Essere o non essere? si chiedeva lo shakespeariano Amleto. Avere o essere? si chiedeva il sociologo Erich Fromm. Quesiti fondamentali, che investono il più intimo sentire di ciascuno.
Oggi, qui in Italia, cè qualcun altro che si pone un quesito, non meno pressante e doloroso. E il quesito è: Essere o sembrare?
A porsi il quesito è il Partito Democratico, diviso fra gli slogan, le scenografie, le battute folgoranti di Matteo Renzi, molto orientato sul sembrare – e non solo sembrare di sinistra: sembrare e basta – e quel che resta della sinistra del partito, con i Cuperlo, i Bersani, le Bindi e i Civati divisi fra la disciplina di partito e una gran voglia di andarsene sbattendo la porta.
Matteo Renzi è un bravissimo comunicatore, questo è evidente. A sentirlo dà l’impressione d’avere in tasca tutte le soluzioni, di tutti i problemi, e che se solo gli se ne dà il tempo quelle soluzioni le attuerà. Tutti saremo felici, con un lavoro sicuro e con uno stipendio dignitoso; le scuole funzioneranno perfettamente, gli insegnanti saranno ben pagati, la sanità sarà efficiente ed efficace.
E non basta: sarà due volte Natale, e festa tutto l’anno; anche i muti potranno cantare, mentre i sordi già lo fanno.
Qualche dubbio, sulle magnifiche sorti e progressive che Renzi promette, nasce legittimo quando si vede che, alla fin fine, le soluzioni che va attuando sanno molto poco di sinistra e molto di déjà vu: tagli ai finanziamenti agli enti locali, blocco dei contratti ai dipendenti pubblici, vita più facile a chi vuole licenziare i dipendenti, addirittura un ennesimo condono fiscale per i soliti esportatori di valuta.
Niente, per esempio, sull’eventualità di far finalmente pagare l’IMU alla Chiesa cattolica sul suo enorme patrimonio immobiliare, per la parte non destinata al culto; niente su una tassazione adeguata (ossia spietata) dei profitti delle società che gestiscono il gioco d’azzardo; e solo vaghe assicurazioni - sempre quelle, sempre le solite - sulla lotta all’evasione fiscale.
Mentre alla Leopolda fra slide, ammiccamenti, battute e improbabili paragoni con Steve Jobs i sei o settemila presenti si sorridono, si celebrano addosso, si dicono quanto siamo bravi e quanto siamo belli, e qualcuno arriva a proporre di abolire il diritto di sciopero (per ora, bontà sua, solo ai dipendenti pubblici), un milione o giù di lì di persone, a Roma, manifesta la sua preoccupazione per un futuro al quale Renzi dice di voler dare un nome, ma per loro nomi già ne ha diversi: precariato, disoccupazione, basso salario, incertezza.
Matteo Renzi è molto bravo nel sembrare, un’arte che ha ben appreso dall’ormai in disarmo (checché ne pensi l’interessato) Silvio Berlusconi, uno che di essere non si è mai preoccupato più di tanto.Il dubbio, già latente, che in quest’arte l’allievo possa superare il maestro, comincia a farsi inquietante.
Speriamo di sbagliarci .
Giuseppe Riccardo Festa
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