SANREMO, TERZA SERATA: di nuovo, viva gli ospiti.

All’apertura del sipario mi viene in mente Ezio Frigerio, il grande scenografo che ha avuto, poveretto, il torto di morire lo stesso giorno di Monica Vitti: l’ha ricordato solo Rai5, trasmettendo un “Don Giovanni” di Mozart con le sue scene, mentre nessun TG l’ha nominato manco di striscio. Lui, di sicuro, le scene dell’Ariston le avrebbe realizzate in modo molto più elegante e raffinato che non con l’allestimento chiassoso e kitsch di quest’anno, che sembra un vestito di Orietta Berti ingrandito di qualche taglia, ma neanche tante.

Amadeus esordisce con un bell’omaggio al Presidente Mattarella, che oggi ha giurato per il suo secondo mandato (dando anche una lezione di civiltà, di stile, di pacatezza, di senso civico e di senso della politica ai parlamentari che l’hanno applaudito ma si guarderanno bene dal dar seguito alle sue indicazioni) dedicandogli “Grande, Grande, grande” in un arrangiamento orchestrale breve ma bello.

Stasera si riascoltano tutte le canzoni in gara e a votare sarà il pubblico televisivo. Il televoto potrà modificare parecchio la classifica, perché a prescindere dalla qualità dei pezzi di sicuro si scateneranno le tifoserie e le case discografiche per spingere i rispettivi beniamini. Staremo a vedere.

La gara comincia con Giusi Ferreri, che è abbigliata in un tailleur-pantalone nero dalla giacca tutta tagliuzzata che, presumo, dovrebbe sembrare sexy; ma la fascia in vita è troppo stretta e fa prorompere ben poco sexy cuscinetti di ciccia. Interpreta “Miele” esordendo, da piazzarola qual si vanta, con dei vocalizzi in un megafono. Ma il brano non è sgradevole, in fondo, o forse sono io che, dopo aver ascoltato il Presidente Mattarella oggi pomeriggio, sono portato ad essere meno sgradevole del solito. Voto, stasera, 6.

Poi si passa all’amore-finito-ma-la-vita-continua sciorinato in un rap dalla coppia più brutta della rassegna: Highsnob e Hu che eseguono “Abbi cura di te”. Tatuaggi a parte, oggi sono vestiti anche peggio di ieri, lei sempre tutta bianca e lui tutto nero, entrambi con abiti troppo larghi e lui che indossa chissà perché guanti neri di cuoio mentre mitraglia nel microfono il rosario del suo rap. Confermo il pessimo giudizio di ieri, sul piano musicale e anche su quello estetico. Voto 0

Dopo una rapida ospitata di Elisa Balsamo, campionessa di ciclismo che esibisce un decolté che fa dimenticare le fattezze non esattamente raffaelliane del volto, Amadeus introduce la terza canzone, “Sei tu”, del cupo Fabrizio Moro che sorride poco e per fortuna, perché dà l’impressione, quando sorride, di star meditando un genocidio. Lascio scorrere la parte iniziale del pezzo, gorgogliata al solito, in stile scarico del lavello, a livelli di sette decibel sotto il rutto, salvo poi avere un soprassalto quando grida rauco il suo amore per quella “tu” che, dice e ripete, gli attraversa l’ossigeno. Voto 4, avanti il prossimo.

Si va veloci e si passa al quarto pezzo con Aka7, stasera più inguardabile che mai in un vestito a doppio petto rosa confetto sei taglie sopra la sua ma in compenso coi pantaloni tagliati a mezza caviglia. Canta “Perfetta così”. Se i suoi gusti in fatto di donne somigliano a quelli che ha in materia di abbigliamento, non voglio conoscere la sua ragazza. Non parliamo poi della sua musica e della sua voce, della solita raffica di parole, del suo cantare tutto di gola. Però debbo ammettere che una qualità ce l’ha: è giovane, anzi, ggggiòvane (stasera 4 “g”: ancora una serata, e arrivo ai 5G anche se non me li hanno iniettati con la vaccinazione anti covid). Ma malignamente mi dico che fra qualche anno, di qualità, perderà anche quella. Voto 1.

Dopo la pubblicità entra finalmente in scena Drusilla Foer, un bello schiaffo di Amadeus in faccia ai benpensanti (diconsi “benpensanti” quelli che, in realtà, quando pensano pensano tutto il male possibile) di bassa lega, o meglio di lega nord. Duettano simpaticamente e con ironia, soprattutto con autoironia, poi introducono il quinto pezzo in gara: “Lettera di là dal mare” cantata da Massimo Ranieri. Ho letto critiche a sue incertezze vocali, che in effetti anche io avevo percepito durante la prima serata, ma che non ho tenuto in considerazione perché da tenere in considerazione ci sono altre cose: le sue doti interpretative, la qualità e il senso morale del testo, la bellezza della musica e dell’arrangiamento: viva i grandi vecchi, quando hanno la musica dentro e il talento nel sangue. Voto: 8.

D’Argen d’Amico, sesto, esegue in pigiama – se non è un pigiama gli somiglia molto – “Dove si balla”, un pezzo musicalmente nullo ma adatto a fare quattro salti (come da titolo), percorrendo il palco e poi scendendo fra il pubblico e riscuotendone il plauso, e dimostrando così che si tratta di un pubblico accuratamente selezionato. Non manca la sezione recitata, anzi, snocciolata, perché i ggggiòvani debbono rappare, sennò che ggggiòvani sono?

L’interprete del settimo pezzo, Irama, ha dismesso la rete da pesca bianca che indossava l’altra volta per indossare un giubbetto aperto senza maniche ma con molte tasche ed esibisce in modo più evidente, sul petto seminudo, i suoi tatuaggi che sono obbligatori quando si è ggggiòvani. Esegue “Ovunque sarai” di cui, tanto per cambiare, all’inizio non si capisce una parola, sebbene ad accompagnarlo ci sia solo il pianoforte. Tuttavia, nel prosieguo il pezzo migliora; le sue doti interpretative non sono eccelse ma al secondo ascolto rivaluto il brano e gli elargisco addirittura un 6.

Lunga ospitata di Cesare Cremonini, dopo la pubblicità che include un cartone animato di Redbull che metterà anche le ali, ma l’ho bevuta una volta sola e mi ha fatto un tantino schifo e dopo un profumo di Versace, debitamente promosso da una miagolante voce femminile in inglese (succederà lo stesso, più avanti, con un profumo di Paco Rabanne): se non sai l’inglese, i profumi non potrai mai comprarli.

La fantasia di suoi pezzi che Cremonini interpreta mette in evidenza, anche al primo ascolto, la differenza abissale che corre fra il vero talento di uno che sa cantare, scrivere e comporre e la quasi totalità dei concorrenti al festival; e umilia quella quasi totalità.

Ma poi bisogna tornare alla gara, e tocca all’ottava canzone con Rettore e Ditonellapiaga, con la loro “Chimica”. Rettore stasera nell’abbigliamento è più sobria ma non rinuncia alla nuvola bianca che si è messa sulla testa; la canzone si conferma una riciccescion (prendo in prestito il termine da Dose e Presta de “Il Ruggito del Coniglio”) di uno stile che sa di anni ’80. Probabilmente avrà successo nelle discoteche, ma musicalmente non si alza al di sopra della canzonetta buona, appunto, giusto per fare quattro salti. Confermo il 5 del primo giudizio.

La nona canzone in gara, introdotta da Drusilla, è “Inverno dei fiori” proposta da Michele Bravi, terribile e lezioso in un completo rosso con stivaloni e mezze maniche di cuoio, anch’esse rosse ma di nuovo con i fiori bianchi. Non si capisce una parola di quello che dice ma continuo ad avere la sensazione di non perdere molto. Quando infatti Bravi articola qualche parola comprensibile, riesco di nuovo a percepire la frase “se fossimo dei suoni sarebbero canzoni”. Poi torna al piagnucolio gutturale che caratterizza la maggior parte dell’esibizione (abbigliamento a parte). Voto 2.

A proposito di Dose e Presta, durante la pubblicità non posso fare a meno di notare che i pezzi inverecondi che i due mattacchioni distruggono nella loro esilarante rassegna “La coppa Rimetti” non sono poi tanto peggiori di molti di quelli che sto ascoltando al festival e che, viceversa, quei pezzi del festival potrebbero benissimo essere oggetto degli sberleffi del pubblico di Dose e Presta: il livello qualitativo di musiche, testi e interpretazioni non è per nulla diverso: penso ad esempio a “Perfetta così” di AKa7 e a “Insuperabile” di Rkomi.

E siamo al decimo pezzo appunto con Rkomi e la sua “Insuperabile”. Il ggggiòvane incongruamente si presenta in maniche corte ma con pesanti guanti di cuoio che gli arrivano quasi ai gomiti. Sul pezzo tacere è bello, ma più bello sarebbe se a tacere fosse proprio il pezzo. Voto: 0.

Undecimo brano quello di Mahmood e di Blanco, con “Brividi”. I due si presentano (sta diventando un vizio) l’uno tutto in bianco, pantaloni e giacca tre taglie sopra la sua, l’altro tutto in nero, ma con camicia trasparente sotto un mantello anch’esso trasparente (viva la sobrietà) ed esibendo i tatuaggi sul petto glabro. Mentre Mahmood singhiozza i suoi striduli versi (andare via, accetterei una bugia, e altre consimili originalissimi piacevolezze), l’altro si appresta a snocciolare una raffica di rappate. So’ ragazzi. Io gli do un rotondo zero, ma potrebbero vincere il festival.

Drusilla fa un’entrata spiritosa travestita da Zorro e insiste con l’autoironia scherzando sul proprio travestitismo.

Ora tocca a Gianni Morandi, che torna ragazzino (o resta ragazzino) con “Apri tutte le porte”, che purtroppo è di Lorenzo Jovanotti. Ma, come già ho rilevato, nel magma informe che caratterizza il novantanove per cento delle cose proposte, perfino una cosa di Jovanotti, peraltro migliorata dall’interpretazione di Morandi, diventa accettabile. Voto: 6. A Morandi, non a Jovanotti.

Torna Cremonini, simpatico e brillante, con un brano nuovo, “La ragazza del futuro”, che fortunatamente per tutti i cantanti in gara (esclusi la sola Elisa e Ranieri) non è in gara, o se no per loro non ci sarebbe ombra di speranza. Si conferma comunque la differenza fra uno che veramente sa fare musica e scrivere testi e loro, poveretti, il che vale anche per il pezzo successivo proposto da Cremonini, uno scanzonato twist carico di energia. E poi non capisco come mai la voce degli ospiti bravi è chiara, forte e distinta mentre quella di quasi tutti i cantanti in gara è sempre coperta dall’orchestra, anche quando l’orchestra non suona. Che poi, a pensarci, non è che sia una cosa negativa.

Arriva Tananai, il peggiore in assoluto della rassegna, con “Sesso occasionale”. È a tal punto inqualificabile che finisce per diventare interessante: non come musicista o cantante (questo sarebbe impossibile) ma come fenomeno antropologico, una sorta di modello archetipo di come un cantante, ma che dico un cantante? Un ggggiòvane, ma che dico un ggggiovane? Un essere umano non dovrebbe essere. Non reggo all’ascolto del brano nella sua interezza e tolgo l’audio al televisore aspettando che termini. Il voto, ovviamente, non può superare lo 0.

Eccoci alla quattordicesima canzone: Elisa, con un altro abito bianco e sempre con quel suo strano trucco. “O forse sei tu” la ascolto volentieri, le perdòno i tatuaggi e le confermo il mio 8.

È il momento di Roberto Saviano, che ricorda con parole altissime e nobilissime le figure dei giudici Falcone e Borsellino, di Rita Partanna e di tanti altri, magistrati e poliziotti vittime delle mafie. Il fatto che l’abbia invitato conferma la sommessa grandezza morale di Amadeus, che presentandolo ricorda e scandisce i nomi dei due grandi magistrati e di tutte le altre vittime di quei due orrendi crimini.

Purtroppo poi si passa alla Costa Toscana con Rovazzi e Berti, il cui abito rinuncio a commentare perché è incommentabile. Mi limito a riferire che lei stessa lo dichiara ispirato a un piumino da cipria; ma date le sue non esattamente efebiche proporzioni, ancora una volta mi ricorda il film Fantasia di Disney e le vezzose elefantesse ballerine de “La danza delle Ore”. Rovazzi, in compenso, indossa un vestito color carta da zucchero da parente povero al matrimonio del parvenu, con una cravatta multicolore che grida vendetta al cielo.  I due presentano una certa Gaia, una stangona brasiliana che canta una cosa invereconda ma nessuno ci fa caso, a parte me, in grazia del suo rimarchevole stacco di coscia.

Dopo l’inutile siparietto marinaro si passa alla quindicesima canzone in gara, “Ciao ciao” del duo “La rappresentante di lista”, al momento terzi in classifica. La componente maschile del duo insiste col rosa, stasera non solo nei capelli ma anche nell’improbabile e sbilenco frac che indossa. Lei di diademi, nell’emporio cinese, deve averne comperato uno stock: stasera ne ha in testa un altro, simile a quello della prima sera. Immagino che la cosa che cantano piaccia perché fa ballare; ho letto su “Repubblica” che il testo è originale e provocatorio. Sarà. A me, per usare un francesismo, continua a sembrarmi ‘na strunzata, buona giusto per fare quattro salti. Voto 4.

La sedicesima cantante la presenta Drusilla. È Iva Zanicchi, con “Voglio amarti”, Uno scambio di battute fra le due, prima dell’esibizione: Zanicchi, con sublime dimostrazione di cattivo gusto, allude al fatto che l’altra è en travesti e dice a Drusilla “hai qualcosa in più di me”; l’altra, serafica, ribatte: “Sì, io sono più colta”. Game, set e match per Drusilla.

Si direbbe che quanto più le canzoni sono brutte, tanta più gente è coinvolta nella loro produzione: per raffazzonare “Voglio amarti” ci si sono messi in cinque. L’aquila, ahilei, si conferma ormai incapace di volare più alto di tanto, con notevoli difficoltà di intonazione e una marcata raucedine nella voce. Non che io abbia mai smaniato per ascoltarla, Iva Zanicchi, ma in passato i suoi mezzi vocali erano ben altra cosa. E la canzone, poi, è di un banale – parole e musica – che al confronto le rime “fiore-cuore-amore” e i tre accordi de “La canzone del sole” sono lampi di originalità. Voto 4, giusto per onorare un passato ormai irrecuperabile.

E siamo a diciassette: “Domenica”, con Achille Lauro e le sue coriste che meriterebbero le attenzioni del dottor Nowzaradan, quello dei bulimici USA. Le sei giunoniche dame hanno in testa strani cappelli aureolati che non migliorano certo il loro aspetto, per non parlare delle imbarazzanti coreografie che eseguono alle spalle di Lauro. Lauro che ha cambiato look, con una pettinatura a frangetta e un giubbetto nero aperto sul petto, oggi non nudo, ma nudi restano i piedi. Il brano è un qualunque rock and roll che non sa né di me né di te, nonostante le allusioni e le citazioni più o meno volute che contiene. Pur di farsi notare Lauro non esita a mettersi le mani nelle mutande, forse inconsciamente volendo confermare che la sua è una canzone del… (ci siamo capiti).

Ospitata dell’attrice Anna Valle, che deve lanciare uno sceneggiato in cui – guarda tu che novità – interpreta un’infermiera che lavora in un ospedale. Amadeus le fa presentare “Virale” di Matteo Romano, il ragazzino che rischia di avere un futuro nel mondo della canzone. Il ragazzino ha un faccino pulito e caruccio, ma quando emette i suoi versi pieni di svirgolature mi fa venire il nirbuso, come direbbe il commissario Montalbano. È ggggiòvane, poveretto. speriamo che crescendo maturi e magari, chi lo sa? Decida di cambiare mestiere. Voto 2.

La diciannovesima, inutile canzone, “200000 ore” di Rocco Hunt, è cantata dalla bambolina spagnola Ana Mena. Uno dice: ma di cantanti pessime non ne abbiamo già abbastanza in Italia? Perché importarne anche dall’estero, per quanto carucce? Le assegno un 3 per rendere atto al truccatore del gran lavoro che ha fatto per trasformarla in una perfetta copia della Barbie. Perfetta, beninteso, se si esclude il fatto che la Barbie non canta mentre lei, invece, purtroppo lo fa.

La ventesima canzone in gara, dopo un’irruzione di Drusilla che si è travestita da Zorro, scherzando da par sua sul proprio travestitismo, è cantata da Sangiovanni, ennesimo ggggiòvane, vestito in un inverecondo rosa (stasera il rosa va parecchio, curiosamente, fra i maschietti) e s’intitola “Farfalle”. Confermo il mio giudizio della prima esibizione: canzoncina semirappata, rimette scemette, musica inconsistente, dizione inqualificabile. Voto 10, ma sottozero.

Simpatico l’omaggio che il festival rende a Martina Pigliapoco, carabiniera che ha salvato una donna dal suicidio qualche mese fa. Con semplicità e sincerità, Martina ha raccontato la vicenda, guadagnandosi e meritandosi l’affetto del pubblico. È insieme a lei che Amadeus, dandole affettuosamente del “tu”, presenta il ventunesimo cantante in gara, Emma, con la sua “Ogni volta è così”, che a quanto pare è una protesta contro il maschilismo della società. Dico a quanto pare perché capire le parole che Emma bofonchia è più difficile che decifrare un messaggio crittato con la macchina Enigma e non ci riuscirebbe manco Alan Turing. In ogni caso la musica non è niente di che e dunque, giusto per la meritoria intenzione, al brano dò un 5.

E siamo arrivati a ventidue con Yuman, il comodino umano ipervitaminizzato che si produce in “Ora e qui”. Oziosamente, noto che il ragazzo somiglia vagamente a Daniel Aykroyd in “Ghostbusters”. In effetti si vede che è un bravo ragazzo, ha la faccia di un gigante buono e gentile. Potrebbe fare un sacco di cose utili, belle e interessanti. Peccato che abbia deciso, invece, di cantare. Voto 3.

È l’una e dieci e ancora mancano tre canzoni, poi ci sarà da aspettare la classifica con qualche altro siparietto e altra pubblicità. I miei familiari si chiedono quale forma di masochismo mi induca a subire tutto questo e onestamente me lo chiedo anch’io.

Terzultimo brano in gara, con Le Vibrazioni, “Tantissimo”. Il frontman, stasera, ha la chitarra, che non aveva la prima volta, e si è messo addosso pure lui una specie di sottana come il bassista, che tiene lo strumento all’altezza delle ginocchia e si esibisce in movimenti scomposti che gli fanno svolazzare la gonna intorno alle gambe. Non posso non notare quanto si diventa omologati, nello sforzo di credersi originali. Il cantante stasera è meno stonato ma il pezzo resta irrimediabilmente brutto. Voto 4.

Ventiquattresimo cantante Giovanni Gruppi, quello della canotta, con “Tuo padre, tua madre, Lucia”. Ho sentito difendere il testo del brano, che sarebbe molto poetico, e questo dovrebbe giustificare il monologare di questo individuo volgarotto che in effetti non canta ma dice in fretta una serie di frasi riferite a un ménage di coppia. Il fatto è che io continuo a ritenere che la parola “canzone” implichi la necessità di cantare, non di recitare versi. Se Gruppi (o un qualunque altro performer, più o meno rapper) si ritiene poeta, farebbe meglio a pubblicare poesie: su Amazon si può farlo gratis; ma nelle canzoni ci vuole musica, non basta – se c’è – che ci sia la poesia dei testi. Voto: 2

E infine Noemi chiude la rassegna, con “Ti amo non lo so dire”, esordendo col suo consueto birignao incomprensibile, cosa non negativa tenendo conto del fatto che il testo che crede di cantare è di Mahmood. La sua mise da sera, schiena e pancino nudi e seni coperti da fasce incrociate, compensa in qualche modo l’inutilità della canzone. Noemi, forse consapevole del fatto che il brano non soddisfa l’udito, si è ricordata che anche l’occhio vuole la sua parte. Voto 3.

Prima della classifica, spazio a Drusilla con un bel monologo intenso, intelligente e sempre sul filo dell’ironia, dedicato alla necessità di superare i pregiudizi accettando l’unicità di ciascuno invece di sottolinearne le diversità. Una riflessione veramente degna di plauso e ammirazione. E ancora rendo merito a Amadeus per la sua apertura mentale e il suo coraggio.

Classifica:  25° Tananai, che l’universo mondo riconosce essere il peggiore della rassegna;  ventiquattresima è Ana Mena, la Barbie che purtroppo canta;  23° Yuman, il comodino troppo cresciuto; al ventiduesimo posto ci sono Le vibrazioni e al ventunesimo Giusi Ferreri.  Highsnob e Hu recuperano qualche posizione e sono ventesimi, preceduti da Truppi l’uomo in canotta al diciannovesimo posto. Soprassiedo su tutti gli altri per rilevare che il voto popolare premia Morandi, che risale fino al terzo posto, punisce un poco Elisa che scende al secondo e incorona Mahmud e il suo seminudo partner in cima alla classifica. Mi consolo pensando che Mahmud potrebbe vincerlo di nuovo, il festival, ma che in fondo l’hanno vinto anche Gilda e i Jalisse e la cosa non ha portato fortuna né all’una né agli altri.

Con questo maligno pensiero in testa e un ghigno malvagio sulle labbra, m’infilo nel letto e dormo più profondamente del principe di Condé alla vigilia della battaglia di Rocroi.

Giuseppe Riccardo Festa

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