Exultate, jubilate: l’emergenza migranti, la paventata invasione di neri e trucidi islamici che dovevano sciamare nelle nostre piazze sgozzando innocenti passanti, insidiando le “nostre” donne, sparando nelle chiese e calpestando le ostie consacrate, è stata sventata. È successo così, tutto ad un tratto, alla mezzanotte del 4 marzo: fino al giorno prima giornali, riviste, notiziari e social network traboccavano di notizie e timori, di spaventose anticipazioni, di sussurri e di grida: la nostra cultura stava per essere cancellata, tutti avremmo dovuto presto prostrarci, la fronte rivolta verso la Mecca e le chiappe per aria, e gridare Allah u akbar (o come cavolo si scrive), sotto l’occhio attento e spietato dei mullah; le “nostre” donne avrebbero dovuto tutte indossare il velo, se non intabarrarsi nel chador; e la nera bandiera dello stato islamico avrebbe garrito dalla cima del Cupolone di San Pietro.
Poi, come d’incanto, più nulla. È bastato il breve volgere di ventiquattrore, e lo spauracchio islamico è svanito: l’invasione, evidentemente, è stata annullata.
E che dire dell’emergenza criminalità? Miracolosamente, dal 5 marzo, i ladri albanesi e romeni hanno smesso di insidiare tabaccherie e benzinai, nessuno straniero entra più nelle villette isolate a minacciare e picchiare inermi pensionati, pur se fino al giorno prima sembrava che ovunque, nel desolato Bel Paese, non succedesse altro.
Perfino Matteo Salvini e Giorgia Meloni, che di queste incalzanti (fino a quel giorno) emergenze avevano fatto il leitmotiv della loro campagna elettorale, ora non ne parlano più. A riempire le pagine della cronaca nera sono rimasti solo i soliti mafiosi italiani arrestati ogni giorno a diecine, i soliti mariti italiani che ammazzano le mogli, i soliti pubblici funzionari italiani corrotti fino al midollo, i soliti infermieri italiani che maltrattano i vecchietti nelle case di riposo, i soliti genitori italiani che picchiano i professori dei loro figli, quando non sono i figli italiani a provvedere personalmente, senza scomodare i genitori, a maltrattare gli insegnanti. Ma di queste cose Matteo Salvini non parlava nemmeno prima, figurarsi se ne parla ora che è tutto preso dal duello con Di Maio per la conquista di palazzo Chigi; e anche gli altri italiani non s’infiammano, a queste notizie, con la stessa indignazione e gli stessi patemi che in loro suscitavano invece le paventate ondate migratorie e la sventolata emergenza criminalità: emergenza che evidentemente è tale solo se il criminale non è made in Italy.
Viva, dunque, il 5 marzo, giorno in cui si è compiuto il miracolo e migranti e delinquenti hanno lasciato il campo alle più rassicuranti ma non meno furibonde battaglie su chi debba fare il primo ministro e chi debba fare il governo, con chi sì, e con chi no, con chi forse, e con chi boh.
Fino alla prossima e, temo, imminente campagna elettorale: quando le emergenze torneranno ad emergere, i migranti a migrare, i delinquenti – stranieri – a delinquere e gli islamici a sgozzare, visto il dividendo che questi spauracchi consentono di incassare nelle urne.
Ma intanto godiamoci il teatrino delle consultazioni, dei contatti, delle schermaglie, dei “vengo anch’io, no tu no”, dei mandati esplorativi che poi diventano mandati affan… che i nostri rappresentanti – sempre diversi e sempre uguali, e tanto più uguali quanto più si proclamano diversi – si scambiano con una disinvoltura inversamente proporzionale alla loro statura intellettuale, culturale, morale e politica, imbufaliti come sono per il possesso di una poltrona sulla quale vorrebbero tanto posare le natiche ma che rischia di farli finire, doloranti, col sedere per terra.
Tanto lo sanno, i nostri rappresentanti, che su una certezza possono contare: la maggioranza dei loro connazionali tornerà a spaventarsi, a comando, quando loro ricominceranno a indicare le per ora accantonate emergenze, perché ogni popolo ha i politici che si merita.
E viceversa.
Giuseppe Riccardo Festa
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