Mi sono spesso chiesto se parlare di lotta alla mafia, senza prima conoscerne la sua eziologia, sia puro esercizio formale, modaiolo, privo di effetti negativi per la criminalità organizzata mafiosa.

Gentilissime Signore e gent. Signori Mi sono spesso chiesto se parlare di lotta alla mafia, senza prima conoscerne la sua eziologia, sia puro esercizio formale, modaiolo, privo di effetti negativi per la criminalità organizzata mafiosa. Tale organizzazione, infatti, non ha un’autonoma realtà criminogena. Una mafia autonoma non è mai esistita; se ne può parlare solo per astrazione. Ciò è causato dal fatto che è quasi impossibile nel Meridione d’Italia individuare i confini tra società legale e quella criminale, fra peccato e reato – tra atto umano moralmente riprovevole e azione punibile penalmente. Per analizzare correttamente detto fenomeno sociale è necessario distinguere la Cultura mafiosa propria della società civile Meridionale dalla conseguente manifestazione delinquenziale mafiosa. Sono due realtà distinte, ma complementari ed è un errore, purtroppo diffuso, parlare di mafia riferendosi solo all’organizzazione delinquenziale. Per non cadere nell’errore è necessario tener presente che la cultura mafiosa della società civile meridionale alla formazione non è estraneo il Vaticano, si basa su due storici principi feudali e clericali: il primo quello della “Concessio Principis” (il Padrino) e il secondo quello del potere imperiale “Rex in regno suo est Imperator” che i siciliani hanno tradotto “U cummanari è megghio du futtere”. Nel suo libro “Le cinque piaghe della Chiesa” Antonio Rosmini afferma che il feudalesimo fu la principale fonte di tutti i mali, poiché rese possibile la sottomissione dei Vescovi, la servitù dei beni ecclesiastici, l’acquisizione arbitraria dei beni materiali da parte della Chiesa, aprendo così le porte al potere temporale. Anche oggi, purtroppo, la società civile cattolica meridionale, si basa sugli stessi principi feudali. Le sue regole di vita quotidiane i suoi codici morali e religiosi, hanno ereditato dal medioevo un’infausta cultura che giustifica le prevaricazioni di casta, l’abuso del potere politico borghese, l’acquisizione di privilegi immeritati e l’omertà. In siffatta società pertanto, la cultura mafiosa di origine feudale diventa un simbolo e come tale non ha un carattere sostanziale, ma funzionale. E da simbolo si trasforma nel mito del potere e così può penetrare nella psiche umana come sentimento religioso, pensiero razionale e quindi ragione di vita e di azione cui non ci si può opporre se non al prezzo della vita propria e dei familiari (il mafioso é la famiglia). Se in uno Stato o in una Regione o in un territorio imperano detti principi è inevitabile che in essi fioriscano rigoglioso le organizzazioni delinquenziali mafiose. E quando si pretende di combatterle omettendo di distinguere i due fenomeni (cultura mafiosa e manifestazione delinquenziale mafiosa) s’è destinate al fallimento perché vige una collisione esistenziale che permette a entrambi i soggetti di adeguarsi alle mutate condizioni storiche politiche del potere, avendo entrambi la facoltà di cambiare, pur rimanendo sempre uguali. Stiamo per festeggiare il 150° anno di nascita dello Stato Italiano che è nato quale stato di diritto, purtroppo, incompiuto poiché sorto prima che tutti i suoi cittadini abbiano avuto tempo e modo di raggiungere lo stesso grado di cultura del diritto, quella cultura, cioè, che avrebbe dovuto sostituire il passato feudale e aprire il nuovo stato alla modernità. L’Italia moderna è una Repubblica democratica. Lo dice la Costituzione, ma in vero, per giudicare se uno Stato sia democratico, non bisogna fermarsi alla sua denominazione, ma è necessario valutare, misurare il grado di educazione democratica conseguita dal suo popolo o meglio dalle sue distinte popolazioni territoriali di cui esso si compone. Ed allora è bene chiedersi qual è il grado di educazione democratica dei cittadini italiani visti nel loro territorio regionale; se il comportamento e la mentalità delle classi dirigenti della Sicilia, della Calabria, della Campania possano o meno essere qualificati democratici? E’ vero che non si deve confondere l’atto immorale con l’azione delittuosa, il peccato con il reato, ma quando il peccato genera la matrice sociale del reato, il mito del potere, il privilegio di Casta, allora non vi è dubbio che se non si sostituisce la Cultura della “Concessio Principis” (il Padrino) non si potrà mai eliminare definitivamente la delinquenza mafiosa che da essa trae ispirazione e spesso anche sostegno. Vi siete mai chiesti perché i pentiti esistono solo nell’organizzazione delinquenziale mafiosa e non anche nella società civile cattolica culturalmente mafiosa? Busto Arsizio 16/10/2011 Nicola Casazza

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