Sanremo, quarta serata: fuori quattro mostri (quasi) sacri.

Stasera solo riascolti. Speriamo negli ospiti, perché se no, a risentire tutta la serie delle canzoni in concorso, sai che goduria. Si comincia con lo sbrigare la pratica delle nuove proposte sempre in assenza di Maria De Filippi, che pure è madrina di buona parte di loro, e sempre con una certa fretta da parte di Carlo Conti.

Leonardo La Macchia ripropone Ciò che resta. Noto che è pieno di anelli all’orecchio destro, chissà perché l’altro no, ha un piercing al labbro inferiore, la barba incolta, e sulla testa una massa tricotica che fa pensare a un dipinto sturm und drang che si potrebbe intitolare “Tempesta sulla brughiera”. Insomma, noto un sacco di cose ma non la canzone, perché non ha niente di notevole

Lele è caruccio e canta Ora mai. È anche elegante ed ha un solo orecchino, dall’altro lato rispetto a La Macchia. Secondo me, lo ripeto, vince lui, per via della struttura accattivante del pezzo e anche per via della faccia da bravo ragazzo, che non ha niente da spartire con la musica ma piace tanto alle mitiche casalinghe di Voghera.

Maldestro, ho letto sui giornali, è poeta. Io non me ne ero accorto, forse anche perché la voce è molto bassa e le parole che dice sono tantissime, quasi un rap, almeno nella strofa. Canta Canzone per Federica, e in effetti quel che recepisco è molto concettoso. Non mi piace, ma forse piacerà alla giuria di qualità, che stasera c’è ed è presieduta nientemeno che da Giorgio Moroder, e alla critica, che ama molto le cose concettose.

Ancora un giovane proposto, Francesco Guasti, con Universo (niente di meno!). All’inizio non si capisce una parola. Ha una folta barba ottocentesca e molti anelli e bracciali e catene addosso. Riesco a percepire qualche parola qua e là, ma non il senso del testo. La voce è rauca, quasi afona. A me non piace, ma si sa quanto sono criticone e incontentabile.

Ogni tanto si vede anche  il direttore d’orchestra, che si agita inutilmente sul suo podio laterale, platealmente ignorato dagli orchestrali, comunque bravissimi, che hanno tutti gli auricolari e non hanno bisogno di farsi guidare da lui, col click nelle orecchie che li pilota infallibile.

Dopo la pubblicità, performance in penombra di una coppia di ballerini in cui uno è sicuramente un uomo, l’altra forse è una donna ma è talmente muscolosa sotto, e piatta sopra, che il dubbio è legittimo. Molto atletici e intensi, sono comunque belli da vedere, grazie anche agli efficaci giochi di luci.

Arriva anche Maria De Filippi, che si profonde in un doveroso omaggio un tantino servile al parterre. È in nero, ma più funeree sono le sue battute spiritose. Nel parterre c’è Alba Parietti, che come si sa quando arriva è sempre seconda, preceduta di cinque minuti dalle sue labbra.

Comincia la gara dei cosiddetti campioni con Ron, ripescato ieri. Stasera quattro dei campioni saranno definitivamente scartati. Ron canta di nuovo l’Ottava meraviglia ed è la terza volta, miei affezionati ventiquattro lettori, che la ascolto per voi. Il testo, pensandoci, tratta lo stesso argomento di quella cosa di Lorenzo Jovanotti, Il più grande spettacolo dopo il big bang. Beh, per quanto stucchevole e prevedibile, preferisco il pezzo di Ron, che non è una filastrocca, e lui almeno è intonato. E poi in fondo la melodia è rassicurante, come una camomilla prima di andare a letto.

Secondo campione in gara è Chiara, la commercialista, stasera fatalissima e un po’ in stile Signore degli anelli con un lungo abito rosso bordeaux. Ricanta Nessun posto è casa mia. Testo che comincia con  i versi Nessun posto è casa mia ho pensato andando via: sul piano poetico, “La vispa Teresa” le fa un baffo. Molti vuoti di ispirazione del paroliere sono riempiti da lunghe serie di oh, ho, oh. Però la musica, in compenso, non significa niente.

Terzo canta Samuel, col solito berrettino dalla tesa rotonda sulla testa. La sua  Vedrai è ricca di ritmo e a risentirla fa un effetto meno negativo della prima volta. Sarà l’assuefazione: ci si abitua a tutto, perfino ai SUV,  al tofu e al latte di soia; perché non a Samuel?

Al Bano sarà rauco anche stasera? Intanto non è più vestito da prete, ed è già qualcosa. Mentre esegue Di rose e di spine, esordendo così basso che è sette decibel sotto il rutto, mi chiedo: ma chi me lo fa fare? Esisti tu nei miei pensieri, un sole eterno che mai più tramonterà è il primo verso comprensibile. Il resto è sulla stessa falsariga, col tremolo più tremolante che mai nella voce del Nostro. Purtroppo non è rauco, e si capisce tutto quello che dice; e penso con malinconia che se non fosse per voi, miei affezionati 24 lettori, ora potrei essere gioiosamente assorto nella lettura del mio Baudelaire. Ma non sentitevi in colpa: per voi mi sacrifico volentieri.

Momento serio, bello e toccante, quando De Filippi rievoca la strage di Nizza e introduce Gaetano Moscati, che in quel momento terribile per salvare il nipote ha perso una gamba sotto quel maledetto camion.

Quinto campione, Ermal Meta che ieri ha vinto la rassegna delle cover. Canta Vietato morire che, dicono, è dedicato alla lotta contro la violenza domestica; purtroppo, però, della strofa non si capisce una parola; va in ottava per pochi versi, e poi torna quasi a rappare un’altra strofa. Ricorda che l’amore non colpisce in faccia mai è la frase chiave del testo, fra quelle comprensibili.

Crozza stasera si traveste da Pagnoncelli e cazzeggia sui sondaggi; poi, tanto per cambiare, va sul sicuro e parla male de governo. Conti, al solito, ride troppo.

Torna la gara con Michele Bravi, il ragazzino, che la mamma ha lasciato uscire anche stasera. Canta di nuovo Il diario degli errori, con la sua vocina da preadolescente. Anche il testo sa di preadolescenza ma almeno non è rimato cuore/fiore/amore. Sulla musica niente da dire, nel senso che è la musica che non ha niente da dire.

Alla fine della fiera, la canzone più simpatica e divertente della rassegna è quella cantata da Mina per lo spot della Tim, col balletto di quel ragazzo tutto in blu che l’ha morso la tarantola. Ma è fuori concorso.

Ospite Marika Pellegrinelli, che non so chi sia, ma si presenta bene. Ah, ecco: è una modella e soprattutto, scopro, è la moglie di Eros Ramazzotti. Bisogna ammettere che, oltre che bella, è anche abbastanza normale da sapersi esprimere in modo compiuto. Non è una cosa scontata, quando si ha uno stacco coscia a un metro e mezzo da terra.

Ed ecco Fiorella Mannoia con la canzone che ritengo la migliore del festival, Che sia benedetta. E confermo il giudizio della prima sera: è una bella canzone, intensa nel testo e gradevole nella musica.

Ora mi prendo una pausa aggiuntiva perché tocca a Clementino, che stasera i tatuaggi ce li ha pure sulla maglietta. Della sua Ragazzi fuori non potrebbe fregarmene di meno, se mi concedete un francesismo.

Poi arriva,ospite, Antonella Clerici, per la quale Conti chiede al pubblico un’eccessiva standing ovation. Clerici è fasciata in un uovo di pasqua blu elettrico che dimostra quanto poco tenga alla linea: le riprese di profilo sono impietose col suo pancione e il davanzale del seno reggerebbe senza sforzo almeno tre vasi di gerani. Clerici annuncia che presenterà un programma televisivo di cui elenca i partecipanti, fra i quali Loredana Bertè e Il Volo: buono a sapersi, così so cosa non guardare in quelle serate. Poi si dilunga, coi due presentatori, in uno di quei siparietti che ti fanno odiare la televisione.

I tre, tornando alla gara, presentano insieme Il cielo non mi basta cantata da Lodovica Comello, in versione educanda-con-la-gonna-corta. Esordisce col miagolio tipico di tanta musica pop contemporanea. Anche la voce è da educanda e gli uggiolii si susseguono, alternati alle frasi inutili del testo molte parole del quale, in fin di verso, sono allungate in interminabili a-a-a-a ed e-e-e.

Ma c’è di peggio perché decimo canta Gigi D’Alessio, con una canzone che vuole essere commovente: La prima stella, dedicata ai suoi cari che non ci sono più. Sentendo la canzone, si capisce perché i suoi cari hanno deciso di non esserci più.

Sulla pubblicità ho già detto tutto il male possibile, e non mi ripeto. Certo, però, che ce n’è tanta, veramente tanta. Finalmente un momento davvero gradevole, con Virginia Raffaele che fa Sandra Milo. Purtroppo finisce presto.

Paola Turci è terza nel mio cartellino personale con la sua Fatti bella per te. Tutta di bianco e col petto nudo sotto la giacca, comunque molto stretta, non ha paura degli anni che le segnano il viso.

Marco Masini, sempre biblico con la sua lunga barba, canta Spostato di un secondo, e non sto a ripetere quello che al riguardo ho già scritto la prima sera, salvo reiterare il mio biasimo per il subdolo insinuarsi del rap anche nella produzione di canzoni che potrebbero essere semplicemente noiose e invece così diventano anche sgradevoli.

Per l’annuncio del vincitore delle nuove proposte torna la statuaria Marika Pellegrinelli, con uno spacco nella gonna che mostrerebbe anche i peli delle ascelle, se li avesse. Pistolotto di Toti presidente della Liguria,  poi premiazione: prevedibile premio della critica a Maldestro e della sala stampa a Tommaso Pini, escluso ieri, che se andate a rileggere il mio articolo vedrete che lo consideravo non malaccio. Ma il vincitore vero dei giovani – La Macchia è quarto, terzo Guasti, secondo Maldestro – come avevo previsto è Lele, che guarda caso proviene dalla scuderia De Filippi.

Arriva Francesco Gabbani, e stavolta il costume da scimmione se l’è messo lui, e il ballerino ne indossa solo la maschera e i guanti. Decisamente gli piace sorprendere, anche se così rischia di perdere appeal presso le giurie. Occidentali’s kharma resta seconda nel mio cartellino, ironica e immaginifica com’è, e gradevole anche sul piano musicale e soprattutto ritmico. Sono pronto a scommettere che il successo vero, quello delle radio e dei social, sarà comunque suo.

Pausa con Luca Zingaretti, oramai condannato a identificarsi con Montalbano, come Fernandel diventò don Camillo e Gino Cervi Peppone.

Di nuovo De Filippi fa la finta sigaraia distribuendo tra il pubblico portachiavi con la faccia di Conti, vedi tu che originalità. E ricomincia la rassegna con l’omelia di Michele Zarrillo, Mani nelle mani. Il cantante continua a farmi pensare a uno sportellista dell’ufficio postale ma andrebbe bene anche a dire messa per i boy scout. I boy scout, disse Bernard Shaw, sono bambini vestiti come cretini guidati da un cretino vestito come un bambino. Non c’entra niente, lo so; ma il pensiero mi distrae dalla canzone di Zarrillo, che con i versi Quei momenti che non voglio cancellare / si addormentano nel cuore vincerebbe il premio baci Perugina 2017, se non fosse che quello l’hanno già vinto le frasi della Pausini. Be, non è che ci sia tanta differenza. Sul finale il cantante si lancia in modulazioni ardite quanto evitabili, per non dire imbarazzanti. Alla fine finisce. È il bello di quasi tutte queste canzoni.

Bianca Atzei, con Ora esisti solo tu, è nel più prevedibile dei canoni sanremesi, sotto tutti i profili, con ritornello da anni ’70. È talmente presa dalle lacrimose frasi d’amore che sciorina nel microfono che a un certo punto si commuove.  Guadagnerà sicuramente molti punti, grazie alle quasi-lacrime che stava per versare a un certo punto della sua quasi-canzone.

Quanto alla pubblicità, a ricordarmi quanto la odio ci pensa Massimo Boldi con lo spot in cui fa il ladro fallito, recitando  come lui solo sa fare, ossia come un attore fallito. Boldi fa parte dei grandi misteri del nostro tempo: è brutto, insulso, volgare e disfatto, eppure un sacco di gente lo trova divertente. O tempora o mores. Lo so che già l’ho scritto, ma repetita iuvant. Va be’, basta col latino, se no qualcuno dice che faccio il saccente. Cioè, qualcun altro oltre ai tanti che già lo dicono.

Sul palco va in scena un omaggio a Giorgio Moroder, del quale forse pochi conoscono anche solo il nome, anche se ha scritto una miriade di successi mondiali. Gradevole esempio di come anche la musica leggera e pop possa essere bella e trascinante, se solo si esce dal provincialismo di casa nostra: cosa che non applica alla quasi totalità delle canzoni in concorso. E non parlo solo del Sanremo di quest’anno.

Ora tocca al giovane Sergio Sylvestre, collina umana che studia per diplomarsi montagna. Già le agenzie di viaggio propongono tour di due giorni intorno a lui, ma nessuno s’iscrive perché c’è il rischio che durante il viaggio lui si metta a cantare. Storia d’amore (ma va’?) è la sua Con te, nella quale dà fondo a un vasto repertorio di gorgoglii, ululati, stonature e urlacci. È un gigante buono, ma sinceramente spero che sia fra i quattro esclusi.

Elodie, capelli gialli cortissimi e grandi occhi castani sui quali la regia indugia volentieri, ha una strana faccia androgina inquietante. Canta Tutta colpa mia. Stasera il testo si sente meglio e non è una buona cosa, perché la sua stupidità piena di andiamo via, portami via, amore mio, tu sei già andato via, è una follia, emerge in modo clamoroso. Quanto alla musica, si aggira nel pentagramma in cerca di una melodia che non vuole saperne di farsi trovare. Anche questa la vedo bene fuori dalla finale, e fanno tre: l’altro, ovviamente, è Clementino. Alla fine della serata, prima che ci siano i verdetti, proporrò il mio quarto escludendo e poi vedremo quanti ne indovino.

Fabrizio Moro, quello degli occhi a mezz’asta, ripropone Portami via. Solito inizio borbottato di cui non si capisce una parola. Ascoltandosi si fa venire sonno da solo, e questo spiega gli occhi a mezz’asta. E devo dire anche, con quel poco di competenza che ho in materia, che quanto a tecnica di canto è a livelli infimi.

Ritorna Marika Pellegrinelli, con un abito che non si capisce se c’è entrata e ne vuole uscire o se ne è uscita e ci vuole rientrare. Introduce con Conti Giusi Ferreri, che mi tocca ascoltare per la terza volta nella sua Fa talmente male. Riparte quel vocione tutto di testa e di naso e anche stasera, come già ieri, noto che ha l’aria di cantare convinta solo a metà. Comunque la canzone non è malaccio, in fondo; forse se la cantasse una con una voce diversa farebbe un altro effetto; ma cantata da lei, l’effetto lavandaia incazzata è devastante.

E si conclude con Alessio Bernabei, quello dei bottoni neri alle orecchie oltre che sulla giacca. Canta Nel mezzo di un applauso. Snocciola in fretta la strofa iniziale, forse per essere sicuro che nessuno capisca le parole insulse di cui è costituita. Non so quanto sia colpa dei tecnici, se la voce è così bassa rispetto all’orchestra. O forse dovrei parlare di merito, perché i lacerti di testo che mi raggiungono, tipo ho spostato l’equilibrio dei miei occhi su di te sono inverecondi. Sulla musica tacere è bello.

Bene, ora vediamo chi sarà escluso; il mio quarto favorito, a questo proposito, è Al Bano, anche se i concorrenti sono numerosi e agguerriti: ad esempio D’Alessio, Masini ed Elodie.

Prima di sapere i verdetti bisognerà subire un’altra infornata di spot pubblicitari e ospiti, fra i quali noto una coppia di tedeschi, un DJ e un cantante di cui non registro il nome, che a quanto pare va alla grande; ma io, come i miei ventiquattro lettori sanno, abitualmente ascolto Beethoven. E Verdi, e Mozart, e Rossini, che da lassù guardano sgomenti verso Sanremo e dicono: o tempora, o mores. E io gli faccio notare che l’avevo detto prima io e che avevo promesso di piantarla col latino. Ad ogni modo mi chiedo cosa faccia esattamente quello che sta dietro il bancone del DJ e si agita tanto mentre il cantante si esibisce con la base registrata sotto. Non so se erano gli stessi, ma una coppia analoga c’era anche l’anno scorso, ed ha suscitato in me la stessa perplessità.

Dopo un’impressionante infornata di pubblicità torna Virginia Raffaele, che fa sé stessa, ma purtroppo va via subito; poi l’umorismo un po’ stiracchiato di Rocco Tanica, e finalmente la classifica.

È andata maluccio: purtroppo Clementino passa il turno e resta ossimoricamente dentro coi suoi Ragazzi fuori. Giusi Ferreri è fuori del tutto, invece. Esce anche Ron,  e un po’ mi dispiace, con Al Bano (c’è giustizia, a questo mondo!) e D’Alessio (Sììì!). Ne ho indovinati due su quattro, mica male.

Domani sera, proclamati i vincitori, come il professor Higgins di My fair lady potrò abbandonarmi sul divano ed esclamare, con un sospiro, Thanks God, it’s over: grazie a Dio, è finita. L’anno prossimo, miei affezionati ventiquattro lettori, non sono sicuro di ripetere questa maratona. Potrei decidere di scalare l’Everest, o di imparare il sanscrito, o di ritirarmi in un convento a meditare sulla vanità delle cose umane.

O forse, per farvi dispetto, invece sarò di nuovo il vostro cronista del festival di Sanremo. Chi vivrà vedrà.

Giuseppe Riccardo Festa.

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