LA RIVOLTA DEGLI ELEFANTI

FINO A QUANDO ABUSEREMO DELLA LORO PAZIENZA?

Che gli uomini si comportino come le bestie è cosa vecchia come il cucco, ma che le bestie si comportino come gli uomini è una novità inquietante, per dirla col linguaggio della rete che riferisce di un sit-in eseguito da un branco di elefanti su una ferrovia indiana.
Al sit-in degli umani siamo abituati: che un gruppo di dimostranti occupi i binari è una cosa tollerata dalle migliori questure, anche perché non è ancora stato stabilito il limite che, in queste faccende, fa da spartiacque tra codice penale e diritto sindacale.
Chiariamo: se un disoccupato, da solo, si siede in mezzo ai binari, viene portato via a forza e denunciato per interruzione di pubblico servizio. Se sono quattro o cinque, occorrerà un po’ di tempo per convincerli, ma alla fine se ne andranno lasciando libero il passaggio dei convogli. Ma se sono alcune centinaia, la cosa cambia aspetto, perché diventa azione sindacale, protesta collettiva, e in tal caso non si rischia la prigione, ma una candidatura alle prossime elezioni.
Dubbio: qual è il numero minimo di partecipanti necessario perché un reato sia elevato a dignità di istanza sociale?
Ma torniamo in India, dove un branco di elefanti, infuriati per la morte di un elefantino travolto da un treno, ha occupato, per un’intera giornata, la linea ferroviaria Mettupaluyan-Ottocamud, nello Stato di Tamil Nadu. Avendo udito, mentre erano nella vicina foresta, i barriti del cucciolo, erano accorsi, e inutile fu ogni tentativo di far sloggiare i pachidermi che, piantonando il piccolo oramai privo di vita, forse intendevano protestare contro il macchinista e la sua fatale disattenzione.
È noto infatti che nell’ambiente della giungla l’uccisione di un cucciolo d’elefante suscita più costernazione che tra la mafia la soppressione di un cucciolo d’uomo.
Soltanto a tarda sera i bestioni girarono le terga per tornare nella foresta.
L’episodio è commovente per la motivazione ma pericoloso per i possibili sviluppi.
Se gli animali cominciano a copiare usi e malcostumi degli uomini, siamo fritti. Perché essi, essendo guidati dall’innocenza dell’istinto, sono più leali, più affidabili, più prevedibili di noi.
Il cane da guardia non si comporta come certi metronotte corrotti che fanno il palo mentre i loro compari svaligiano banche e gioiellerie. Nossignore. Il cane non fa da palo a nessuno: preferisce lasciarsi uccidere dai bocconi avvelenati. Se fosse un uomo, si arruolerebbe nei carabinieri.
Quando muore il padrone, il cane corre a gemere sulla sua tomba, a differenza di tante vedove che diventano improvvisamente bionde per il dolore.
L’oca ci dona il suo fegato delizioso e noi la ricompensiamo paragonandola a Valeria Marini: dovremmo vergognarci.
Il nostro sbandierato amore per gli animali non è disinteressato come sembra: c’è in esso un fondo di egoismo, perché amiamo quelli belli ed utili (cavallo, cane, gatto); gli inutili ma belli (canarino, farfalla, pesce rosso); i brutti ma utili (maiale, scorfano) e respingiamo, disgustati, zanzare, scarafaggi e ratti.
La tecnologia ha forzato la zoologia, anticipando mediante gli estrogeni l’adolescenza dei vitelli, che avrebbero preferito un’infanzia più lunga accanto alla calda tetta materna.
Il pittoresco pollaio dominato dal gallo sultano è stato sostituito da chilometrici capannoni dove migliaia di galline militarizzate fanno le uova a comando.
Ma non è finita: abbiamo inquinato mari e fiumi; distrutto montagne; incendiato boschi; cementificato spiagge, come se il pianeta fosse solo degli umani: quanto durerà la rassegnazione degli animali?
Non vorremmo che il sit-in degli elefanti indiani fosse il segnale della rivolta e un brutto giorno le mucche da latte pretendessero la settimana corta e conigli e polli, carne alternativa su cui puntare in periodi di terribile crisi, praticassero l’assenteismo dandosi malati.

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