MARIO CALIGIURI: Le scuole andavano riaperte?

Si allargheranno i divari sociali e territoriali.

Il Governo ha deciso di riaprire le scuole ma probabilmente non è la decisione più saggia. Secondo me, sarebbe cambiato poco se fino al termine del 2020, cioè fino al probabile arrivo del vaccino, le lezioni si fossero svolte da remoto. Non ne avrebbero certamente risentito le attuali competenze dei nostri concittadini: il 75 per cento non sa interpretare una semplice frase in italiano, il 27 per cento sono analfabeti funzionali e nelle classifiche internazionali combattiamo per conquistare gli ultimi posti nelle abilità di base. Adesso ci siamo superati: abbiamo concentrato la discussione sulla distanza sociale e sui banchi a rotelle. Su cosa e come insegnare neanche a parlarne. D’altronde non ci si può aspettare molto da chi viene catapultato nelle istituzioni dall’oggi al domani per occuparsi della cosa pubblica. Infatti, da un quarto di secolo per fare politica in Italia non occorre nessuna preparazione specifica e i risultati sono di conseguenza.
E come per tutte le cose davanti agli occhi di tutti sono in pochi a prestarvi attenzione, grazie a un sistema mediatico che spesso rende credibile l’incredibile e tollerabile l’intollerabile. Società della disinformazione la definisco.
Questo periodo di grandi incertezze rischia di essere da tregenda e quindi va detto con chiarezza: nelle scuole probabilmente tutto accadrà tranne che insegnare.
Le responsabilità vengono coraggiosamente scaricate sui docenti e sopratutto sui dirigenti scolastici, che si presume siano supereroi solo perché hanno superato un concorso. Da assessore regionale alla Cultura in Calabria, ho avuto a che fare con molti di loro: tranne qualche eccezione straordinaria, per tanti c’era da mettersi le mani ai capelli.
Allora, era proprio necessario tornare nelle aule?
E quando arriverà l’influenza come si distinguerà dal Covid-19? E come si verificheranno i primi contagi si rimanderanno tutti a casa? E chi controllerà i risultati dell’attività educativa? Anche prima dell’emergenza, nelle scuole dell’obbligo sostanzialmente si promuovevano tutti e negli istituti superiori quasi.
Adesso si vuole dare per forza una parvenza di normalità all’anormalità. Auspicherei piuttosto una vasta mobilitazione di genitori e insegnanti per riflettere con attenzione sulla reale qualità dell’istruzione, sopratutto al Sud e in generale per verificarne l’impatto sui figli delle famiglie di medio e basso reddito.
In questi mesi, infatti, le disuguaglianze sociali e territoriali rischiano di allargarsi ancora di più.
Pertanto, oggi più che mai, il futuro della società dipende in buona parte dall’educazione.
Mi sbaglierò, e sono prontissimo a ricredermi, ma altri tre mesi di insegnamento a distanza in Italia probabilmente avrebbero potuto fare meno danni.

Mario Caligiuri
Professore ordinario di pedagogia della comunicazione
Coordinatore del Corso di laurea di Scienze dell’Educazione dell’Università della Calabria

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