
In un’era dominata dalla sovrabbondanza di informazioni e dalla ricerca spasmodica dello scoop, il rapporto tra politica e giornalismo è diventato sempre più conflittuale. I “cronisti scomodi” – quelli che non si accontentano delle versioni ufficiali e scavano a fondo, controcorrente – sono spesso considerati un fastidio, se non una minaccia, da chi detiene il potere. Eppure, in un sistema democratico, il loro ruolo è fondamentale. Il cronista scomodo è colui che non si accontenta delle conferenze stampa preconfezionate, delle dichiarazioni ufficiali o dei comunicati stampa. È quello che va a cercare le storie dietro le storie, che fa domande imbarazzanti, che non teme di sfidare il potere. È una figura scomoda, appunto, perché mette in discussione le narrazioni dominanti e costringe i politici a uscire dalla loro “comfort zone”!
Dall’altra parte della barricata, i politici spesso reagiscono alle critiche ed alle inchieste con quella che è stata definita la “strategia del fango”. Attacchi personali, campagne diffamatorie, discredito delle fonti: sono tutte tattiche usate per distogliere l’attenzione dai contenuti delle accuse e mettere in discussione la credibilità di chi le fa.
Ah, la meravigliosa arte della macchina del fango! Un capolavoro di ingegneria sociale, così raffinato da far impallidire persino Leonardo da Vinci. Funziona con una semplicità disarmante: basta che un cronista osi—con l’impudenza di chi crede ancora nel valore dell’informazione—raccontare la politica per quello che è, un palcoscenico di promesse spesso evaporate al primo soffio di vento elettorale; ed ecco che si accendono i motori del fango, a pieni giri!
Perché, si sa, il problema non sono le promesse non mantenute, le giravolte ideologiche o la gestione creativa della realtà. No, il vero scandalo è parlarne. L’informazione, quel fastidioso insetto che ronza nell’orecchio del potere, ha la sgradevole abitudine di ricordare ai politici che esistono ancora cittadini con una memoria superiore a quella di un pesce rosso: non è una questione di “attributi”!
Il fango, però, è un’arma a doppio taglio. Se da un lato può danneggiare la reputazione di un giornalista o di un media, dall’altro rischia di ritorcersi contro chi lo usa. L’opinione pubblica, soprattutto in un’epoca di maggiore consapevolezza, non sempre cade nella trappola della manipolazione. E quando il fango si rivela infondato, il danno per chi lo ha lanciato può essere enorme.
Informare è un verbo che fa male! Fa male a chi amministra o crede di amministrare, perché costringe a confrontarsi con quella cosa arcaica chiamata responsabilità. Senza politici capaci di affrontare le critiche con maturità e trasparenza, il dialogo democratico si trasformerà sempre in una guerra sterile, fatta di accuse e controaccuse. La sfida, è tra la ricerca della verità e la responsabilità del potere. Ma niente paura! La macchina del fango è lì, pronta a ribaltare il tavolo: delegittima il cronista, etichettalo come fazioso, insinuane motivazioni occulte, e voilà, il problema non è più il contenuto della notizia, ma chi la racconta. Geniale, no? È come se, davanti ad un incendio, ci si arrabbiasse con chi grida “al fuoco” invece di spegnere le fiamme! Eppure, è quasi commovente: questa energia, questa dedizione nel costruire castelli di fango se solo fosse impiegata per mantenere una promessa, una sola: probabilmente vivremmo in un mondo migliore. Ma vuoi mettere la soddisfazione di screditare il messaggero per nascondere il messaggio? É la strategia più vecchia del mondo: alla fine, è più facile spegnere la luce che riordinare la stanza!
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