
Che bel viso, eh? Potrebbe essere la figlia di uno qualunque di noi. O la nipote: 19 anni, un sorriso fra l’ironico e il divertito, quegli occhi enormi.
Potrebbe essere una studentessa di una qualunque nostra università, vestita alla militare: se ne vedono tante, in giro. Che magari, dopo un esame o una lezione, se ne va in un baretto, vicino alla facoltà, a bere un’aranciata con le amiche e poi a fare un po di shopping: come tutte le ragazze normali della sua età. Magari, poi, va a ballare col suo ragazzo in qualche discoteca.
E invece no. Non è una ragazza italiana, questa. Non è una studentessa e nemmeno una ragazza come tutte le altre. Per meglio dire, purtroppo, non lo era: è morta.
Si vede, dalla foto, che amava la vita, che nel futuro ci credeva. Si chiamava Ceylan Ozalp ed era una combattente nell’esercito curdo. Combatteva a Kobane. Era circondata, senza più munizioni, e allora non ha esitato. Piuttosto che arrendersi, si è fatta saltare in aria, portando con sé una diecina di talebani dell’IS, per non cadere viva nelle loro mani.Se l’avessero presa avrebbe subito una sorte atroce; ha preferito finire così.
Kobane è una delle città del mondo - come Gaza, Nassirija, Herat, Kandahar, Grozny e tante (troppe) altre – che forse non avremmo mai sentito nominare, se non fosse per le guerre che le insanguinano, e che ogni giorno ne fanno oggetto di lugubri resoconti di decapitazioni, autobombe, fughe di civili, bombardamenti, stragi.
Forse è proprio questo il problema. A forza di vederli, quei resoconti, abbiamo sviluppato una specie di assuefazione. Con indifferenza, quasi appartenessero a una fiction, registriamo quelle immagini sopra le altre, quelle della manifestazione sindacale, della pubblicità del Mulino Bianco, delle previsioni del tempo e delle notizie sul traffico.
Ma poi capita di vedere quegli occhi, quel volto di ragazza che potrebbe essere nostra figlia, o nostra nipote. E viene da riflettere. Ci rendiamo conto che non è un videogame, e nemmeno un film di Sylvester Stallone. È guerra vera, senza quartiere e senza misericordia, di Curdi male armati e forti solo della loro disperazione, che resistono eroicamente all’aggressione di un esercito spietato, fanatico e feroce. E muoiono, a centinaia, circondati dall’indifferenza o peggio dal cinismo: come quello del presidente turco Erdogan, a cui non pare vero che l’IS faccia il lavoro sporco di sterminare gli odiati Curdi prima di intervenire, e guadagnarsi agli occhi del mondo il merito di averlo sbarazzato dalla minaccia di quei fanatici esaltati. Due piccioni con una fava.
E noi, che dell’IS abbiamo paura ma non vogliamo sporcarci le mani? Per carità, di scuse ne abbiamo quante ne vogliamo: le relazioni internazionali sono complicate, gli equilibri fra le potenze sono fragili, la situazione globale è tesa. E poi, che fare? Mandare una forza di spedizione internazionale laggiù? E chi, come, a fare cosa? E poi, che diavolo, mica possiamo farci carico dei problemi del mondo! Abbiamo già i nostri a cui pensare, e non sono problemi facili.
Tutto giusto. Eppure …
Eppure, quando guardo la foto di Ceylan penso al presente di ragazzina allegra e serena che le è stato strappato e al futuro di donna felice che come qualunque altra diciannovenne aveva il diritto di sognare. E penso alle tante altre sue coetanee, ai suoi coetanei, ai Curdi innumerevoli che combattono disperati e che la nostra inerzia sta aiutando a massacrare. Non so voi, ma sento che anche io, in qualche modo, sono responsabile della loro morte.
E mi vergogno.
Giuseppe Riccardo Festa
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