, e la cosa ha un suo perché. Cito: “Senza lei io morirei, ma chiudo gli occhi e so sempre dove sei”. Versi che, se li avessi scritti io, non li leggerei certo in pubblico. Anzi, mi sa che non li leggerei manco in privato.

Comincio a sbadigliare. Renzo Rubino torna a cantare “Custodire”, il pezzo che ieri ho giudicato il peggiore della rassegna. Confermo il giudizio con l’aggravante dell’abbigliamento del cantante, che stasera mi fa pensare ai tempi lontani in cui la RAI faceva le prove tecniche di trasmissione a colori PAL e poi SECAM. Per vestirsi così male bisogna avere un talento particolare.

Se ne va, infine, e invece dell’ultimo pezzo, quello di Ruggeri, c’è un’altra infornata di pubblicità. Comincio ad avere le visioni, anzi le eurovisioni. Mi sembra di vedere Julia Roberts in bianco… ah, è proprio lei, con quel sorriso tanto largo da farle concorrenza al retrotreno, che pubblicizza un profumo. Carlo Cracco è di nuovo in bagno. Visto che ci va così spesso, mi chiedo se la moglie ha mai visto la pubblicità del Prostamol. Potrebbe aiutarlo.

E Baglioni torna a ospitare i tre del Volo esibendosi con loro. Ma al centro del festival non ci dovevano essere le canzoni in gara? La domanda è ovviamente retorica: le canzoni in gara sono episodi accidentali in un mare di melassa punteggiata da ospiti e illuminata dalle luci di pessimo gusto della scenografia. Il Volo stavolta non mi dispiace, sono disinvolti e a proprio agio. Poi mi ricordo di aver tolto l’audio al televisore.

Lo sguardo mi cade sul direttore d’orchestra, che si agita a vanvera a una cinquantina di metri di distanza dall’orchestrale più vicino. Non so se ci avete fatto caso, ma tutti gli orchestrali hanno gli auricolari nelle orecchie: questo significa che il tempo glielo dà un sistema elettronico, e il direttore è un simpatico e inutile elemento coreografico.

Hunziker ha le tette trattenute a stento dalla scollatura, ed ho il sospetto che ci abbia fatto mettere dentro qualche integratore (nelle tette, non nella scollatura), perché così dure, in natura, ce le ha solo la Venere di Milo.

Presenta Annalisa, che stasera è vestita da guerriera ninja. Beh, almeno non le si vedono i tatuaggi. “Il mondo prima di te” si conferma degna di fare da colonna sonora a “L’uomo senza qualità”, il romanzo di Robert Musil, a causa delle stringenti affinità elettive: è una canzone, appunto, senza qualità (non resisto, di tanto in tanto, alla tentazione di esibire la mia enciclopedica cultura letteraria).

Finalmente, ultimi in gara stasera, tocca ai Decibel, il gruppo di Enrico Ruggeri, con “Lettera dal Duca”. Confermo il mio giudizio positivo sul pezzo, almeno rispetto alla qualità degli altri nove della serata.

Prima della classifica, ospitata di Roberto Vecchioni con “Samarcanda”, una canzone che paragonata a una qualunque di quelle in concorso, è a un paio di galassie di distanza. Peccato che Baglioni la inquini cantandola pure lui in duetto con Vecchioni e sbagliando pure qualche armonizzazione. Bella l’osservazione di Vecchioni sulla scarsa importanza di sentirsi chiamare poeti quando si scrivono canzoni belle come “Caruso”, “La donna cannone” o “La guerra di Piero”.

Forse è la volta buona che finalmente danno la classifica. E invece no, c’è un’altra infornata di pubblicità e poi c’è un’altra infornata di scambi di complimenti fra i presentatori, e un’ospitata del mago Forest. Forest mi è simpatico, ed è sicuramente il momento più originale e divertente della serata, ma in tutta onestà non ne posso più.

E arriva finalmente la classifica della sala stampa: come ieri col voto popolare, i risultati sono ripartiti in tre gruppi: in alto i più votati, in mezzo quelli così-così, in basso i meno votati. Zilli è in basso; Le Vibrazioni in mezzo, Diodato e Paci, inspiegabilmente, in alto; Elio in basso, Vanoni in alto, Canzian in basso (io ghigno), Annalisa in mezzo, i Decibel in mezzo (ricuperano rispetto a ieri), Rubino in fondo (ih, ih), Ron in alto (ovvio, è il giudizio della sala stampa).

E dopo una maratona come questa, mentre spengo il televisore mi viene l’ispirazione poetica e chiudo, prima di andare a letto, con dei versi altissimi: Ninna-o, ninna-o, che pazienza che ce vo’.

Giuseppe Riccardo Festa

P.S.: non vale la pena di annoiare i miei ventiquattro lettori con la cronaca delle due prossime serate, tanto rischierei di scrivere altre due volte lo stesso articolo. Ci ritroviamo per la serata finale.

 

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