I MISTERI E IL FASCINO DELLA BIOLOGIA E DELLE SCIENZE UMANE.   

COME CONTRASTARE EVENTI APPARENTEMENTE IMPREVEDIBILI.

di Angelo Mingrone – Cardiologo


In un altro articolo ho accennato al fascino e, spesso, agli enigmi  di fronte ai quali si trovano       gli epidemiologi,   gli scienziati,  i medici, e, in generale, tutti coloro che si occupano di scienze umane e biologia.

La biologia e la medicina sono fonte di continue scoperte e sorprese, e frequentemente anche  i clinici più attenti e con grande esperienza  non sanno dare delle risposte a molteplici  grandi quesiti che si trovano ad affrontare. Per essere più chiari e  rimanere su un argomento oggi assai sentito dalla gente comune, quello della  pandemia da Coronavirus, bisogna dire che, pur essendo il trattamento della infezione assai migliorato rispetto agli esordi della malattia, esistono ancora delle incertezze riguardo a certe terapie,  alle modalità e ai tempi di somministrazione.

Per esempio:  I cortisonici  sono realmente utili nelle fasi iniziali della malattie o vanno riservati solo alle fasi più avanzate, caratterizzate  da grave insufficienza respiratoria? Gli anticorpi monoclonali sono realmente indispensabili e quando vanno somministrati? Sembra che le convinzioni degli scienziati e dei virologi oggi siano di segno opposto rispetto a quelle dei mesi scorsi quando la pandemia faceva molta più paura di adesso, e che, per esempio, gli anticorpi monoclonali siano più utili in fase pre-ospedaliera che in fase di ricovero.  Per il cortisonici vale il discorso opposto,  cioè a dire  questi farmaci vanno riservati alle fasi avanzate della malattia, e quindi sarebbero in errore i medici che, anche quando curano eroicamente  i pazienti a domicilio,  sono convinti di far bene utilizzandoli sin dal primo momento  anziché in  ospedale ed  in  terapia intensiva.  Il medico attento non può farsi suggestionare da quanto si racconta  nelle trasmissioni televisive  nel corso delle quali vengono messi in secondo piano studi clinici controllati e con ampie casistiche, rispetto ad esperienze personali meritevoli, ma non di pari valore scientifico.

Ma la Cardiologia è il mio campo di azione,  e mi piace condividere con gli amici e gli eventuali lettori il fascino e l’interesse che certi argomenti  hanno da sempre suscitato e suscitano ancora oggi.  Per esempio nel campo dello scompenso cardiaco molti progressi  sono stati  fatti sul trattamento,  e oggi la prognosi di questa grave patologia è molto meno sfavorevole rispetto a qualche anno fa. Merito delle scoperte di nuove terapie  che migliorano in modo sensibile e “statisticamente significativo” (per usare il linguaggio delle riviste scientifiche) la prognosi dei pazienti. I quali vivono più a lungo e   meglio. Proprio ieri ascoltavo  un interessantissimo webinar della Società Europea di Cardiologia nel corso del quale si parlava di L-VAD (left ventricular assistant device), cioè di sistemi di assistenza ventricolare sinistra,  in pratica di cuore artificiale. Il progresso in questo campo è stato notevole, spinto dalla necessità di far fronte alla carenza dei donatori d’organo,  un fenomeno che riguarda non solo l’Italia, e l’ Europa,  ma il mondo intero. In Italia e in Inghilterra lo scorso anno sono stati realizzati appena 200 interventi di trapianto cardiaco, mentre  la “domanda” da parte di pazienti con scompenso “end stage”, cioè terminale,  è di gran lunga maggiore (mi verrebbe da dire come i vaccini anti-covid che dovrebbero essere di gran lunga di più di quelli che ci vengono forniti). E così in assenza di donatori sono stati messi a punto dei dispositivi di piccole dimensioni,    specie di miniturbine  che vengono ancorate alla punta del cuore e attraverso una cannula collegata con l’aorta spingono un flusso continuo di sangue nel vaso arterioso più grande,  e da qui  a tutti gli organi vitali.  Il flusso è continuo è i soggetti a cui vengono impiantati questi dispositivi sono magicamente senza polso ma vivi. Non solo: essi  possono sopravvivere anche a pericolosissime aritmie come la fibrillazione ventricolare, che se non trattata immediatamente è causa sicura di morte perché non consente il funzionamento della pompa cardiaca.  Ma nei soggetti con cuore artificiale è comunque garantito dalla “turbina” un flusso di sangue dal cuore verso la periferia, e i soggetti vivono a dispetto dell’aritmia.  Ditemi voi se questo scenario nuovo ed insolito non suscita fascino e meraviglia.

Nella primavera del 2020 è stato pubblicato un bellissimo articolo sullo European Heart Journal sulla morte improvvisa nei soggetti scompensati, scritto da un grande cardiologo: Milton Packer,  il quale si è cimentato in modo acuto e  brillante, come solo uno scienziato  curioso ed intelligente può fare,  su questo tema (Eur Heart J 41, 1757-1763)

Come molti di voi sanno il fenomeno della Morte Improvvisa (MI),  assurge periodicamente  agli onori di cronaca in modo clamoroso ed eclatante quando coinvolge per esempio atleti di livello nazionale ed internazionale: pensiamo agli sfortunati calciatori Morosini e Astori: del primo molti di noi hanno ancora negli occhi le immagini del calciatore che stramazza a terra sul campo di calcio e tenta invano di rialzarsi,  il secondo invece muore improvvisamente  in una stanza d’albergo dopo aver trascorso una serata allegra e spensierata in compagnia dei compagni di squadra. Ma la morte improvvisa non riguarda solo i calciatori. Ogni anno in Italia colpisce circa 60 mila persone, e della stragrande maggioranza di questi sfortunati  la gente comune sa davvero poco o niente. Una diecina di anni fa mi trovavo insieme ad altri 1300 cardiologi  nel Palazzo dei Congressi di Firenze per partecipare ad uno dei congressi di cardiologia di rilievo nazionale più importanti. Accadde che, mentre un relatore dal podio parlasse di non ricordo quale argomento, uno dei colleghi dalla poltrona in cui sedeva cadde a terra a causa di un improvviso arresto cardiaco. Uno dei cardiologi presenti corse nella hall del Palazzo dei congressi a prendere un defibrillatore che salvò la vita al collega sfortunato e fortunato al tempo stesso. Ricordo ancora il titolo del giornale “La Nazione” del giorno dopo: “Colpito da infarto in mezzo a mille cardiologi, Salvo!. Ma la salvezza di quel collega dipese innanzitutto dal defibrillatore in assenza del quale temo che neanche 2000 cardiologi avrebbero potuto fare granché.

Dunque il fenomeno della morte improvvisa è assai più vasto di quanto molti pensano. E riguarda in modo significativo, anche se non esclusivo,  i pazienti affetti da scompenso cardiaco. Naturalmente esistono patologie cardiache di altra natura, come per esempio le cosiddette malattie dei canali ionici nelle quali il meccanismo è completamente diverso e non riconducibile alla compromissione della  funzione di pompa del cuore. Tornando ai pazienti scompensati, ci troviamo di fronte a soggetti  che a causa di patologie gravi come l’infarto o la cardiopatia dilatativa,  hanno cuori dilatati e dotati di scarsa forza contrattile. In cardiologia esiste un parametro: la Frazione d’Eiezione che,  nonostante sia fonte di molte  incertezze interpretative,   stima in modo quantitativo la forza contrattile del miocardio. Se un paziente ha una bassa frazione di eiezione corre seriamente il rischio di morire di morte improvvisa.

Ma, secondo Packer, il concetto e la definizione di MI andrebbero rivisti,  perché in definitiva ogni morte che avviene da un momento all’altro è improvvisa, e riguarda soggetti che un momento prima di morire vivevano. Forse il concetto di Morte Improvvisa andrebbe sostituito con quello di morte Inaspettata, o  per lo meno nella definizione di Morte improvvisa andrebbe inserito il concetto di imprevedibilità dell’evento.

Se è vero infatti che molti soggetti affetti da scompenso e con ridotta performance cardiaca, cioè a bassa frazione di eiezione corrono seriamente il rischio di morire improvvisamente,  è  pressoché  impossibile prevedere quando un paziente  andrà incontro a simile evento. Per contrastare  il rischio di MI la medicina odierna ha a disposizione i defibrillatori,  che sono una sorta di Pace Maker più sofisticati  in grado di riconoscere attraverso l’analisi del ritmo cardiaco la comparsa di pericolose aritmie e di interromperle  sul nascere,  salvando in tal modo la vita del paziente. Ma non sempre i defibrillatori entrano in azione, e non sempre lo fanno  in modo proprio, talvolta alcuni pazienti vanno incontro a scariche cosiddette inappropriate, mente altre volte capita che persino il defibrillatore non sia in grado di salvare il paziente, quando questi è ormai arrivato ad una fase terminale per cui avrebbe probabilmente bisogno più che di un defibrillatore di un cuore artificiale, “una turbina” del tipo già descritto, o di un trapianto.

Prevenire la morte improvvisa significa cercare di scavare a fondo nei meccanismi che ne sono la causa. Spesso essa coglie soggetti in condizioni cliniche stabili, senza nessun evento scatenante, quando nessuno se la immaginerebbe. In assenza di aritmie e di eventi ischemici quali per esempio l’infarto acuto che potrebbero giustificarlo.  Che cosa dunque scatena un evento che nessuno si aspetta?  Ed ecco che a far luce su questa enigma della medicina e della biologia interviene Milton Packer il quale pensa che, là dove la biologia non è in grado di fornire risposte adeguate, possa intervenire la fisica teorica  dando  per lo meno una giustificazione a certi eventi altrimenti inspiegabili.  Egli parte da alcuni esempi che riguardano fenomeni della natura a tutti noti  come le valanghe, o  i coni di sabbia del deserto. Che cosa determina  l’improvviso precipitare di  una valanga di neve in montagna, quando, come sovente succede,  nessuno si aspetterebbe un simile evento?  Su una montagna può accumularsi neve su neve per molto tempo senza che niente apparentemente succeda. Poi un ultimo fatale fiocco   è in grado di scatenare un evento drammatico ed imprevisto.  Senza che si riesca a prevederlo. Allo stesso modo, nelle dune dei deserti, altrettanto belle e spettacolari la sabbia si accumula fino ad un certo punto fino a quando succede che un ultimo granello di sabbia renda l’equilibrio precario e la montagna di sabbia si dissolva.  E’ opinione dei fisici che la valanga non crolli fin dal primo momento in quanto al suo interno si verificano dei fenomeni di adattamento che lo impediscono, e lo stesso succede con le dune. Ma oltre un certo limite questi meccanismi di adattamento non reggono e basta un leggerissimo fiocco di neve,  o un minuscolo granello di sabbia per far precipitare una situazione da tutti ritenuta stabile. Come la goccia che fa traboccare il vaso.

Tornando al cuore, anche esso va incontro a fenomeni degenerativi, i suoi tossici fiocchi di neve o granelli di sabbia,  che sono la causa dello scompenso. Nel corso degli anni a causa delle varie patologie  il cuore perde continuamente cellule cardiache, i miocardiociti, che vengono sostituiti da fibrosi e cicatrici. Il  nostro cuore essendo un organo in grado di adattarsi per molto tempo a insulti continui quali l’ischemia e il sovraccarico emodinamico, modifica la sua conformazione, si dilata ma, grazie ai meccanismi endocrini che mette in atto, è in grado di far fronte a tutte le insidie che lo investono. Poi arriva il momento in cui i meccanismi di adattamento non sono in grado di reggere oltre, e allora la situazione precipita: e basta un piccolissimo insulto, un ultimo fiocco di neve, un minutissimo granello di sabbia per precipitare un equilibrio solo apparentemente stabile.

Se questo modello è valido, come sembra sia  valido, cosa si può fare per contrastarlo? La risposta di Milton Packer è al tempo stesso semplice e ragionevole: mettere in atto tutti i meccanismi utili per contrastare gli insulti che quotidianamente il nostro cuore riceve. Impedire che i miocardiociti vengano danneggiati in modo irreparabile  per evitare   che essi vengano sostituiti da cicatrici   (in medicina fibrosi) causa di perdita di forza  contrattile, e fattori scatenanti pericolosissime aritmie. Ecco allora che bisogna attrezzarsi per prevenire i danni che alcune patologie come l’ipertensione arteriosa potrebbero determinare: curandola in modo ottimale e per tempo. Lo stesso discorso vale per altri fattori di rischio come il diabete e l’ipercolesterolemia,   l’obesità e la sedentarietà. Il trattamento, non solo medico, ma fatto di alimentazione sana e di  riduzione degli abusi, attività fisica e regolare, della giusta socialità è altrettanto importante della sola terapia medica Vivere in modo sano prevendo e contrastando i fattori di rischio significherà, come già detto,  vivere meglio e più a lungo.  Se poi lo scompenso insorge ugualmente bisogna instaurare  a dosaggi efficaci, quelli raccomandati dalle linee guida, la terapia ottimale,  la sola in grado di aiutare il cuore a difendersi meglio, la sola in grado di impedire il continuo distruttivo accumularsi di innumerevoli pericolosi granelli di sabbia cardiaca tossica  e fiocchi di neve altrettanto distruttivi.

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