ESTATE CERCHIARESE 2010 – 2^EDIZIONE QUARTIERI IN FESTA

ESTATE CERCHIARESE 2010- 2^EDIZIONE QUARTIERI IN FESTA LUNEDI 9 AGOSTO 2010 ORE 21.30 PIAZZETTA RETROSTANTE IL MUNICIPIO UN PERCORSO ILLUMINATO VI GUIDERA’…. SCENA VERTICALE DISSONORATA – Un delitto d’onore in Calabria drammaturgia, regia e interpretazione | Saverio La Ruina musiche | Gianfranco De Franco :::::::: Accolto con entusiasmo unanime dalla critica, “Dissonorata”, lo spettacolo che inaugura la nuova stagione di Dissezioni è uno spettacolo che coinvolge a tutto tondo, in cui i gesti, le parole, la musica, le emozioni di questa riflessione sulla condizione femminile che parte dalla storia di una donna calabrese, sono concentrati nella magnetica presenza di Saverio La Ruina. Spesso, ascoltando le storie drammatiche di donne dei paesi musulmani, mi capita di sentire l’eco di altre storie. Storie di donne calabresi dell’inizio del secolo scorso, o della fine del secolo scorso, o di oggi. Quando il lutto per le vedove durava tutta la vita. Per le figlie, anni e anni. Le donne vestivano quasi tutte di nero, compreso una specie di chador sulla testa, anche in piena estate. Donne vittime della legge degli uomini, schiave di un padre-padrone. E il delitto d’onore era talmente diffuso che una legge apposita quasi lo depenalizzava. Partendo dalla “piccola” ma emblematica storia di una donna calabrese, lo spettacolo offre lo spunto per una riflessione sulla condizione della donna in generale. Parlando del proprio villaggio, parla della condizione della donna nel villaggio globale. Nello spettacolo risuonano molteplici voci di donne. Voci di donne del sud, di madri, di nonne, di zie, di loro amiche e di amiche delle amiche, di tutto il parentado e di tutto il vicinato. E tra queste una in particolare. La “piccola”, tragica e commovente storia di una donna del nostro meridione. Dal suo racconto emerge una Calabria che anche quando fa i conti con la tragedia vi combina elementi grotteschi e surreali, talvolta perfino comici, sempre sul filo di un’amara ironia. …cu a capa vasciata a cuntà i petri pi nterra… Sungu ‘na guagliona e quannu passu mìanzu i genti agghia teni ‘a capa vasciata fa chi cuntu i petri pi ‘nterra, si mi parli angunu ‘nu zùacculu ncapa e via p’ i fatti suji. Tiru i zùacculi pi difesa e pu ‘n’ata vota ‘a capa vasciata a cuntà i petri pi ‘nterra. Si veni angunu a mi dici “Oh, jamu ‘a tala parta”, jiu ‘u pigghiu subbitu a petrati, “chi jè sta cunfidenza?”. ‘Un davu retta a nisciunu e ‘un gavuzu mai l’uacchi a ‘nterra ca si ‘nziammai si scontrinu cu quiddi ‘i ‘nu masculu tuttu ‘u paisu mi chiami puttana. :::::::: Saverio La Ruina si diploma alla Scuola di Teatro di Bologna, prosegue la sua formazione con Jerzy Stuhr e lavora, tra gli altri, con Leo De Berardinis e Remondi e Caporossi. E’ tra i giovani registi selezionati agli atelier di regia curati da Eimuntas Nekrosius per La Biennale di Venezia nelle edizioni 1999 e 2000. Fonda nel ’92 a Castrovillari, con Dario De Luca, la compagnia Scena Verticale. Per essa scrive, dirige e interpreta nel 1996 La stanza della memoria (finalista nello stesso anno al “Premio Nazionale Teatrale Città di Reggio Calabria” presieduto da Ugo Ronfani e al “Premio E.T.I. Vetrine”) che debutta al II Festival Nazionale dei Teatri Invisibili e nel 1998 de-viados (dal progetto finalista al “Premio Scenario ’97”), la cui versione finale debutta a Milano all’interno di Teatri ’90. Sempre in veste di autore, regista e interprete realizza una trilogia calabro-scespiriana, cominciata nel 2000 con Hardore di Otello presentato per la prima volta a Santarcangelo dei Teatri, proseguita nel 2002 con Amleto ovvero Cara mammina che debutta al Festival delle Colline Torinesi e conclusa nel 2004 con Kitsch Hamlet il cui debutto avviene al Teatro Vascello di Roma nella stagione organizzata dall’Ente Teatrale Italiano. Bruciata viva, progetto a cui sta attualmente lavorando, mette a confronto le storie di due donne, una cisgiordana e l’altra calabrese, di mondi e culture diversi ma dal destino sorprendentemente simile. Dal 1999 è direttore artistico, con Dario De Luca, di Primavera dei Teatri, festival sui nuovi linguaggi della scena contemporanea. Con Scena Verticale, vince nel 2001 il “Premio Bartolucci per una realtà nuova” e nel 2003 il “Premio della Critica Teatrale” assegnato dall’Associazione Nazionale dei Critici Teatrali. Nel 2004, un suo progetto in divenire, La famiglia, giunge finalista al “Premio Dante Cappelletti alle Arti Sceniche”. Nel 2005 con Kitsch Hamlet ottiene una segnalazione al “Premio Ugo Betti per la drammaturgia”. :::::::: Attento osservatore delle realtà della propria terra, il gruppo calabrese Scena Verticale – una delle espressioni più vivaci del nuovo teatro del nostro Sud – punta da sempre a una pungente analisi della sottocultura meridionale e di tutte le contraddizioni, di tutte le storture che essa innesca, passando in special modo per una rilettura caustica e grottesca di alcuni grandi classici della scena. Se in Dissonorata. Un delitto d’onore in Calabria il terreno dell’esplorazione resta in sostanza lo stesso, cambia però – almeno in apparenza – il tono di fondo, che pur mantenendo intatta una certa vena ironica evidenzia stavolta un’inedita componente di asciutta commozione. La storia della feroce punizione inflitta dai familiari a una giovane rimasta incinta sembra semplice fino a risultare elementare, una di quelle storie che ci capita sovente di leggere sui giornali, e che ci appaiono tanto comuni da ritenerle persino scontate: invece, così centellinata alla ribalta, stagliata sulla spietata lastra radiografica di un’asciutta elaborazione drammaturgica, essa ha come primo e principale effetto il fatto di ricordarci che di scontato, in simili episodi, non v’è nulla, che in nessun modo essi devono essere considerati abituali e consueti, il che già sarebbe una forma di indiretta ma inaccettabile accettazione da parte di chi osserva. Tanto per sottolineare che non siamo di fronte a un caso isolato, ma agli esiti di un costume secolare, l’intenso spettacolo proposto a Bella Ciao, il festival di Ascanio Celestini, ci mostra come l’epilogo violento non sia che il corollario di una lunga catena di sopraffazioni nei riguardi delle donne, costrette a vestire di nero, a vivere appartate, ad attendere che le sorelle maggiori abbiano la precedenza rispetto al matrimonio. Così la protagonista, timorosa che l’aspirante marito non l’aspetti, cede alle lusinghe dell’uomo, che dopo averla compromessa la pianta in asso lasciando che i parenti tentino di bruciarla viva dopo averla cosparsa di benzina. Per aggirare l’ombra nera del melodramma, sempre incombente su vicende di questo tipo, l’autore e regista Saverio La Ruina incarna egli stesso il ruolo della vittima ormai invecchiata che in un dialetto strettissimo ripercorre il filo del proprio destino: seduto su una seggiolina coi suoi abiti maschili sui quali spicca appena una specie di grembiule scuro, la posa composta e dimessa di un’anziana cui le disgrazie non hanno spento il sorriso, dovrebbe indurci a prendere un po’ le distanze, ma in parte per la sua bravura, in parte per quell’aria fuori posto riesce a rendere il tutto ancora più struggente. Ad acuire l’emozione c’è la scoperta che il figlioletto nato alla sopravvissuta si chiama come lui, Saverio, il che implica risvolti autobiografici su cui non è necessario far luce, ma che non possono lasciare indifferenti. Renato Palazzi – Del teatro ::::::::

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