La Letterina di Natale

Era proprio quell'immutabile modello che avrei evitato volentieri, in cambio di un sempre agognato sollievo

In occasione del pranzo di Natale c’era un’abitudine familiare, i cui protagonisti erano i bambini, che si é persa negli anni.

Un segno inequivocabile di una società che lentamente ha modificato le sue tradizioni. Non so a chi imputare le colpe, ma ricordo quel momento, per un dolore del tutto personale, con un senso di turbamento.

Mi riferisco alla letterina di Natale indirizzata ai genitori, che era tutt’altra cosa dalla recita della tradizionale poesia che avveniva al termine del pranzo il giorno del 25 dicembre.

Ammetto di aver sempre vissuto il rito con una profonda angoscia. La quale solo crescendo si é affievolita. La preparazione che avveniva a scuola, nei giorni che precedevano le festività, non mi arrecava l’identica gioia che, invece, coinvolgeva i miei compagni di classe. I quali non vedevano l’ora che iniziasse.

Per essi era naturale seguire gli indirizzi dettati dalla maestra in aula, circa la copia della letterina con l’avvio del classico: “Caro Papà”.

Era proprio quell’immutabile modello che avrei evitato volentieri, in cambio di un sempre agognato sollievo. Non so quanto avrei dato per non affrontare la stancante sofferenza, che arrivava sino al punto di irritarmi.

Era una drammatica finzione che con gli anni non riuscivo più a replicare. Non sapevo come affrontarla. Come liberarmene. Non avevo il coraggio di non assecondare quella imposizione, pure avendone tutte le ragioni.

Non avevo la consapevolezza di chi mi potesse aiutare. Non mi spiegavo perché non ci fosse nessuno del mondo dei grandi a comprendere l’innaturalezza del gesto e a liberarmi dal peso.

Scrivere “Caro Papá” e cancellarlo, con la paziente complicità di mia sorella, prima di mettere la lettera sotto al piatto di mio zio Alfonso, era qualcosa che nel tempo mi pesava come un macigno. La ritenevo un’ingiustizia e rappresentava in me una forte inquietudine. Una ferita insanabile di cui avrei fatto volentieri a meno.

Inevitabilmente ho subito e nulla mai é successo.

A distanza di tempo, immagino che forse la modernizzazione della società, l’annientamento della tradizione, laddove fosse avvenuta all’epoca, avrebbe di certo alleviato il mio dolore e risollevato l’umore per un tragico destino che mi aveva segnato.

 

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