Kalombo l’intellettuale.

Dopo avervi parlato di Buyamba e di Laila, delle loro storie di sofferenza ma anche di riscatto sociale, oggi vi parlerò di Kalombo. Avrei potuto diluire queste storie nel tempo, settimana per settimana, lasciandovi la suspense di attendere una nuova storia: ma non voglio farlo perché sento il bisogno di rendervi partecipi all’istante di quanto ho letto e di quanto ho capito, in questi giorni. Ho letto questo libro tutto d’un fiato ed è una cosa che mi capita raramente; nonostante legga molto, non amo i libri eccessivamente descrittivi cosa che, oggi, molti autori fanno con  estrema facilità. Descrivere allunga ma soprattutto annoia : più pagine, più volume, un prezzo di vendita più alto, un libro più bello da vedere.  Tutte quelle cose lì, roba di chi bada molto all’estetica e poco alla sostanza. Non è un caso, se i libri che ho amato di più sono tascabili, al massimo 110 pagine pregne di sentimenti, riflessioni, modi di vivere, esperienze.

Non fatevi ingannare dalle dimensioni dei libri e delle cose in generale; molto spesso le cose più significative si racchiudono in ben poco, hanno a che fare non con la quantità ma con la qualità del tempo trascorso. Conosco gente da anni, molti anni, e ad oggi succedono delle cose a cui, spesso, nemmeno replico perché mi rendo conto che tanto non servirebbe; capite? Non servirebbe replicare perché, nonostante il rapporto esistente, ci troveremmo in ogni caso su posizioni del tutto diverse. E poi ci sono persone che conosci per caso, pochi giorni, lunghe telefonate, lunghe chiacchierate che ti compensano di tutto; a volte le parole, possono compensare anche la fame, il sonno, l’ora, i kilometri di distanza. Lo stesso, equivale per i libri. Badate sempre alla sostanza delle cose.

Vabbè, dopo questa lunga (e inevitabile) riflessione andiamo a noi: Kalombo è un ragazzo che fa parte di quella schiera di clandestini che lavorano nei campi, mal pagati e sofferenti, nel casertano. “Nei loro occhi si leggeva la felicità di aver trovato un lavoro e allo stesso tempo la tristezza di non essere padroni del proprio destino. La felicità era effimera, carica di dolori, di umiliazione e di tante storie. Che triste sapere che un pugno di uomini gestisce a piacimento la vita di altri uomini e che il futuro è un’equazione con molte incognite.”La vita nei campi era difficile, dura, quasi inimmaginabile per chi, come me, come tanti di voi, non l’ha vissuta; l’unica consolazione per questi ragazzi, era rappresentata dalla grande solidarietà che invadeva quelle lunghe distese di pomodori. Ognuno si faceva da spalla all’altro. Un valore, quello della solidarietà, che noi italiani siamo bravissimi a dimostrare agli sconosciuti; molto meno a chi è vicino a noi. Non ho mai capito il perché ma, paradossalmente, spesso si mostra comprensione nei confronti di chi sappiamo ben poco senza domandarci minimamente chi sia; De Silva, in un suo libro, scrive qualcosa tipo “ci scopriamo portatori di una comprensione al ribasso che pensavamo di non avere..”. Le parole sono un po’ diverse e, sinceramente, De Silva (semmai per assurdo mi leggerà) perdonerà la mia poca precisione, ma ho reso il concetto. In sintesi: siamo ipocritamente comprensivi, molto spesso. E solo quando e con chi vogliamo noi.

Anche qui, eviterò di parlarvi di tutta la sua storia ma c’è un passo che devo, devo, assolutamente riportarvi: “Con le mani sporche di terra, Kalombo riempiva i pomodori con l’unico pensiero fisso di riempire più casse possibili.[…]Questa gara faceva la fortuna dei padroni e per cercare di ingannare chi non poteva chiedere spiegazioni, i proprietari dei terreni avevano istituito degli “incentivi”: le prime 20 casse corrispondevano a 2000 lire per cassa; superata questa prima soglia di sofferenza, la seconda quota di altre 20 valeva 2.500 lire. Chi raggiungeva quota 100 nell’arco della giornata otteneva – udite udite – due vantaggi: 1)La centesima cassa valeva 10.000 lire. 2) Il giorno dopo si ripartiva con un guadagno di 2.500 lire per le prime venti.”C’è davvero spazio per i commenti? Penso di no. Nel libro, in questo capitolo, troverete anche la breve storia di Moussa che raccolse, nell’arco di una giornata, ben 300 casse di pomodori. Dopo una settimana morì. Se fate due calcoli in euro, quel povero ragazzo morì per circa 350€.

Fra questi ragazzi, molti erano studenti universitari senza una borsa di studio che provenivano dalla Francia o dalla Svizzera, per cui il lavoro nei campi era l’unico mezzo di sostentamento per continuare gli studi piuttosto che per comprare un biglietto aereo e tornare in Africa, dai loro cari. Scrivevo prima che c’era, fortunatamente, grande solidarietà fra di loro soprattutto per il sostentamento alimentare:“Vigeva l’equazione più casse = più soldi; ma era all’ordine del giorno anche un’altra matematica ovvero quella del meno mangi e più risparmi. I ragazzi avevano trovato il sistema per economizzare mettendosi in gruppi da quattro e, a turno, ognuno di loro offriva ai compagni il pranzo, una volta alla settimana. La vita dei campi era un incontro di culture diverse riunite attorno alle casse di pomodoro.”

Kalombo aveva un soprannome, nella sfera di disperati come lui, ovvero “l’intellettuale”. Ognuno conservava quanto più poteva dalle casse di pomodoro che riusciva a riempire; Kalombo, invece, ogni mattina comprava un giornale. Amava leggere e sognava in grande. Decisamente in grande. Era l’unica cosa che non costava né sforzi né privazioni. Non mi sento di raccontarvi altro, di lui. Ma leggerete ancora molto: saprete del suo arrivo a Palermo, di quel 19 luglio 1992 quando si trovò nei pressi di Via D’Amelio nel giorno in cui fu assassinato il giudice Paolo Borsellino.

Questo capitolo, come vedete, si apre proprio con una dedica a Falcone e Borsellino. Un libro scritto da un africano, che riporta una dedica a Falcone e Borsellino; proprio così. Che meraviglia; quando l’ho letta,  quasi non credevo ai miei occhi.

Concluderò molto presto con l’ultima storia, quella di Ekuse. Nel frattempo, se ripenso a tutta la storia di Kalombo mi viene in mente una citazione che penso di aver pubblicato milioni di volte sul mio profilo fb, ma milioni di volte non sono abbastanza. Ci sono cose che vanno lette e rilette, per comprenderle davvero. Una è questa.

“Si dice che la felicità si trovi nelle piccole cose. Sapeste l’infelicità.”-Diego De Silva

Elisa Agazio

La speranza sta oltre confine?”, Laye Gueye, La Cassandra Edizioni, 2015.

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