IL SALE DELLA VITA

Nessuno di noi fatica a credere che l’acqua costituisce un bene di primissima necessità e che è indissolubilmente legata alla storia dell’uomo e allo sviluppo delle più importanti civiltà. Sulle sponde di fiumi come il Tigri e l’Eufrate, del Nilo, del Giordano, e dello stesso Tevere sono fiorite civiltà antiche che hanno dato una forte spinta al progresso dell’uomo, verso le quali noi tutti siamo debitori, e che rappresentano l’orgoglio dei propri discendenti, più o meno diretti. Ricordo con quanta insistenza il mio insegnante di storia sottolineasse l’importanza del fertilissimo limo che, in occasione delle piene, il fiume Nilo rilasciava sulle sponde del suo millenario corso, e di come esso consentisse, insieme a condizioni climatiche ideali, raccolti ricchissimi più volte all’anno. Sulle sponde del Tigri e dell’Eufrate si sono sviluppate le civiltà degli Assiri e dei Babilonesi, e 21 secoli prima di Cristo il re Hammurabi compilò, insieme ai suoi giuristi, il famoso Codice che porta il suo nome che rappresenta una testimonianza unica dell’antichità, di valore inestimabile per il formidabile contributo dato alla comprensione di questa civiltà al culmine del suo splendore. Sulle rive del fiume Tevere è poi sorta Roma e l’Impero Romano, e ai suoi esordi sull’isola Tiberina in mezzo al Tevere si trovava il Tempio di Esculapio, dio della Medicina, la cui costruzione in onore della divinità ebbe un ruolo fondamentale, secondo la leggenda, nella conclusione di una terribile epidemia di peste. Il possesso dei corsi d’acqua, come è facile immaginare, è stato causa dall’antichità ai tempi moderni di conflitti a volte anche sanguinosi, ed è probabile che in un futuro più o meno prossimo, a causa della esplosione demografica, del riscaldamento globale del pianeta e della politica prevaricatrice di qualche nazione su qualche altra, l’acqua sarà causa di tensioni e scontri tra diverse popolazioni. Esistono dei rapporti delle Nazioni Unite, e studi ad hoc commissionati dalla superpotenza americana che individuano in un futuro non troppo lontano il rischio di guerre tra stati i cui territori son bagnati dal Nilo, dai fiumi Tigri ed Eufrate, o dai fiumi Mekong Indo e Brahmaputra, per quanto riguarda lo scenario asiatico. Il motivo di fondo di questi conflitti è sempre lo stesso: lo scontro tra il diritto delle popolazioni di sfruttare a fini economici i corsi di acqua che attraversano i propri territori, costruendovi per esempio delle dighe per produrre energia elettrica, o degli acquedotti per irrigare terreni altrimenti aridi, e quello delle popolazioni a valle che reclamano le stesse opzioni ed opportunità Se, dunque, tutti concordano sul fatto che il possesso e lo sfruttamento delle risorse idriche è stato in passato, e può, oggi come ieri, essere reclamato anche con la forza, molti di noi fanno invece fatica a credere che il sale sia stato, come l’acqua, causa di scontri e guerre altrettanto sanguinosi. Ed invece l’approvigionamento del sale per la preparazione di cibi altrimenti immangiabili, o per la somministrazione di esso ai greggi, ha causato spesso tragedie di pari grado. Le mie reminiscenze scolastiche mi portano a ricordare la via Salaria, che da Roma portava (e porta ancora) ad Ascoli Piceno dove si trovavano le saline che rifornivano di sale i romani già al tempo dello scontro con i Sabini. Dalla porta Salaria, attraversato il fiume Aniene si proseguiva per la località Septem Balnea (L’odierna Settebagni), e proseguendo per Rieti, e risalendo il fiume Velino si giungeva fino alla località Cotilia, sede di importanti acque solforose e ferrose , dove i Romani costruirono un famoso centro termale. Seguendo in direzione nord est il corso del fiume Velino, la Salaria, sfruttando le geniali soluzioni ingegneristiche dei collaboratori di Tito e Vespasiano che non di rado vi soggiornarono, si faceva strada attraverso i pendii e le ripide gole del Monte Terminillo per arrivare finalmente alla valle del Tronto e alla tanto agognata Asculum. Come non ricordare gli immortali versi del diciassettesimo canto del Paradiso della Divina Commedia di Dante? “Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e ‘l salire per l’altrui scale.” Il trisavolo Cacciaguida predice a Dante l’esilio dalla sua amata Firenze e la necessità di dover andar ramingo in cerca di ospitalità presso le Corti degli Staterelli dell’Italia del 1300. In questo richiamo in parte metaforico al pane salato e a quanto in realtà costasse a Dante la generosità dei suoi mecenati, non pochi storici intravedono una proiezioni delle lotte intestine tra fiorentini e pisani, i quali erano abituati a vessare Fiorenza attraverso ripetuti e gravosi incrementi del costo del sale, scatenandone non di rado la ribellione armata, e lotte intestine. Ma sicuramente una delle “guerre del Sale” più aspre fu quella che oppose il Regno Pontifico a Perugia e che ebbe luogo nel 1540. Il Regno Pontificio viveva un periodo di sfarzo sfrenato e il desiderio di grandezza dei papi che occupavano il soglio di Pietro non conosceva limiti sfiorando sovente la megalomania. Erano in corso i lavori per la costruzione della Grandiosa Basilica di San Pietro, occorrevano fondi senza limiti per far fronte alle enormi spese che questo grande progetto architettonico richiedeva, e la vendita delle indulgenza plenarie solo in parte riusciva a sopperire alla richiesta di denaro. Per di più lo scisma di Lutero e l’allontanamento dei cristiani d’oltralpe dai dettami e dalla teologia di Roma, avevano determinato un grosso deficit di afflusso di valuta nelle casse vaticane, e di conseguenza (non avendo a disposizione un qualunque Monti contemporaneo e non potendo imporre alcuna IMU) le autorità papali decisero di rifarsi su una città come Perugia, formalmente appartenente al Regno Pontificio, ma di fatto dotata di larga autonomia e in condizioni economiche abbastanza prospere grazie alla saggia guida della Signoria dei Baglioni. E così agli inizi del 1540 il papa Paolo III impose ai Perugini, pena la scomunica, di non più approvigionarsi del sale delle Saline di Siena, ma di acquistarlo unicamente dalle Saline pontificie a prezzo raddoppiato. Il rifiuto dei Priori di Perugia fu ritenuto da Roma come una vera e propria dichiarazione di guerra e il conflitto divenne inevitabile. Come apparve fin dal primo momento assai realistica la previsione della capitolazione di Perugia, certamente non in grado con i suoi fanti male armati e in numero largamente inferiore di far fronte ai 9000 tra fanti e lanzichenecchi dell’esercito pontificio bene armati e capitanati dal feroce e temibile capitano Pierluigi Farnese, reo, tra l’altro, di crimini anche nei confronti dello stesso vescovo di Fano. Perugia capitolò, le magnificenti case e palazzi, le ammirevoli torri e le superbe porte etrusche vennero devastate per sempre e a loro posto fu costruita una grande fortezza papalina come sfrontato suggello del potere di Roma. La sconfitta di Perugia la distruzione dei suoi capolavori architettonici, la povertà che si impadronì della comunità umbra, precipitò la città in uno stato di decadenza che si protrasse fino al Risorgimento, e all’Unità d’Italia. In tutto questo periodo buio ai perugini non rimase altra rivalsa che questa di panificare senza sale, inventando quello che ancora oggi è conosciuto in tutto il centro Italia con il Termine di Pane Sciapo. Evito, per evitare di tediare il lettore, di parlare dei numerosi altri conflitti che insanguinarono l’Italia e l’Europa nel corso del medio Evo e dell’età moderna, per dire unicamente che la tassa sul sale è stata quella a cui più spesso hanno fatto ricorso i monarchi e i potenti di turno, perché ritenuta una delle più sicure e più lucrose. I nostri antenati, quindi, pur non conoscendo tutte le proprietà fisiologiche del sale, e del sale da cucina in particolare, ne comprendevano l’importanza al punto di essere disposti a tutto pur di venirne in possesso. Il sale da cucina o cloruro di sodio (costituito per il 60% da Sodio e per il 40% da Cloro) è un elemento di importanza vitale per il nostro organismo, che in definitiva non è altro che una soluzione salina nella quale sono immersi proteine lipidi e glucidi e altre molecole di minori dimensioni. Sodio e potassio governano l’equilibrio elettrochimico delle nostre cellule, lo svolgersi del normale metabolismo cellulare, e il flusso programmato di ioni dall’interno all’esterno della cellula e viceversa è alla base di molte reazioni vitali del nostro organismo. Se non ci fosse scambio di ioni tra cellula ed interstizio, non sarebbe possibile per esempio registrare un elettrocardiogramma, o i potenziali elettrici di una elettromiografia, non ci sarebbe vita. Il problema è che, per lo meno nelle società occidentali, esso viene introdotto consumato in eccesso rendendosi responsabile di patologie, come l’ipertensione, che potrebbero essere evitate se si avesse cura di ridurne l’apporto. L’organizzazione mondiale della Sanità raccomanda per esempio una assunzione giornaliera di sale non superiore ai 5 grammi al giorno tenendo conto dei diversi fattori che potrebbero modularne le necessità, per esempio il caldo, la sudorazione, le perdite legate all’attività fisica ecc. Il consumo reale è invece sicuramente superiore e in Europa è pari a circa 11 grammi, cioè più del doppio. Una raccomandazione, quella dell’OMS, che si scontra con le nostre abitudini alimentari caratterizzate dal consumo di cibi conservati con quantità di sale superiore al necessario, con l’abitudine di aggiungerlo in eccesso ai cibi che consumiamo e con lo scarso utilizzo di condimenti come per esempio il limone o l’aceto che sono parimenti gustosi, ma senz’altro meno pericolosi di un quotidiano, costante eccessivo introito di cloruro di sodio. Il sale in eccesso però fa male: introdotto con la dieta si associa ad un aumento della incidenza di ipertensione arteriosa e delle conseguenti patologie cardiovascolari. Gli studi scientifici parlano chiaro: se si riducesse l’assunzione di sale a meno di 3 grammi al giorno si avrebbe un drastico calo dei casi di Ipertensione arteriosa di infarto miocardico e di ictus cerebri. Lo studio INTERSALT ha documentato in modo chiaro che la pressione arteriosa risulta tanto più elevata, quanto maggiore è la quantità di sale che giornalmente viene assunta. E nel corso del congresso del 2011 dell’Associazione Medici Cardiologici Ospedalieri è emerso in modo chiaro che un cucchiaino da te di sale in meno ogni giorno potrebbe evitare 67 mila casi di infarto e 40 mila casi di ictus all’anno, con evidenti ripercussioni positive sulla nostra salute e sulla economia della nostra nazione, così in difficoltà in questo periodo. Non tutte le nazioni sottovalutano il problema del Sale: in Finlandia, per esempio una drastica riduzione del suo consumo ha determinato una riduzione del 75% dei casi di ictus e della mortalità coronarica e un aumento dell’aspettativa di vita di ben 5-6 anni (dati di Paolo Verdecchia, tra i più bravi cardiologi italiani). Come si può facilmente intuire si tratta di un problema apparentemente semplice, ma che in realtà non può prescindere da una adeguata informazione capillare che può essere fatta solo con il contributo della classe dirigente. Assai più modestamente, nella mia attività quotidiana, raccomando sempre, insieme ai miei colleghi, ai miei pazienti di ridurre il consumo in eccesso del sale. La riduzione potrebbe avvenire per gradi in maniera tale da renderla più accettabile, e da consentire in definitiva di apprezzare meglio le qualità organolettiche dei cibi che consumiamo. Ma è un fatto che questo tipo di raccomandazioni vengono quasi sempre disattese, per la difficoltà non piccola di dovere cambiare abitudini e stile di vita. I pochi che riescono a ridurre il consumo di sale, però, non tornano indietro su questa scelta, dichiarando di sentirsi meglio e di controllare meglio la propria ipertensione. Tornando infine al pane sciapo, cioè alla panificazione senza sale del centro Italia, essa potrebbe essere una delle tante soluzioni a portata di mano, utile e da secoli utilmente sperimentata dalle popolazioni di Umbria e Toscana. Angelo Mingrone angelo.mingrone@alice.it

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