AMERICA D’OGGI (IV) “Se vince Trump, se vince Harris…..”

di Marco Toccafondi Barni

– Sono due gattopardi a stelle e strisce.  Una scelta descritta come epocale, ma perché tutto cambi affinché niente cambi davvero.  Eccezion fatta per la narrazione, ovvio, l’unica cosa venduta molto bene alle ecumene  dall’ impero statunitense. Per le rispettive retoriche, infatti, quella democratica e quella repubblicana, curiosamente invertite nei colori rispetto alle nostre latitudini, il rosso per la destra con Trump e l’ azzurro per la sinistra con Harris, è al solito uno scontro epocale. In ballo c’è il futuro stesso degli Stati Uniti d’ America, poi la democrazia e infine le libertà; naturalmente per i media occidentali ogni cosa si basa soprattutto sull’ economia. Nel mondo reale niente cambierà davvero dopodomani, anzi, perché il cosiddetto “uomo più potente del mondo” (o donna stavolta, vedremo se gli Stati Uniti sono pronti) è tale solo per le nostre narrazioni, ma in verità chi siederà ed è stato seduto nello studio Ovale al 1600 di Pennsylvania Avenue a Washington ha da sempre scarsi poteri. Accade per volontà stessa dei padri fondatori, quest’ ultimi infatti non volevano un altro monarca e si puo’ capire facilmente anche il motivo, se si conosce un minimo la storia: erano appena fuggiti da un re e da una monarchia, difficile volessero replicare ciò da cui stavano scappando anche nel loro nuovo mondo. Ed è una consuetudine che, al pari del voto il martedì o dell’astruso sistema dei grandi elettori, va avanti ancora oggi: il presidente Usa ha dei poteri durante una guerra, al pari del dittatore nell’ Impero romano tanto caro all’ egemone attuale, per il resto conta unicamente nella narrazione in tutti gli altri giorni, durante l’ordinaria amministrazione. E’ dunque una figura importante sì, ma solo per la favella, visto che la sua parola viene senz’altro ascoltata in tutto il mondo proprio perché presidente della prima potenza mondiale, ma in quanto a potere decisionale pochino, decidono quasi tutto il Congresso e gli apparati statali. Non a caso il Presidente degli Stati Uniti non puo’ né sciogliere le Camere (lo fa perfino quello italiano) né porre dei dazi doganali verso altri paesi, anche se incredibilmente i media nostrani ci raccontano di sì. Dietro la parola quindi niente, trattasi solo di Soft Power e non di potere vero, davvero no.

Premesso ciò andiamo a vedere, punto per punto, quali sono le timide differenze tra i due candidati che stanotte si contenderanno la Casa Bianca nei rispettivi e più importanti dossier disseminati per il globo.

CINA E TAIWAN PER L’EGEMONIA

– E lo scenario di gran lunga più importante e sentito, infatti non è un caso se su tale dossier i due candidati la vedono quasi allo stesso modo e le tattiche previste non si distaccheranno più di tanto: sono quasi identiche sia per Harris che per Trump. Oggi la Cina, a livello economico e di produzione, rappresenta quello che il Giappone era negli anni ’80: uno spauracchio. Ma se fosse soltanto per il lato economico e produttivo pazienza, solo per le province come l’ Italia si tratta della questione fondamentale, il resto del mondo (Usa compresi) sa benissimo che l’economia è soltanto in vettore della potenza e del dominio. Il problema è che, a torto o a ragione, secondo me più a torto considerato il gap che ancora esiste tra le due potenze, la Cina viene vista cone l’unica nazione in grado di insidiare gli Stati Uniti nella loro egemonia e tutto passa appunto dall’ eventuale conquista di Taiwan, che insieme a Cuba è considerata una sorta di “lucchetto geopolitico”, ovvero chi ne detiene le chiavi chiude il proprio rivale in casa. Da ciò l’enorme importanza dell’ Isola chiamata Formosa dai portoghesi vista la sua bellezza per la Cina e soprattutto per chi è egemone. Trump adotterà una politica molto dura contro la Repubblica popolare, rafforzando la già visibile presenza americana dalle parti di Taipei e legandosi al Quad o persino coinvolgendo ex nemici come il Vietnam, ma persino il nord coreano Kim Jong – un, col quale il tycoon avevo comunque instaurato un rapporto personale da resuscitare. Harris dal canto suo farebbe la stessa cosa, tuttavia con toni molto più accesi e senza blandire il leader nord coreano, difendendo Taiwan anche con l’opzione militare e scaricando gran parte dei costi sugli alleati in zona come il Giappone o persino l’ Australia. Insomma, lo scenario è talmente rilevante che qui più che i presidenti deciderebbero gli apparati statali e l’esercito.

GUERRA TRA RUSSIA E UCRAINA

– Siamo all’ epilogo, signori miei, Putin non passerà alla storia come il leader che ha perso l’ Ucraina, almeno non tutta, perché si terrà i territori che ha conquistato anche se sarà un fatto non riconosciuto internazionalmente. Comunque nei fatti quelle zone saranno della Federazione russa per sempre. Trump in questo caso cercherà fin dalle prime settimane di gennaio un immediato cessate il fuoco, gli apparati sono davvero stanchi di questa guerra e il Mid West di più, di conseguenza un “congelamento” va bene a tutti. A differenza del mandato precedente stavolta i piani e le mire degli apparati, del Pentagono e del milionario newyorkese coincidono alla grande, soprattutto sulla questione Russo Ucraina, tanto che potrebbe essere il fattore decisivio, visto che “The Donald”, sfruttando anche il rapporto a dir poco amichevole con il leader russo, potrebbe essere la persona più adatta per una spartizione annunciata, voluta, cercate e infine trovata. Con buona pace, come al solito, di slogan su libertà, diritti e democrazia. Harris avrebbe un approccio senz’altro teso ad una difesa della narrazione democratica e liberale, meno spiccia e per questo meno affine al momento e ai piani degli apparati statali, aggiungiamoci che è poco esperta (anche se è stata la vice presidente per 4 anni, tale figura conta meno di zero) di politica estera e il gioco è fatto: deciderebbero tutto gli apparati. Ma siccome quest’ ultimi sono stanchi di questa guerra e non vogliono perdere tempo con le narrazioni dei democratici, stavolta è più adatto Trump. Potrebbe persino essere la questione decisiva per la vittoria del tycoon, vista la tendenza degli apparati statali per il 2025 e gli anni prossimi: congelare il tutto.

MEDIO ORIENTE E PALESTINA

– Ecco, in tal caso le differenze ci sarebbero ma siccome, come diceva Kissinger, il Sud del mondo conta zero nelle faccende della storia si avrà un nulla di fatto e tutto pro Israele. Oggi anche il Medio Oriente conta poco. Un approccio decisamente pro Israele e soprattutto pro Netanyahu, addirittura un cittadino statunitense fino a pochi anni fa, da parte di Donald Trump e qualche timida concessione alle illusioni dei palestinesi per Harris, che al solito resterà solamente nella chiacchiere. come tali portate via dal vento gelido della Storia. Per il resto non c’è altro, perché tanto di quella zona, di quella gente e soprattutto del fantomatico stato palestinese o dello slogan menzognero dei due popoli e due stati non interessa nulla a nessuno.

 

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