di Marco Toccafondi Barni
– Chi di apparato ferisce di apparato perisce. La decapitazione del gruppo Wagner, con la morte di Evgenij Prigozin e del suo sodale Dmitrij Utkin, quest’ultimo fondatore della milizia e lui sí un vero nazista, mostra un piccolo positivo passo per il mondo, ma nel contempo un grande problema per l’Ucraina: il suo probabile futuro abbandono. Proprio nella giornata dell’indipendenza.
– Corsi e ricorsi – E ‘ la storia, bellezza. Giá, quando uno stato si ristruttura e dunque sceglie una direzione da prendere non vuole attorno gente che rompe le scatole. Figuriamoci se trattasi di un impero, pur messo male come quello russo. Gli esempi storici non mancano, anzi si sprecano, forse quello piú noto risale all’ estate del 1934. E’ il 30 giugno di quell’anno fatidico quando Adolf Hitler, pistola in mano e passo deciso quasi alla pari di un gangster qualsiasi, si reca a regolare i conti con il suo grande ex amico Ernst Rohm e le sue S.A. , ovviamente su ordine della Wehrmacht, l’ esercito tedesco. In scala ridotta, certo, tuttavia in questi ultimi mesi é successa la stessa cosa in Russia: gli apparati statali della Federazione hanno intimato a Putin e ai vertici del Cremlino di mettere la parola fine e una volta per tutte a quella fase eversiva battezzata col nome del compositore piú amato da Hitler e successivamente assorbirle, proprio come accadde con le S.A. Nulla di nuovo quindi sotto il sole della storia: apparati statali vincenti, poiché in fondo maggioritari dentro il sentimento medio di una collettivitá, fanno pulizia di chiunque si metta di traverso.
Nessuna ripercussione sulla guerra in Ucraina e apparati amici/nemici– Come detto e al di lá del tifo ridicolo e patetico in Occidente questi morti, un vero e proprio azzeramento degli ormai celeberrimi mercenari al seguito del cosiddetto “cuoco di Putin”, non avranno alcun serio impatto sull’ esito del conflitto tra Russia e Ucraina. Questo perché gran parte del gruppo era giá stato ampiamente ricondotto all’ovile nelle settimane successive al “mezzo golpe” del 24 giugno scorso dove, in una specie di realtá distopica, l’ Occidente quasi tifó per il risibile tentativo di sopravvivenza da parte di Prigozin e dei suoi. Ma c’é di piú, infatti questa morte é stata senza alcun dubbio avvallata anche dagli apparati statali Usa. Fin da quel sabato di fine giugno, infatti, quando Prigozin minacció di marciare su Mosca il poliziotto cattivo, Dmitrij Medvedev, si affrettó ad avvertire Washington: “Non é un bene per il mondo che 6.000 testate nucleari finiscano in mano a dei pazzi fanatici”. Quella frase, pronunciata non a caso dal fu presidente ed eterno braccio destro di Vladimir Putin in persona, mise praticamente sotto choc gli statunitensi, che si videro messi dinanzi all’incubo piú terribile: paradossalmente doversi occupare dello sfacelo russo. Nei fatti il paese piú esteso del globo terrestre. Situazione densa di enormi rischi, per usare un eufemismo, quali una guerra civile potenzialmente deleteria non solo per la Federazione Russa, ma per il mondo intero. Stati Uniti compresi. Lo scenario catastrofico di un territorio cosí elefantiaco (oltre 17 milioni di Kmq) dilaniato da una lotta tra bande o tribú spesso criminali e dotate di armi atomiche; inoltre percorso da decine di divisioni etniche. Insomma, un compito arduo e probabilmente impossibile e impensabile persino per la potenza egemone piú notevole della storia umana. E allora la scelta celata agli occhi del mondo, ma dentro gli apparati a stelle e strisce compresa a chiare lettere: meglio impedire quel che vogliono polacchi, baltici e ovviamente ucraini (farla finita con la Russia una volta per tutte) e accompagnare Putin in persona verso un’ uscita degna e soprattutto tipica di un uomo degli apparati, nel contempo cominciare a guardare piano piano ad una nuova Russia alla quale aprire in chiave anti cinese.
La morte di Prigozin e del suo intero gruppo dirigente e la conseguente fine della Wagner (a proposito di denafizicare) é il primo passo verso questo nuovo ordine.
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