Perché fare MEMORIA dell’ ACHIROPITA ?

In occasione del nono anno dell’istituzione della Festa Patronale Diocesana dedicata all’ Achiropita, voluta, nel 2007, dall’Arcivescovo di Rossano-Cariati, mons. Santo Marcianò, e riconosciuta dai 19 Comuni e dalle popolazioni dell’Arcidiocesi, ritengo che si rinnovi la convinzione – laica e religiosa – che l’identità e il senso dell’appartenenza territoriali hanno come centro gravitazionale il culto mariano dell’Achiropita. Il culto e la venerazione di Maria, proclamata la Madre di Dio, iniziano con il 3° Concilio Ecumenico, che si tenne, nel 431, ad Efeso, sotto il Papa Celestino I e l’imperatore Teodosio il Giovane. Allora fu dichiarata eresia la dottrina di Nestorio di Antiochia, che negava la maternità divina della Madonna, riconosciuta madre dell’uomo, ma non di Dio. Viceversa, si affermò la dottrina ortodossa di Cirillo, Vescovo di Alessandria, che riconosceva a Maria il titolo di “Dei Genitrix” o “Thetòcos” (QeotokoV) o “Méter Theù” (Mhthr Qeou) ossia la Madre di Dio: di questo titolo restano tracce nelle lettere “Th” (Q) e “S” (S), l’iniziale e la finale di Theotocos (QeotokoV), scritte in alto dell’icona Achiropita sulla sinistra del Bambino e, nelle lettere “MR” (MR) e “ThY” (QU) di “Méter Theù” (Mhthr Qeou), riportate sul lato sinistro di tutte le icone mariane bizantine. E da allora, accanto alla centralità di Cristo, il Lògos, e della Trinità, si consolida il ruolo di mediatrice di salvezza di Maria (Maria), figlia e Madre di Dio, che si diffonde rapidamente tra le Comunità Cristiane del Mediterraneo e dell’Europa. Il culto e la venerazione di Maria arrivano, ben presto, anche in questo nostro territorio e a Rossano, dove il Cristianesimo è presente almeno dal sec. IV, tra il 313, anno dell’Editto di Milano dell’imperatore Costantino, e il 380, anno del trionfo del Cristianesimo sul Paganesimo ad opera dell’Imperatore Teodosio (Editto Tessalonica): un’epigrafe su marmo, rinvenuta in località Frasso/Amarelli, testimonia la presenza di una comunità di Cristiani qui da noi già nel IV sec. Quando si diffonde il culto mariano in questa città e in questo comprensorio, allo stato della ricerca e degli studi, è molto difficile stabilirlo. E’ più che probabile che il culto e la venerazione di Maria vengano introdotti dai Bizantini, all’indomani della guerra greco-gotica e della conquista di Rossano (535-553). La tradizione, infatti, vuole che l’icona di Maria Achiropita risalga al 580-582, legata alla nota vicenda del monaco Efrem e dell’Imperatore bizantino Maurizio. Nello stesso secolo, poco dopo il 597, Rossano diventa la sede Vescovile del territorio della Sibaritide e prende il posto di Copia Thuri. Sappiamo, con certezza, dal “Bìos” (BioV), la “Vita di S. Nilo”, scritta da S. Bartolomeo, che, nel sec. X, il secolo d’oro di Rossano, quando la nostra città era la capitale del dominio bizantino in Italia e una delle città più importanti del Mezzogiorno, la Cattedrale o “Catholiché Ecclesìa” (Kaqolikh Ekklhsia) o Chiesa Grande (Megalh Ekklhsia) è consacrata a Maria, quale Casa della Madre di Dio (OikoV Qeotokou). L’immagine di Maria è rappresentata da un’icona (eikona), un’opera pittorica policroma, un affresco parietale, un documento figurativo, che è il cuore spirituale della “Casa Comune ” della città. Quella dei Rossanesi, dunque, è una religiosità fortemente connotata al femminile, materna, rassicurante, tenera, protettiva. Maria, la Mediatrice tra l’uomo e Dio, “Vergine Madre, figlia del tuo figlio” (Dante, Paradiso, C. XXXIII w.1), Mistero che si intreccia con il Mistero del Cristo-Dio che si fa Cristo-uomo per redimere gli uomini con la testimonianza e la condivisione ! Un paradosso ! Una sfida alla ragione, alla filosofia, alla scienza ! Un paradosso, una sfida, ma anche una fede, fatta di speranza e di convinzione tenace, che ha orientato la mentalità individuale e collettiva per tanti secoli. Un valore religioso ed escatologico e, perciò, valore meta-storico, perché universale e duraturo, nonostante il mutare degli uomini. Ma un valore anche storico, umanistico, terreno e, quindi, laico ossia speculare delle attese e delle inquietudini degli uomini nella storia. Maria, durante l’Età Bizantina e nei secoli successivi, assume ben 16 diversi titoli onorifici (“titula hornantia”), che la caratterizzano secondo la ricca teologia e la significativa simbologia bizantina. Oltre alle richiamate due denominazioni di Theotocos (QeotokoV) o Méter Theù (Mhthr Qeou), la Madre di Dio, ha i seguenti altri 11 titoli, di cui faccio memoria laica e spero condivisa, perché possano ridiventare patrimonio comune: “Déspoia emòn Theotòcos” (Despoia hmwn QeotokoV), la nostra Signora Madre di Dio; “Aeipàrthenos Marìa” (AeiparJenoV Maria), la sempre Vergine Maria; “Dynastéia” (Dunasteia), Colei che garantisce la protezione; “Boétheia” (BohJeia), Colei che assicura l’aiuto; “Gyné porfyrofòros” (Gunh porfuroforoV), la Signora vestita di rosso-porpora; “Ypèraghnos Theotòcos” (UperagnoV QeotokoV), l’Immacolata Madre di Dio; “Paidagoghé” (Paidagogh), la Guida o la Conduttrice o l’Educatrice dei fanciulli e dei giovani; “Prostàtis” (ProstatiV), la Protettrice; “Aghìa Eiréne” (Agia Eirhnh), Santa (Maria della) Pace. Tutti i suddetti 11 titoli di Maria sono esplicitamente ricordati da S. Bartolomeo di Rossano (980/81-1055) nel “Bìos” (BioV), ossia nella “ Vita di S. Nilo ” (1030-1040), che è il capolavoro dell’agiografia greco-bizantina e l’opera storica più significativa della sua epoca. Successivamente compaiono altre 5 denominazioni di Maria, destinate a rimanere nella memoria collettiva del popolo di Rossano, rappresentate da una specifica iconografia, che è, nello stesso tempo, teologia ed arte: “Panaghìa” (Panagia), la Tutta Santa o Santissima, che dà il suo nome all’omonimo Oratorio monastico (sec. X-XI), ubicato sotto l’Episcopio, nel quartiere della della Piazza del Commercio o Piazzetta; “Odeghétria” (Odhghtria), l’Odigìtria, ossia Colei che guida (sulla Via che conduce alla Vita e alla Verità), che è il nome dell’affresco parietale superstite del famoso Oratorio monastico del S. Marco (sec. IX-X); “Nea Odeghétria” (Nea Odhghtria), la nuova Odigìtria (per distinguerla dal prototipo conservato a Bisanzio ovvero dalla “vecchia” conservata a Rossano), alla quale S. Bartolomeo da Simeri consacra la Chiesa e il Monastero da lui ri-fondati, meglio noti con i nomi di “Patìr” o “Patìre” o “Patirion”; una seconda “nuova Odigìtria”, meglio nota come la Madonna di Costantinopoli, risalente al sec. XVI-XVII, si trova nella Chiesa dell’ex Monastero dei Cappuccini. Un 15° titolo è stato aggiunto dall’Arcivescovo Santo Marcianò, che ha definito l’ Achiropita la “Vergine della Bellezza”: laicamente e religiosamente, infatti, la Bellezza dell’Achiropita è da considerare l’immagine visibile del Bene morale e della Verità unica definitiva di Dio. Un 16° titolo è aggiunto quest’anno dall’Arcivescovo Giuseppe Satriano, che ha dato all’Achiropita il titolo di “grembo santo di Dio…, mistero d’Amore”. E, infine, il titolo più importante, affermatosi negli ultimi dieci secoli, è “Acheiropòiete” (Aceiropoihth), la Madonna Achiropìta, così denominata perché la sua icona, che è un af-fresco parietale, è ritenuta “fatta non da mano umana”, ossia ispirata e dettata all’artista-pittore da Maria, perciò manifestazione del Vero e del Bene nel Bello. Il titolo onorifico di Achiropìta, che è la sintesi unitaria di tutti gli altri titoli onorifici sopra ricordati, designa la nuova e attuale Cattedrale di Rossano, fatta edificare dal re dei Normanni, Roberto d’Altavilla, all’indomani della conquista della città (1059-1060) e dell’Italia Meridionale continentale (1068-1071), quale segno visibile di novità e discontinuità con il recente passato greco-bizantino, riutilizzando un precedente Oratorio monastico, che ha avuto due fondazioni, una al tempo del monaco Efrem (nel 580 ca., come attesta la tradizione), l’altra tra l’VIII e il IX secolo. La pittura parietale a fresco della Madre di Dio o Achiropìta, pur menzionata per la prima volta nella seconda metà del sec. XI, risale ad alcuni secoli prima. La tradizione la data alla fine del sec. VI, intorno al 580-582, e la collega all’incontro tra l’eremita Efrem e il principe bizantino Maurizio; questa ipotesi, in passato sbrigativamente ritenuta erronea, ha ripreso credibilità alla luce dei recenti studi sull’affresco (analisi stratigrafiche e micro-prelievi), sotto il quale sono stati rinvenuti i resti di un più antico affresco, che potrebbe aver fatto parte di un ciclo parietale e risalire a quell’epoca. L’attuale venerata immagine dell’Achiropita risale probabilmente al sec. VIII, ossia al tempo della “iconoclastìa” (la cruenta politica degli imperatori di Bisanzio a danno di coloro che producono e adorano le icone sacre) e della resistenza da parte di quanti difendono il valore simbolico e teologico delle immagini sacre, e potrebbe essere una figura “ri-dipinta”. Da allora, e fino ad oggi, le storie, religiosa e laica, della Chiesa e della città di Rossano vengono incardinate e incentrate sull’icona dell’ Achiropita, che non è una qualsiasi opera pittorica policroma, sia pure di straordinaria bellezza. Viceversa, essa è l’immagine rivelatrice della Madre di Dio, e, perciò, è la mediatrice di salvezza, è il simbolo più alto della donna che dà la vita, è il cuore spirituale e vitale di riferimento della religiosità e della cultura dei Rossanesi, i quali, nella devozione e nel fascino misterioso della sacra pittura, trovano ancora il senso dell’identità, l’orgoglio dell’appartenenza, l’elemento di coesione e di unità. Un amore devozionale così forte e autentico da resistere al trascorrere di tantissimi secoli, che, viceversa, hanno storicizzato e relativizzato tutto. Un fatto razionalmente e scientificamente inspiegabile. Un fatto che ha il sapore magico del mistero e che solo la fede comprende e giustifica. Un fatto che, ancora oggi, sa stimolare anche quanti sono in viaggio e si interrogano sul senso religioso dell’esistenza e sul progetto di vita. In controtendenza alle spinte disgregatrici, alla crisi profonda e alla deriva delle coscienze nell’attuale momento storico, “difficile, pesante, drammatico per certi versi”, la Chiesa diocesana, attraverso il suo prestigioso Pastore, mons. Marcianò, proclamando l’ Achiropita unica Protettrice di tutta l’Arcidiocesi di Rossano-Cariati e rinnovando così la religiosità mariana, si fa “scuotitrice di dormienti” e ci richiama a tenere fermi principi morali e codici di comportamento, oggi più che mai irrinunciabili. Mi riferisco, in particolare, ai valori dell’unità e della coesione sociale, dell’identità originale e dell’appartenenza, del ritrovarsi in sensibilità e aspirazioni condivise, del sentirsi parte integrante di un sistema territoriale. Mi riferisco anche alla ricerca tenace delle ragioni e dei sentimenti che uniscono, all’etica della responsabilità e dell’onestà personale, alla centralità dell’ interesse generale e del bene comune, al dare credito e fiducia a quanti, con la propria coerente e coraggiosa testimonianza di vita nell’impegno sociale, sanno orientare la coscienza individuale e collettiva e sanno “costruire percorsi nuovi di speranza”. Esprimo l’auspicio che tutti noi, religiosi e laici, in condivisione e concordia, ci adoperiamo, al massimo e al meglio, per diffondere e valorizzare la conoscenza e l’amore per l’ Achiropìta, alla quale è consacrata l’intera Arcidiocesi. Esprimo, altresì, l’auspicio che il culto e la venerazione dell’Achiropita, la spiritualità e la civiltà greco-bizantina, identità delle nostre popolazioni, grande risorsa valoriale ed economica, possano fare del Territorio del Nord-Est della Calabria un punto di riferimento delle culture e delle religiosità del Mediterraneo, un crocevia e una sintesi tra l’Oriente greco-bizantino e l’Occidente latino-cattolico. Manifesto, ancora una volta, l’apprezzamento, la condivisione e la più sincera gratitudine delle popolazioni del comprensorio – di cui mi faccio portavove e interprete – alle autorità religiose diocesane degli ultimi nove anni per la loro sensibilità e lungimiranza proclamando l’Achiropita Patrona dell’intera Arcidiocesi di Rossano-Cariati. E oggi ri-esprimo l’auspicio che quella scelta illuminata possa contribuire a unire il territorio in una comune visione di ampie prospettive. Prof. Francesco Filareto

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