IL VOLTO UMANO DELLA SANITÀ DEL FUTURO

In Calabria nasce un nuovo modello di assistenza: infermieri di famiglia e tecnologie digitali per una sanità più vicina, concreta e solidale

Antonio Loiacono

C’è un filo nuovo che prova a ricucire la distanza tra le corsie degli ospedali e le case delle persone. È sottile ma resistente, fatto di presenza, ascolto e tecnologia. È la trama su cui l’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza sta costruendo una sanità diversa, più radicata nei paesi, più attenta a chi resta ai margini.

Al centro di questa trasformazione c’è una figura che fino a pochi anni fa non esisteva: l’infermiere di famiglia e di comunità. Non più soltanto un professionista sanitario, ma un punto di riferimento costante, un mediatore di fiducia tra il cittadino e il sistema. È lui o lei a entrare nelle case, a monitorare le condizioni dei pazienti cronici, a prevenire invece che curare, a restituire continuità a un sistema che troppo spesso si interrompe nei passaggi tra un reparto e l’altro.

«La nostra scommessa – spiegano dall’Azienda sanitaria – è portare la cura dove nasce il bisogno. La formazione degli infermieri di comunità e l’attivazione degli ambulatori virtuali rappresentano il cuore di questa visione: un modello capace di unire prossimità e innovazione, presenza fisica e telemedicina».

Un progetto, questo, che ha trovato un nuovo impulso all’Università della Calabria, durante la cerimonia di apertura del Master di I livello in Infermieristica di Famiglia e di Comunità (Tecnologie Digitali). Nelle aule del campus di Arcavacata si sono ritrovati novantadue infermieri provenienti da ogni parte della regione: novantadue storie, novantadue percorsi professionali che si incrociano nel segno di una stessa idea — costruire una rete di assistenza che non lasci indietro nessuno.

Il percorso formativo, promosso dal Dipartimento di Farmacia, Scienze della Salute e della Nutrizione, prepara figure capaci di muoversi con naturalezza tra la relazione diretta e le nuove tecnologie, tra il gesto umano e l’algoritmo. L’obiettivo è chiaro: ridurre le disuguaglianze territoriali e restituire al servizio pubblico la sua missione originaria — quella di essere davvero per tutti.

Nelle intenzioni dei promotori, l’infermiere di famiglia sarà il volto quotidiano della sanità di prossimità. Un professionista che conosce il nome dei pazienti, i loro quartieri, le abitudini e le fragilità, e che può intervenire tempestivamente anche grazie al monitoraggio a distanza. Una presenza silenziosa ma costante, capace di tradurre in pratica quella parola spesso abusata: “cura”.

«La collaborazione tra l’Asp e l’ateneo di Arcavacata – sottolineano ancora – segna un passo avanti decisivo verso una sanità che unisce competenza e umanità, digitale e relazione». È un’alleanza che guarda al futuro ma parte dalle persone, e che restituisce valore alla prossimità: quella vera, fatta di sguardi, di tempo condiviso, di responsabilità reciproca.

Forse la rivoluzione della sanità non comincerà da un grande piano nazionale, ma da una porta che si apre e da un infermiere che entra, chiedendo con naturalezza: “Come si sente oggi?”. È in quel gesto semplice — così antico e così moderno — che la cura ritrova il suo significato più profondo: non un servizio, ma una presenza.

 

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