ANTONIO PAOLUCCI (29 settembre 1939 – 4 febbraio 2024)

Non si è parlato molto della scomparsa a Firenze, lo scorso 4 febbraio,  di Antonio Paolucci, che era nato a Rimini il 29 settembre del 1939 ed è stato ministro per i beni culturali e ambientali nel governo Dini, soprintendente per il Polo Museale Fiorentino e direttore dei Musei Vaticani, Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica, Medaglia d’oro ai benemeriti della cultura e dell’arte, Cavaliere dell’Ordine della Legion d’Onore francese, Cavaliere di gran croce dell’Ordine di San Gregorio Magno.

A dispetto di un così ricco cursus honorum non si è parlato della sua scomparsa, perché Antonio Paolucci non era certo un uomo che cercava le ribalte e non suscitava clamori né scandali: Antonio Paolucci era un uomo di cultura e in quanto tale era anche un uomo che non aggrediva, non insultava, non prevaricava mai. Chi ha avuto la fortuna e il piacere di ascoltarlo, durante uno dei documentari in cui illustrava la storia, il significato, il valore e la bellezza di un monumento o di un dipinto, ha potuto apprezzarne la pacatezza, alla quale si univano uno spiccato senso dell’umorismo e una bonaria ironia.

Se n’è andato discretamente e in punta di piedi e purtroppo, come succede a chi non urla, non strepita, non insulta, non cerca le ribalte, ben poco spazio gli è stato dedicato dai media, nonostante il contributo sostanziale che ha dato alla conoscenza del patrimonio artistico italiano, dimostrato oltre che dalla sua ricca bibliografia e dai numerosi riconoscimenti anche dalla sua partecipazione a numerosi programmi televisivi culturali.

Nel rendergli un affettuoso omaggio in queste righe, non posso non pensare allo stridente contrasto tra sua e la figura di un altro personaggio che, diversamente da lui, della competenza in materia di storia dell’arte ha fatto non un oggetto d’amore ma uno strumento di notorietà. È ovvio che stia parlando di Vittorio Sgarbi.

La competenza e l’erudizione non sono cultura. La cultura implica prima di tutto – senza stare a scomodare Socrate – la consapevolezza dei propri limiti, da cui discende l’onestà intellettuale (chiamatela, se preferite, umiltà) che, diversamente da ciò che fa Sgarbi, induce a proporre e non ad imporre le proprie conoscenze, a non sbruffoneggiare, a non alzare mai la voce, a rispettare i propri interlocutori, a riconoscere la possibilità che da chiunque si possa imparare, ad evitare ogni forma di volgarità, a non pretendere di impartire lezioni su ogni campo dello scibile in base al principio secondo il quale essere famosi permette di pontificare su ogni cosa.

Antonio Paolucci è stato un grande intellettuale, un grande uomo di cultura e un grande italiano.

Chi sarà il suo erede? Mi viene in mente il giovanissimo Jacopo Veneziani, che sicuramente è noto a chi segue, già su RAI3 ed ora su La7, il programma settimanale “In altre parole” di Massimo Gramellini: appena ventottenne, Veneziani è armato di una formidabile competenza nel campo delle belle arti, ha già un curriculum di tutto rispetto e soprattutto è spigliato, garbato, mai volgare, ironico quanto basta, mai arrogante e mai saccente.

Proprio agli antipodi di Vittorio Sgarbi e proprio come Antonio Paolucci che, ne sono sicuro, a Jacopo Veneziani avrebbe passato volentieri – e chissà che non l’abbia fatto – il testimone di portavoce della bellezza, della grazia, dell’armonia e dell’importanza della grande arte, italiana e non solo, e della gioia di condividere con il proprio prossimo il piacere di godere di tutto questo.

Giuseppe Riccardo Festa

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