CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE: UNA BATTAGLIA CHE RIGUARDA SOPRATTUTTO GLI UOMINI

Molti anni fa, dopo una rappresentazione del mio dramma “PROCESSO A PORTE CHIUSE”, dedicato proprio a questa piaga della nostra società, fui invitato a un convegno-dibattito sul tema della violenza maschile, fisica e sessuale, sulle donne.

Discutendo delle cause della violenza, un prete ritenne di individuarle nelle norme del Codice Civile che stabiliscono la parità fra i coniugi e privano il marito – così egli disse – del diritto, che aveva in passato, di essere oltre che il capofamiglia, anche il suo protettore e così ingenerando nel poveretto un profondo senso di frustrazione. Una signora, da parte sua (credo che fosse terziaria di qualche ordine religioso ma non saprei dire quale), sottolineò che i maschi nascono pur sempre dalle donne, e quindi il germe della violenza sono le madri a trasmetterlo ai figli.

Insomma, conclusero i due, se i maschi sono violenti con le donne, la colpa è delle donne stesse, che non solo li generano psicologicamente tarati, ma poi pretendono pure di essere pari a loro, di godere degli stessi diritti e di non dover sottostare agli uomini, che siano padri, fratelli o mariti. Quindi, secondo quel prete e quella signora, gli uomini violenti, più che carnefici, sono vittime.

Qualcosa è cambiato, da allora? Davvero non sembra.

Il corpo di Giulia Cecchettin era stato appena trovato e il suo assassino era stato appena fermato, in Germania; Elena, la sorella di Giulia, aveva appena lanciato il suo grido, insieme di dolore e di rabbia, e già, dal coro di voci commosse, partecipi, indignate, preoccupate e straziate; già da quel coro si distaccavano le voci stonate, come quella della deputata Simonetta Matone, secondo la quale i maschi disturbati non hanno mai madri normali e dunque la colpa, se i maschi assassinano delle donne, è di altre donne; o la voce del consigliere regionale veneto Valdegamberi, e di quello riminese Montevecchi, secondo i quali Elena Cecchettin farebbe propaganda divisiva e sarebbe addirittura una satanista. Quest’ultima accusa, i consiglieri, l’hanno motivata basandosi sul disegno che appare su una felpa indossata da Elena, in realtà riguardante un marchio di skater.

Sono solo due esempi, i più eclatanti, di quanto ancora oggi, anche in circostanze come queste, la mentalità dominante sia più forte della ragione e il pregiudizio prevalga sulla constatazione dei fatti, rovesciando sulle vittime la responsabilità della violenza subìta e ammiccando comprensiva all’indirizzo dei carnefici.

Lo abbiamo già detto, dalle colonne di Cariatinet, e lo ripetiamo: Elena Cecchettin ha ragione, ed ha ragione su tutta la linea. I modi che usano coloro che tentano di smentirla non fanno che confermarlo: la mentalità maschilista è profondamente radicata nella nostra società, e chi lo nega mente in modo spudorato.

Fa male dover constatare che tra i difensori di questa mentalità ci siano anche delle donne, ma d’altra parte perfino in Iran ci sono donne che difendono l’oscurantismo degli ayatollah. Sono vittime ma non lo sanno, hanno subìto fin dall’infanzia un indottrinamento che fa di loro delle complici dei loro carnefici.

Ma ci sono altre donne, come Elena Cecchettin, che gridano ad alta voce il loro no, ed è la loro la voce che conta: la voce di chi denuncia, di chi si ribella, di chi dice basta.

Noi di Cariatinet non pretendiamo di ergerci a maestri e non abbiamo lezioni da dare a nessuno; ma come sempre abbiamo fatto, uniamo la nostra alla voce di Elena, ed offriamo il nostro sia pur modesto contributo perché la situazione cambi, perché la mentalità evolva e la società maturi.

È solo una goccia, ma anche i mari sono fatti di gocce.

E poi, si sa, la goccia scava la pietra, anche la più dura; anche quella dell’ottusità, dell’arroganza e della prepotenza. È una battaglia di civiltà che bisogna combattere.

E debbono essere gli uomini – quelli veri, quelli che le donne le onorano e le rispettano – i primi a combatterla.

Giuseppe Riccardo Festa

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