35 minuti che mi hanno fatto diventare grande!?

Fu quello il mio primo momento da solo

a funny little girl measuring herself with a yelow meter

Come é bello scivolare nei ricordi. Accomodarsi lentamente in circostanze e persone di un tempo ormai andato.

Ricordi che dolcemente accarezzi quando ne hai voglia e quando i fatti della vita, inaspettatamente, ti riportano all’improvviso indietro perché quasi li hai rimossi dalla mente.

Il 9 maggio del 1978 é una data per me storica. Il vero spartiacque tra l’essere bambino e il diventare grandi. Il trapasso da una fase fanciullesca e, ahimè, alla consapevolezza che ormai potevo cavarmela da solo.

Fu quello un giorno anche molto particolare per il nostro amato Paese. Venne segnato un momento triste nella storia della nazione e di molte generazioni, compreso anche la mia.

Ero a Roma. Avevo da poco compiuto 11 anni. Al Palaeur si tenevano i campionati italiani di scherma categoria maschietti. Un torneo, il Gran Premio Giovanissimi, che richiamava nella Capitale migliaia di ragazzi e ragazze, che nelle loro città d’origine praticavano la scherma. Uno sport non tanto comune.

A quel tempo i piccoli schermitori passavano obbligatoriamente per il fioretto. Non avevano possibilità di scelta come invece oggi, di iniziare la pratica con un’altra arma: sciabola e spada.

Roma nel marzo precedente era stata scossa da un evento increscioso. Siamo negli anni del terribile terrorismo. Le Brigate rosse segnavano le cronache giornalistiche quotidiane.

Da ben 55 giorni l’Italia era nell’attesa di conoscere le sorti di Aldo Moro, nonché Segretario della Democrazia Cristiana. Il partito che all’epoca governava l’Italia e che annoverare tra le sue fila tantissime autorevoli personalità politiche.

Era la mia seconda esperienza sportiva a livello nazionale. L’anno precedente fui eliminato al primo turno. Piansi come non mai. Una stagione buttata al vento. Volevo finire lì la mia carriere nello sport, più che altro conosciuto per il “duello”.

Invece, quella volta le cose andarono nel migliore dei modi. A metà giornata avevo già superato diversi turni eliminatori. Stavo per iniziare a tirare il girone dei quarti di finale. Turno per accedere alle semifinali e per entrare nei primi dodici d’Italia.

Un traguardo che mi inorgogliva e che non avrei mai pensato di raggiungere. Mi sarebbe bastato fare qualcosina di meglio rispetto lo scorso anno. Fui fortunato. Entrai in una serie positiva di risultati.

Mentre stavo per salire in pedana per il primo incontro dei quarti di finale mi resi conto che un gran trambusto animava il grande Palaeur. Uno spazio sconfinato che intimidiva noi piccoli schernitori per il rischio di potersi perdere tra i diversi piani.

Tuttavia perché concentrato e in tensione per l’incontro non feci molto caso alla confusione che mi circondava. La ritenni normale. Non immaginavo per niente a cosa era dovuta.

L’atleta che mi accingevo a incontrare era di una blasonata società del nord Italia con cui non mi trovavo a mio agio a tirare. Un avversario ostico. Chiuso nella sua difesa.

Avevo perso con lui al secondo turno eliminatorio per ben 5 a 1. Una gran batosta che ancora sentivo tutta, compreso le grida del mio maestro che provava a bordo pedana a farmi reagire.

Una voce dall’altoparlante invitò a fermare un attimo gli assalti. Venne comunicato dallo speaker il ritrovamento del corpo di Aldo Moro a Via Caetani, dopo ben 55 giorni di prigionia. Purtroppo il noto statista era morto.

Una fine che in seguito generò molte reazioni e una spirale di processi giudiziari e indiscrezioni che ancora forse non hanno avuto conclusione.

Si decise, allora, di sospendere la gara rimandando gli assalti eliminatori al giorno seguente. Il volto di mia mamma quasi sbiancò. Come se fosse venuta a sapere la più immane tragedia. Non mi spiegavo per niente quella reazione. Che mi lasciò in silenzio.

Non avevano prenotato nessun albergo. Le nostre economie non lo permettevano. Saremmo dovuti rientrare a Napoli in treno al termine della giornata.

Eppure io potevo giocarmi il sogno di far parte dei primi dodici atleti d’Italia. L’emozione era tanta. La vedevo però svanire tutta all’improvviso.

Cosa avremmo dovuto fare?

Ebbene la decisione fu subito presa. Mio fratello che era impegnato come arbitro della competizione pensò che avrei potuto dormire con lui in albergo. A giorni lui avrebbe compiuto 18 anni. Ma c’era da accompagnare mamma alla stazione Termini.

Lasciarono prima me in albergo. Una struttura ricettiva che stava sulla Cristoforo Colombo. A seguire mio fratello accompagnò mia mamma con la metro in stazione. Attraversando una Roma silenziosa e intimorita. Blindata all’inverosimile. Qualcosa che forse non sarebbe dovuto avvenire.

Non nascondo la paura che provai a stare solo in albergo. Speravo che mi avrebbero lasciato in affidamento a qualcuno che conoscessi. In compagnia ad esempio di qualche altro genitore o maestro.

Fu quello il mio primo momento da solo. Mai era accaduto prima. I miei primi 35 minuti in solitario. Senza nessuno al mio fianco. Una sensazione che ancora oggi mi prende lo stomaco. Non sapevo cosa fare. Ero letteralmente pietrificato.

Una volta che mio fratello e mia mamma mi lasciarono la mia mente iniziò a girare a mille. Ero nello stesso tempo timoroso, ma anche coraggioso. Pensavo a cosa poteva succedere a mio fratello che aveva sfidato le sorti pur di accontentare mia mamma, che per nessuna ragione volle restare quella notte a Roma anche non comprendendo il rischio cui andava incontro unitamente a mio fratello.

Presi le chiavi e salì in camera. Mai avevo visto una stanza d’albergo. Accesi la luce e mi sedetti sul bordo del letto. C’era una piccola televisione in bianco e nero e l’accesi. Le immagini erano tutte riservate al ritrovamento di Aldo Moro.

La voce del giornalista incuteva tensione e timore. Come se l’irreparabile da qui a qualche ora avrebbe avuto ad oggetto Roma e il paese.

Mi ritrovai davanti a un fatto compiuto. I miei senza forse immaginarlo mi investirono di una responsabilità che mi fece sentire forte e autonomo. Un senso di autonomia che a tornare indietro non scambierei con nessuna cosa al mondo.

Da quel momento in poi pensai che avrei potuto camminare sulle mie gambe, facendo tesoro di quei interminabili 35 minuti in solitario. Fatti di un buio impenetrabile che un po’ per volta riuscii a penetrare, guardando avanti con più forza dell’istante precedente.

Ogni minimo movimento segnava una conquista. Un passo in avanti significativo che mi faceva sentire maturo. Pronto alla sfida.

Che dite di evitare da genitori di essere meno schiacciasassi e rassicuranti per i nostri figli e di riempire le loro giornate di qualcosa di più rischioso, per farli affacciare su una vita reale piuttosto complicata? Un esercizio che andrebbe fatto senza troppi se e troppi ma!

Nicola Campoli

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