Pio e Amedeo fanno satira? Il dubbio è legittimo.

Due comici, Pio e Amedeo, sono assurti agli onori della cronaca, durante un programma televisivo, affermando di avere il diritto di usare i termini, che hanno definito “politicamente scorretti”, coi quali di solito i poveri di spirito, di cultura, di educazione e di intelligenza apostrofano chi, diversamente da loro, non è nato bianco, cattolico, privo di difetti fisici evidenti e soprattutto eterosessuale.

I due hanno dichiarato che, facendo satira, essi non ne vogliono sapere di risparmiare a costoro appellativi quali “negro”, “frocio”, “checca”, “finocchio”, “culattone” e, presumo, “storpio”, “mongoloide” e via così, con termini che secondo loro non sono offensivi in sé ma lo sono soltanto se chi li usa ha intenzione di offendere.

Debbo allora immaginare che, se io definissi loro “fascistoidi imbecilli”, ma precisando che non intendo offenderli, Pio e Amedeo accoglierebbero l’epiteto con una risata ed elargendomi un’affettuosa pacca sulla spalla? Ne dubito.

Intanto va fatta una precisazione: sono troppi gli abituali ospiti di programmi come “Zelig” che si autodefiniscono umoristi e satirici solo per il fatto che strappano al pubblico facili risate ricorrendo alla volgarità e al turpiloquio.

Tanto per cominciare la satira, fin dai tempi di Aristofane (certamente Pio e Amedeo sono cultori del teatro Greco, o no?), passando per la statua di Pasquino e arrivando a Petrolini, fino ai fratelli Guzzanti e al compianto Gigi Proietti, è tale se, senza bisogno di ricorrere alla volgarità, intende graffiare e castigare i detentori del potere: non si fa satira se, come nei mai abbastanza vituperati film di cassetta di Lino Banfi (oggi osannato manco fosse Laurence Oliver) o negli inverecondi cinepanettoni di De Sica e Boldi, si fanno crasse allusioni allo stereotipo dell’omosessuale effeminato e ridicolo.

E non si fa satira nemmeno se, riempiendo un monologo di parolacce, si racconta un episodio della vita familiare di un povero disgraziato. La satira, come l’umorismo, è una cosa seria e richiede stile, eleganza, cultura, profondità, conoscenza di causa e soprattutto, lo ripeto, intelligenza.

Inoltre i termini che i sedicenti comici Pio e Amedeo ritengono innocenti, perché a loro dire sono offensivi solo se offensiva è l’intenzione di chi li usa, non sono e non sono mai stati innocenti, perché è proprio per offendere, insultare, denigrare, ridicolizzare e avvilire che sono nati: sono stati inventati apposta.

È indubbiamente vero che la corsa al “politicamente corretto” sta raggiungendo limiti di straordinaria stupidità come dimostra la polemica, non so quanto strumentale, sul bacio del principe azzurro a Biancaneve o quella sui corvi del film Dumbo; ma altro è cercare il pelo nell’uovo, come in questi casi, altro è, nell’uovo, infilarci un’intera pelliccia come fanno Pio e Amedeo.

Ho il sospetto che in realtà i due, dovendo rinunciare a quella terminologia e alla sua feroce volgarità, temano di vedersi privare degli strumenti fondamentali della loro comicità che, per far ridere, proprio di ferocia e di volgarità ha bisogno.

D’intelligenza no, stando alle loro dichiarazioni, perché rebus sic stantibus, è evidente, quella non è che un inutile optional: sia per loro, sia per il loro pubblico.

Giuseppe Riccardo Festa

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