di Franco LIGUORI, storico
Quante volte s’è sentito dire : Eh, il Natale di una volta!… Una volta sì che era Natale!, ora… Quel bel Natale dei miei tempi …! Ma com’era questo Natale di una volta ? Cosa aveva di tanto affascinante? Chi lo richiama alla memoria, va sottolineato, inconsapevolmente, rimpiange la fanciullezza. Si tratta di una riflessione comune a tutte le generazioni dell’era pre-covid. Chissà, però, se i bambini del 2020, epoca della terribile pandemia che ha sconvolto le nostre vite e le nostre secolari abitudini, esprimeranno anche loro, con qualche sospiro, quando saranno adulti, la stessa riflessione ! Credo proprio di no! Il momento che stiamo vivendo è tra più negativi degli ultimi cento anni, sotto ogni profilo (sanitario, economico, sociale, culturale..) e rappresenta per gli storici un “evento periodizzante”, uno spartiacque in cui c’era un prima e ci sarà un dopo , come accadde, ad esempio, con la Rivoluzione francese nel Settecento, con la Rivoluzione industriale dell’Ottocento, con le due guerre mondiali nel Novecento. E’ nostro convincimento che nell’epoca post-Covid ci sarà da ridiscutere, o quanto meno aggiornare, gli schemi e paradigmi che fin qui hanno funzionato e hanno portato benessere e prosperità, dal sistema di produzione economico all’architettura delle relazioni sociali. E, invece, ci si attacca a come salvare il Natale dei consumi e del piacere, proprio come a maggio dopo il lockdown si è pensato principalmente al Ferragosto , finendo però per gettare le basi di un ritorno recrudescente del virus malgrado gli allarmi (inascoltati) di tanti virologi-cassandre.
Ma lasciamo per un po’ l’era presente, l’era del covid 19 dentro alla quale siamo ancora immersi pesantemente, con tutti i rischi e le conseguenze negative che essa porta ogni giorno nelle nostre vite e nella nostra società, e rievochiamo, non per mera nostalgia del passato, ma per far conoscere alle nuove generazioni, momenti di vita paesana legati al Natale di 60/70 anni fa, quando l’Italia viveva uno dei momenti migliori della sua storia recente: il momento della “ricostruzione” post-bellica (anni Cinquanta), evolvendosi da paese prevalentemente agricolo a paese industriale, sul modello dei più progrediti paesi dell’Occidente. Sono gli anni in cui si comincia a parlare di “miracolo economico” ed anche la condizione esteriore di larghi strati della popolazione mostra i segni di un miglioramento. Com’era il Natale in quegli anni a Cariati e, più in generale, in tutti i paesi della Calabria ? Per rispondere a questo interrogativo, farò ricorso ai ricordi personali della mia infanzia, vissuta a Cariati Centro, in quegli anni. Per la Calabria più in generale, utilizzerò una bellissima pagina di Corrado Alvaro (1895-1956), il più grande scrittore calabrese del Novecento, che ci fa rivivere la magica atmosfera natalizia che si viveva un tempo nelle nostre case, quando arrivava il periodo dell’allestimento del presepe.
Il Natale a Cariati negli anni Cinquanta
Cariati era negli anni Cinquanta del Novecento uno dei paesi più importanti della fascia ionica cosentina, con 5500 abitanti nel censimento del 1951, che diventeranno oltre settemila nel 1961. Nel borgo recinto da mura medievali, che oggi chiamiamo “centro storico”, erano allocati, oltre al Comune (Palazzo Venner), la sede vescovile (Episcopio),il Seminario, la Pretura e le carceri mandamentali (Palazzo delle Poste), la Cassa di Risparmio, l’Asilo Infantile “V.Chiriaci”, l’Ufficio del Registro ed altri uffici zonali, come l’Ente Sila. Sul corso XX settembre c’erano tanti negozi, di generi alimentari, macellerie, ma anche di tessuti e di scarpe. Non mancavano le botteghe artigiane (falegnami, calzolai, barbieri, stagnini, ecc.). E, poi, c’erano le Scuole Elementari, che ancora non avevano un apposito edificio scolastico, ma erano sistemate in case private fittate dal Comune o nei locali a piano terra del Municipio. Il fulcro della vita religiosa era costituito, naturalmente, dalla Cattedrale, che, diventava, nel periodo natalizio il luogo di maggiore frequentazione dei residenti e di tanti fedeli che arrivavano, in determinate occasioni, dai tanti paesi della nostra Diocesi, che si estendeva nell’area del Crotonese, da Torretta a Strongoli, e nei paesi interni dell’odierna provincia di Crotone. In cattedrale, più precisamente nell’area della cappella di San Cataldo, veniva allestito un grande presepe che attirava, con i suoi pastorelli, le casette, la grotta con il bue e l’asinello, e il Bambinello Gesù, la curiosità dei più piccoli, che vi sostavano a lungo ad ammirarlo. La festa del Natale non era limitata al 25 dicembre, ma abbracciava un arco temporale che iniziata con la festa dell’Immacolata e poi di Santa Lucia (con tanto di affollate processioni per le viuzze del borgo e di fuochi in ogni rione o, meglio, “ruga” del paese ) e si concludeva con l’Epifania (che tutte le feste porta via si usava dire). Nei giorni delle feste natalizie il borgo si animava moltissimo di gente che usciva di casa per passeggiare sul corso, incontrare amici, o per partecipare alle frequenti solenni funzioni religiose che si svolgevano in cattedrale con la partecipazione del Vescovo e dei sacerdoti del Capitolo. Nelle case il clima della festa si viveva attraverso la preparazione dei “fritti” di Natale, come i “crustuli”, le “crispedde”, i “tardiddi”, le “crucette”. Se ne facevano in gran quantità e venivano consumati durante tutto il periodo delle feste di fine d’anno. Se ne faceva dono anche a famiglie amiche bisognose, che accettavano con gratitudine questo gesto solidale. Nelle strade i ragazzi esprimevano la loro gioia giocando con “furfareddi” e “vattamuri”. Gli adulti, gli studenti e i ragazzi più grandicelli si incontravano, per godere insieme l’intimità della festa natalizia, nei “bazar”, piccoli ritrovi improvvisati, che si allestivano in locali a piano terra e rimanevano aperti solo in coincidenza delle festività di fine d’anno, “gestiti” da persone del paese che si improvvisano per 15 giorni “baristi”, per ricavarne un piccolo guadagno utile alla famiglia. Questi poveri luoghi di ritrovo avevano al centro un grande tavolo in legno (la plastica non era ancora arrivata !) sul quale erano ammucchiati in gran quantità torroncini, caramelle, cioccolatine, piccoli panettoni ed anche ciambelline fatte in casa, con latte e farina. Per i più grandi c’erano anche i liquori: Vermouth, Marsala, Millefiori, Anisetta, Nocino, ecc.. Seduti attorno a modeste panchette di legno, i ragazzi di Cariati trascorrevano molte ore delle loro vacanze natalizie giocando a carte (a briscola, a tressette, a scopa) o a tombola, in questi modesti ritrovi. Spesso la partita a carte, per la litigiosità di qualche giocatore, terminava in una vera e propria zuffa, scatenando l’ira del gestore del bazar, che allontanava in malo modo i rissosi avventori. Le persone anziane, invece, artigiani, pescatori, contadini, avevano il loro luogo di ritrovo nelle “cantine”, che erano numerose in tutto il borgo. Anche loro giocavano a carte e si litigavano e, spesso, ubriachi fradici, cominciavano a cantare a squarciagola canzoni popolari, accompagnandosi con la chitarra battente. Era, come si può vedere da questi ricordi, un Natale molto povero quello che si viveva a Cariati negli anni Cinquanta, ma certamente più genuino, più semplice, più intimo. E con tanta socialità, con tanta comunicazione tra una generazione e l’altra ! Proprio quello che manca completamente oggi ! Anche i pranzi e le cene delle feste natalizie erano in quel tempo contrassegnate dalla socialità e dalla partecipazione di tutta la famiglia agli eventi (genitori, figli, nipoti, nonni, zii e zie, ed anche parenti invitati per l’occasione). Si consumavano piatti diversi a base di ortaggi (broccoli, cavoli, zucche, rape, cipolle, peperoni), pesce azzurro (sarde e alici) o essiccato (pesce stocco e baccalà ), e poi ancora: funghi, lupini, castagne, arance, mele , pasta di pane fritta nell’olio e dolci della tradizione, preparati in casa. Non mancavano i classici torroncini di Bagnara, fatti con noccioline ricoperti di zucchero, o le “susamelle” ricoperte di cioccolato e, timidamente, cominciavano a comparire i panettoni (il Motta andava per la maggiore).
Poi arrivarono gli anni ’60, il boom economico, la massiccia emigrazione verso la Germania, l’abbandono del centro storico, che perse la sua centralità, il boom edilizio della Marina, l’emancipazione dal bisogno di tante famiglie, il miglioramento materiale delle condizioni di vita, la diffusione di radio e televisione, il consumismo, che, come ha detto Papa Francesco l’altro ieri “ci ha sequestrato il Natale”, o, quanto meno, ha prodotto la perdita dei valori, delle tradizioni semplici e genuine della festa. Con l’arrivo del consumismo è finito il Natale dei presepi coi pastori di creta colorata, il Natale della veglia, delle funzioni religiose frequentate con tanta devozione dai fedeli, dei dolci caserecci a base di farina, latte e miele, delle grandi mangiate tra familiari e parenti. Il Natale è diventato il panettone di marca, l’allestimento dell’albero di Natale al posto del tradizionale e suggestivo presepe, il “regalare una cassetta di…”, “l’andare in vacanza a…”. Ma oggi non è soltanto il “virus” a impedirci di godere la festa del Natale. Indipendentemente dal fatto che uno sia oggi credente o non, il motivo di fondo di questa perdita del valore umano e sociale di questa festa è dovuto al fatto che la nostra umanità, in questo momento, è assai smarrita, confusa e dispersa. Da un punto di vista strettamente religioso, “essa ha bisogno, come scrive il vescovo di Vittorio Veneto Mons. Pizziolo, di ritrovare il disegno originario che le dia direzione e senso. Più ancora ha bisogno di ritrovare in Gesù, nella sua parola e nel suo amore, unità e speranza per avere la forza di superare il momento di prova che stiamo attraversando”. Da un punto di vista laico e più aderente alla storia dell’Occidente, ritengo di poter dire che la difficoltà del momento che viviamo è dovuta anche al fatto che l’umanità non dispone oggi, come è avvenuto nel secondo dopoguerra, di una classe politica all’altezza della difficile situazione, di figure politiche che siano dei veri “statisti”, capaci di guardare lontano, di programmare progetti per un futuro migliore della società, e di guidarla verso nuovi traguardi di giustizia sociale, di benessere collettivo e di pace.
Il presepe ha l’aspetto di un paesaggio calabrese (Corrado Alvaro, 1895-1956)
Ed ora, per descrivere la magia del Natale calabrese degli anni Cinquanta, diamo la parola al maggiore nostro scrittore del Novecento, riportando una sua bella pagina sul presepe, che, come scrive lui,” ha l’aspetto di un paesaggio calabrese” :“Nei paesi s’è lavorato tutto una settimana per fare il presepe. Nel fondo si stendono rami di aranci carichi di frutta. Si lanciano ponti coperti di muschio da un punto all’altro del presepe, si costruiscono montagne e strade ripide, steccati per le mandrie, e laghetti. Il presepe ha l’aspetto di un paesaggio calabrese. Dalle valli sbucano fiumi: le montagne sono ripide e selvagge. Su tutto pende il bel giallo dell’arancio come un frutto favoloso. Il figurinaio che ha fatto i pastori sa che i ragazzi si fermeranno a guardare una per una le figurine. Perciò, meno i soldati di Erode, tutti i pastori somigliano a persone conosciute. Sembra un paese vero. C’è quello che porta la ricottina. C’è il cacciatore col fucile, c’è quello che porta l’agnello e fuma una lunga pipa. C’è il mendicante davanti al presepe. C’è l’osteria dove si ammazza il maiale, e la gente beve accanto alla fontana dove la donnina lava i panni. I Re Magi spuntano dall’alto della montagna coi moretti che guidano i cavalli. La stella splende sulla grotta e gli angeli vi danzano sopra leggeri e celesti come i pensieri dei bambini e degli uomini in questi giorni. In tutti i presepi c’è la figurina dell’Incantato. L’incantato è un pover’uomo che non ha nulla e non porta nulla. S’è fermato accanto alla grotta e guarda la stella che s’è posata come una farfalla tra la neve della roccia sulla mangiatoia dove è nato il Signore. Non si muove e non fa nulla. Sta lì, a braccia aperte, a bocca spalancata, a guardare quella stella.Tutti attorno a lui si agitano ma l’incantato è là, colpito dal sogno celeste, senza poter parlare. Egli ha capito tutto, conosce il miracolo della nascita del Signore. Ma non potrà mai raccontarlo a nessuno”.
Nota
I disegni che corredano l’articolo (la “Natività” , “Lo zampognaro”, Il “Corso XX Settembre”) sono dell’arch. SAVERIO LIGUORI (1933-1988). I primi due furono pubblicati entrambi sulla rivista “Calabria letteraria” nel 1955. La Natività, in particolare, è stata utilizzata come immagine di copertina del numero natalizio della rivista, nel dicembre del 1955. Il terzo disegno (corso XX Settembre) è del 1987 e ritrae la via principale con la piazza Plebiscito, il Palazzo Vescovile e la facciata della Cattedrale, che rappresentavano negli anni ’50 il cuore pulsante della vita civile e religiosa del paese, detto in quel tempo Cariati Superiore (cioè “di sopra”), mentre la Marina, frazione popolosa del paese in riva al mare, era detta “abbasc” e i suoi abitanti “vasciaioli”.
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