E vorrei che quei nostri pensieri, quelle nostre speranze d’allora, rivivessero in quel che tu speri,
o ragazza color dell’aurora.
(Italo Calvino, Oltre il ponte)
“Ci sono libri che attraversano le pieghe del nostro animo, …ci sono anche autori che …illuminano sentieri inesplorati” *
Una riflessione, questa mia, che risente del pathos della narrazione, che è – in questo caso – frutto della commovente rappresentazione teatrale che l’autore, attore, Amedeo Fusco, ha già portato in scena nei teatri di tante città italiane. L’opera letteraria ha un incedere coinvolgente, il racconto possiede i tempi della commedia; una drammaturgia intensa, carica come una molla potente; un dire che cattura la mente e il cuore. La lettura suscita un fluire di emozioni, c’è tutta una ricchezza interiore che sgorga all’improvviso e, irrora un vivaio carico, carico, di pensieri intimi e profondi. Qui – allora – le parole si fanno specchio senza alcuna ombra, dove vengono alla luce e si riflettono i segreti più inquieti della psiche; qui si riverberano ansie e tormenti che poi, entrano e restano dentro. Ci sono ferite lancinanti che, come una specie di spino, prima si conficcano dentro la pelle, poi affondano le punte acuminate nel costato, fino a dilaniare la carne viva, danneggiando la membrana sensibile d’ogni anima afflitta. La Frida della narrazione è, allora, l’emblema del “Calvario” silenzioso di una umanità sofferente, a tratti questa storia sorprendente ricalca il cammino della “Croce” di Cristo, con il suo martoriato procedere di Stazione in Stazione, sino al Golgota della vita. La Frida di Fusco diviene, davvero metafora tangibile dell’esistenza, della miseria umana, figlia di quei figli della sventura, delle gravi perdite e, delle sofferenze più inaudite. Una creatura umana, apparentemente fragile, ma incarnazione delle donne più energiche e mai arrendevoli. Femmina carica e gravata da infinite “pene”, che “vive” e sopravvive aggrappandosi e lottando, strappando, con forza inaudita, ogni giorno della propria vita alla morsa dell’angoscia e del dolore.
Fusco, è geniale nel riportare a dritta “la barra”, ponendo innanzi alla nostra attenzione la lettura della smarrita terra, “guasta” – sicuramente distratta dalle velocità complesse di questo tempo – l’abilità del racconto sta nel mostrare le piaghe sanguinanti e quel male di vivere, che non ha mai smesso di essere maledettamente vivo, e che continua a divorare una umanità “sventurata” che, “soffre e combatte silenziosamente” a pochi metri dal nostro fianco. Vicino alla nostra esistenza, dove purtroppo, continuano a perpetuarsi sciagure e angoscia che, attanagliano una moltitudine di fratelli; disgrazie forse meno visibili, nello stridore dei tempi, ma di grande affanno e sofferenza. Molte volte, gli spasimi appartengono, tristemente, ad anime “sole”, dolentemente sofferenti e inquiete. “Siamo vivi perché vogliamo vivere. […], (1) nella Frida dell’opera narrativa c’è di più, c’è quell’oltre, quello spingersi più in là là del valico, più avanti della “supina accettazione del mondo com’è”. Fusco conosce e racconta la forte contrapposizione, la lotta, verso il superamento della linea dell’ostinazione, nonostante tutto, nonostante ile atrocità del male. Scorrendo le pagine di questo volume, ìl dolore, la sofferenza e il tormento diventano amare agonie che avvicinano l’umanità disarmata e prona al divino. Una piaga crudele che diventa il filo che lega tutti alla speranza, già, a quella speranza, sorella della misericordia, di cui ognuno sente bisogno. La scorrevolezza del testo, avvicina la mente a tante pagine belle della letteratura e della poesia, e forse è proprio una necessità dell’anima ricorrere a quella forza caparbia dei poeti ai loro versi sublimi, alla nobiltà dello spirito:
IPAZIA: Mi credevo compiuta.
UNA VOCE: Non lo sei ancora. C’è tutta l’enorme distesa del diverso,
del brutale, del violento,
contrario alla geometria del tuo pensiero
che devi veramente intendere. […]
Tutto ciò che devi combattere
devi anche portare su di te,
accoglierlo nel tuo cuore e lì dentro vincerlo. (2)
A questo punto non saprei dire se il ricorso alla poesia e ai poeti, l’essenzialità e la musica dei versi, abbiano quella potenza necessaria per alleviare le pene infinite degli esseri umani, ma sovente troviamo rifugio, in quelle parole scarnificate, nelle melodie silenti, meditate e mai inappropriate, per una sosta dell’anima, un ricovero mistico che, a volte, può attenuare anche una sofferenza infinita. Per questo per il racconto di Frida l’artista, è il canovaccio su cui leggere mille storie umane di tante sfortunatissime donne, d’ogni tempo e d’ogni martirio.
Per l’autore Amedeo Fusco, e per le martiri di ogni epoca, voglio trascrivere i versi incredibili dell’inquieto poeta lusitano, Fernando Pessoa:
Nulla
Gli angeli vennero a cercarla
la trovarono al mio fianco,
lì dove le sue ali l’avevano guidata.
Gli angeli vennero per portarla via.
Aveva lasciato la loro casa,
il loro giorno più chiaro
ed era venuta ad abitare presso di me.
Mi amava perché l’amore
ama solo le cose imperfette.
Gli angeli vennero dall’alto
e la portarono via da me.
Se la portarono via per sempre
tra le ali luminose.
È vero che era la loro sorella
e così vicina a Dio come loro.
Ma mi amava perché
il mio cuore non aveva una sorella.
Se la portarono via,
ed è tutto quel che accadde. (3)
L’opera letteraria ”Amedeo Fusco racconta Frida Kalho” è nata bilingue: in italiano e spagnolo, apre il volume la prestigiosa prefazione di Hilda Trujillo – già direttrice del Museo “Casa Azul Frida Kalho” di Città del Messico – che, per il bel libro di Fusco, ha speso parole importanti e preziose definendo il lavoro di grande carattere: “Ci sono state così tante esposizioni su Frida Kahlo in tutto il mondo che, essendo studiosa del tema, non riesco a contarle, tra collettive e individuali… Ci sono anche film su Frida, ci sono molti documentari sulla sua vita e la sua opera, ma quasi nessuno si distingue particolarmente… Quanta sorpresa leggere la narrazione di Amadeo, si tratta di un resoconto della vita di Frida, la comprende da un punto di vista sensibile e umano, riassumendo in modo affettuoso senza indulgenze… “Ci sono libri che attraversano le pagine e si insinuano nelle pieghe del nostro animo, ma ci sono anche autori che con le loro parole illuminano sentieri inesplorati”. Quella della Tujillo è una corposa sottolineatura sull’originalità, l’essenzialità e la potenza espressiva, mutuata dalla narrazione di struggenti pagine vere; perché questo testo, sa davvero come arrivare dritto, dritto al cuore della gente. Alla prima della presentazione del volume, presso il Museo della Cattedrale a Ragusa, hanno dato il loro apporto scientifico e culturale: la dottoressa Marisela Morales, già Console del Mexico; l’intellettuale archeologo Saverio Scerra; l’intellettuale studioso Giovanni Ottaviano, lo scrittore giornalista Rosario Sprovieri; il tenore Dario Adamo che ha interpretato magistralmente “paloma negra”, brano contenuto nello spettacolo, la traduttrice interprete per la lingua spagnola Raffaella Pisana. La manifestazione culturale si è avvalsa del patrocinio del Centro di Aggregazione Culturale di Ragusa, che ha curato direttamente l’edizione del libro, adesso in commercio, insieme al coordinamento per la Grafica e l’impaginazione di: Isabella Maria B. La manifestazione è stata sostenuta dai partners: Cimbali Coperture, Tomaso Attrezzature, Cantunera, Magazzè, Il Carroccio, Il Baglio, Nuova Avir Service Iveco. La sala era gremita in ogni ordine e grado, notevole la presenza di artisti, intellettuali, giovani studenti, giornalisti e operatori del mondo virtuale e del web. Il libro è in vendita.
Rosario Sprovieri.
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