
Siamo arrivati a Pasqua. Un altro anno è passato. Triste e difficile. Complicato, ma sicuramente unico nel suo genere.
Per il secondo anno consecutivo ho dovuto rinunciare alla mia abituale vacanza pasquale a Cariati, per via della pandemia.
Vorrei tanto sbriciolare il mio forte sentimento di malinconia, ma confesso che non è facile.
La lontananza in fondo alimenta la tristezza. C’è poco da fare se non resistere, sperando in tempi migliori.
Le mie stesse sensazioni le stanno vivendo all’unisono tante altre persone, legate a Cariati e che vogliono bene al Paese.
La paura è ancora tanta. Aumentata in questi ultimi giorni per le preoccupanti notizie circa il numero di contagi, che arrivano da Cariati.
C’è ancora tanto da soffrire e affrontare. Stiamo fronteggiando per quanto possibile una grave e diffusa epidemia.
Ma abbiamo davanti a noi una sfida storica e l’opportunità di ripensare quello che vogliamo essere e costruire.
Purtroppo per le notizie che arrivano da Cariati rilevo una comunità silente, statica, immobile e piuttosto ripiegata su stessa.
Non riscontro le reazioni giuste e necessarie. Non emerge il segno distintivo di una comunità che dovrebbe nutrirsi al contrario di creatività e di confronto, sviluppando e alimentando un dialogo proficuo tra le persone e nelle relazioni tra di esse.
Servono segnali positivi destinati a perpetuarsi nel tempo, in termini di capacità di iniziativa, di mobilitazione di risorse, di forze, di crescita della società.
Da lontano non posso che augurare una serena Pasqua in famiglia e tanta attenzione, affinché si rispettino le regole imposte dal momento per frenare il dilagante contagio che sembra non arrestarsi.
Nicola Campoli
foto di Caterina Filareti
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