
A Tutti gli amici e amiche che ormai mi seguono da alcuni anni su cariatiNet.it ho deciso in piena sintonia con la direzione editoriale del sito, o meglio con l’amico Cataldo Formaro, di dedicare un piccolo spazio dove postare periodicamente pensieri e considerazioni in libertà.
Un luogo tutto mio attraverso il quale mi piacerebbe avviare una interazione con Voi tutti, affinché diventi un momento di confronto allo scopo di alimentare principalmente i buoni sentimenti, ma anche il buon vivere civile in una società che fa ancora tanta fatica a guardare all’interesse generale.
Il sogno é che possiate interagire con chi scrive in modo attento e appassionato, felici di ritrovarVi per occasioni belle e significative. Certo a volte sarò un po’ malinconico, altre volte nostalgico, ma anche gioioso e sorridente pronto a cogliere gli spunti positivi che arrivano dalla società in cui viviamo. Solo il tempo ci dirà a cosa andremo incontro.
Come in tutti i rituali mi farà piacere sapere con il trascorre dei mesi cosa pensiate di questo debutto che, senza dubbio, mi metterà maggiormente a nudo, anche se contento di ricevere le Vostre sempre bene accolte impressioni.
Vengo al dunque. Ho scelto per l’avvio di S – Campoli di Vita – il nome dello spazio l’ha scelto di Direttore – una nota che sono riuscito a scrivere a fatica dopo molto tempo. La stessa mi ha permesso di guardarmi interiormente per capire la genesi della mia passione per la scrittura.
Non mi resta che augurarVi una buona lettura non volendo abusare ulteriormente del Vostro tempo, per giunta prezioso. Felice Vita.
Nicola Campoli
Perché scrivo?! Per una mancanza
Dopo tanto scrivere una domanda è d’obbligo. Nasce pressoché spontanea. A parte che in fondo sono molte le persone che me ne chiedono il motivo. Chi in modo più esplicito, chi meno. Ma questo fa parte della varietà del nostro universo.
Cosa mi sospinge a farlo? C’è in me una ragione prevalente che mi porta al quasi incontrastato esercizio quotidiano? Non nascondo che l’interrogativo nel tempo ha iniziato a sortire in chi scrive qualche indefinito dubbio. Naturalmente nulla di problematico.
Perché scrivo così tanto? E’ presto detto. La mia non è di sicuro una moda. O eventualmente una forma di protagonismo personale. Lungi da me neanche solo pensarlo!
Giammai una malattia? No. Sono altre le malattie e chi ne soffre. Tra queste poteva rientrare – e non ne conoscevo il rischio sino a poco tempo addietro – di passare per un grafomane. Cioè “chi soffre di grafomania; chi scrive troppo”, così recita treccani.it. Quindi?
Se dovessi soffermarmi sulle sensazioni datate agli ultimi anni potrei tranquillamente sottolineare che scrivere è un viatico alla vita noiosa e alla società incattivita con cui facciamo ciascuno di noi i conti tutti i giorni. Un modo anche ora naturale per dare voce ai sentimenti, passioni, emozioni, ingiustizie e criticità che affrontiamo a fatica nel nostro quotidiano.
Passerei, se fosse così, per il solito sognatore o povero illuso. E non è certo la cosa che mi fa più piacere. Sono dovuto andare molto al ritroso nella mia vita privata per “afferrare” il vero motivo. “Acchiappare” il “pozzo” della ingarbugliata vicenda. Scavare in profondità, arrivando a una ragione forte, chiara e spendibile.
Sarà stata pure una sola coincidenza, ma cosa mi ha illuminato all’improvviso sul vero motivo: è stato un momento di dialogo appassionato e intenso con una cara amica di cui per riservatezza non svelo il nome. Al suo cospetto, davanti ai fatti, ho capito cosa è scattato nel mio inconscio.
In un certo senso, o meglio in un solo senso, si potrebbe dire che scrivo per “lasciare” una parte di me a chi verrà dopo. Una forma tangibile del mio pensiero, del mio modo di dire, fare e agire. E fin qui potrebbe apparire tutto, ahimè, troppo scontato e generalista. Effettivamente semplice.
Bensì, c’è una piccola aggiunta che “centra” letteralmente la questione. L’affonda senza dargli più alibi come in un intricato delitto d’amore! Riavvolgendo il nastro della vita: scrivo, giacché, ho una forte e sempre infiammata mancanza. L’assenza di una paternità vissuta e sentita sulla propria pelle nel quotidiano. Percepita in tutto e per tutto.
La carenza di un affetto significativo che non ho stretto a me in modo materiale nel ricordo di un abbraccio o di un’altra forma concreta che mi riporta a quella persona. Ed è, perciò, quell’assenza che ha bussato con discrezione – chiedendo permesso (!) – al mio cuore e che mi ha portato al sussulto della scrittura, come un’onda irrefrenabile si abbatte sulla banchina di un porto.
La stessa si è trasformata inconsapevolmente più avanti in un’oscura e personale paura di non lasciare alcuna testimonianza a chi verrà dopo. Un buio che voglio, per quanto posso, tinteggiare oggi di un colore vivo e forte, perché nessuno affronti il mio stesso male.
Il resto poi non conta, se non l’inesauribile fonte d’ispirazione che offrono le infinite possibilità di frammenti della vita che mi aiutano a occupare uno spazio immensamente vuoto.
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