M5S: nato per mancanza di politica, muore per lo stesso motivo.

In buona sostanza: c’è una guerra in corso sulla porta dell’Europa, c’è una crisi energetica in atto, c’è una crisi idrica che ci sta trasformando in una succursale del Sahara, c’è una carenza di materie prime dovuta alla guerra che provoca un’ondata inflazionistica mai vista da decenni, bisogna mantenere gli impegni assunti per incassare i miliardi promessi dall’Europa, ma per Giuseppe Conte e i suoi presunti seguaci (è difficile, in effetti, stabilire chi sia a guidare, in quella compagine, e chi invece è guidato), notoriamente indecisi a tutto pur di salvare quel che resta del loro partito, il problema dell’Italia è che il governo non ha messo il suo timbro sulle richieste che essi hanno avanzato, una lista di buone e pie intenzioni degne di una candidata al concorso di Miss Italia (sulla falsariga del classico voglio la pace nel mondo, voglio che tutti siano felici, voglio che tutti si vogliano bene), e perciò sfiduciano Mario Draghi, e con lui Sergio Mattarella, per la gioia di un tale Di Battista (che non rappresenta nessuno ma misteriosamente tutti interpellano; intanto stiamo aspettando che pubblichi il libro su Bibbiano), di Danilo Toninelli e di qualche manciata di duri e puri grillini della prima ora che, contenti loro contenti tutti, si appresta a diventare anche l’ultima.

Chi non ricorda i proclami del grillismo vincente? “Mai alleanze con nessuno”; “Mai in televisione”; “Tutto in diretta streaming”; “Uno vale uno”? Tra defezioni, giravolte, cambi di direzione, precisazioni e correzioni di rotta, mentre il consenso si liquefaceva (e chi scrive l’aveva previsto in tempi non sospetti), il grillismo, guarda un po’, ha finito per confermare di non essere che un partito come gli altri, guidato da italiani medi (per non dire mediocri) avidi e ambiziosi come tanti altri, destinato a dimostrare di non essere che un fuoco di paglia come tanti altri movimenti populisti, durati più o meno a lungo ma alla fine, vuoi per noia, vuoi per rabbia, vuoi per tardiva presa di coscienza, scomparsi o brutalmente ridimensionati dagli elettori.

“Appoggiamo il governo ma non votiamo la fiducia al senato” (dopo averla votata, però, alla Camera): nemmeno il più doroteo dei democristiani di una volta sarebbe stato capace di enunciare una simile contraddizione in termini, una roba che al confronto affermazioni come “Fratelli d’Italia non piace ai neofascisti” e “Matteo Salvini è sincero nel suo amore per il Sud d’Italia”, o peggio ancora “Matteo Salvini ha rimosso le accise dal prezzo dei carburanti”, suonano come incontestabili verità.

In tutto questo, rimbomba fragoroso il silenzio del garante che non garantisce ma (finché dura) si è garantito un introito di 300.000 (diconsi trecentomila) euro annui dal partito che ha fondato a suon di “vaffaday” con l’intento di aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno.

Beh, in effetti lui e i suoi l’hanno aperta, la scatoletta.

E se la sono pure mangiata tutta.

Giuseppe Riccardo Festa

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