Uno potrebbe dire: e lo chiamano il misericordioso. Figurarsi se fosse spietato. Ma in realtà quel Dio - loro lo chiamano Allah – nel cui nome pretendono di esercitare la loro presunta giustizia, con gli assassinii che perpetrano non c’entra nulla.
In realtà la loro pretesa giustizia si chiama vendetta. Mai, quando un giudice emette una sentenza di morte, la giustizia ha qualcosa da spartire col verdetto; meno che mai quando dietro la sentenza ci sono la prevaricazione, il pregiudizio e la legge del più forte, come è successo a Reyaneh Jabbari.
Tu, Reyaneh, avresti potuto evitare la forca: avresti potuto sconfessare te stessa e dire che no: quando, appena ventenne, avevi ucciso quell’uomo, anni fa, non si era trattato di autodifesa dalla più odiosa delle aggressioni, il tentativo di stupro. Forse, se l’avessi fatto, la famiglia del tuo aggressore avrebbe concesso di permutare la tua condanna nel carcere a vita.
Ma tu sapevi di essere nel giusto ed hai continuato a gridare la tua innocenza e il tuo diritto. E sei morta così, impiccata, vittima di una legge spietata e a senso unico, pensata da maschi e ad uso di maschi, e tanto più vile in quanto ipocritamente verniciata col crisma della religione.
Un’altra donna - giovane, anche lei - era stata assassinata in Siria, pochi giorni prima, da carnefici che si arrogano il diritto di agire nel nome del loro dio: lapidata, con l’accusa di adulterio, sotto gli occhi e con la benedizione di suo padre, al quale invano ha chiesto il perdono che le avrebbe salvato la vita.
Noi, Reyaneh, di questi abomini, ci siamo liberati: da noi nessun mullah e nessun ayatollah possono osare di imporre come legge civile un’incivile norma pseudo-religiosa. Certo, da noi ancora troppi uomini si credono padroni delle donne, e ne abusano, fino a decretarne la morte, se osano rivendicare il loro diritto di scegliere e di essere libere. Ma da noi, fra le mille contraddizioni che pure turbano lamministrazione della giustizia e i rapporti fra i sessi, quegli uomini sono condannati, prima che dai codici, dalla coscienza civile, e sono giustamente considerati vili e indegni.
Addio, Reyaneh. Tutti gli appelli, tutte le invocazioni, tutte le preghiere che da tutto il mondo si sono levate verso i tuoi aguzzini sono stati inutili. O forse no: forse, così come una piccola pietra cadendo da un monte può diventare una frana che tutto distrugge sul suo cammino, il tuo sacrificio agirà sulle coscienze dei tanti che, anche nel tuo Paese, provano orrore per una giustizia così ingiusta come quella che hai subìto; e, forse, il grido disperato di tua madre scuoterà il muro apparentemente indistruttibile del potere e del fanatismo; e una piccola, apparentemente insignificante crepa si formerà su quel muro.
Questo non ti restituirà, Reyaneh, la vita che ti hanno rubato. Ma, forse, grazie a te, un giorno quel muro crollerà; e saranno i tuoi giudici ad essere giudicati.
Da donne, e secondo giustizia, quella vera; ma senza pietà.
Giuseppe Riccardo Festa
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