Le mie osservazioni sulla psicologia di Silvio Berlusconi e di Beppe Grillo, dei quali ho messo in evidenza le tendenze al cesarismo, hanno suscitato la reazione indignata, per non dire furibonda, di alcuni sostenitori del secondo, i quali mi hanno indicato al pubblico ludibrio qualificandomi con epiteti che vanno da ignorante a troll, a bugiardo a servo del PD (per quest’ultima definizione riporto il senso, non la lettera della definizione).
Non mi sono sorpreso più di tanto, nel prendere nota di queste reazioni. Come già accadde con la Lega Nord e con Forza Italia, in taluni simpatizzanti di movimenti del genere (il cui successo è incentrato sulla figura carismatica del leader) anche nel M5S è diffusa la sindrome per la quale esso può liberamente, aspramente, ferocemente e non di rado anche volgarmente criticare, irridere, e deridere i suoi avversari ma la condizione di reciprocità è esclusa: Beppe Grillo e i suoi sodali sono, secondo questo approccio, intoccabili ed al di sopra di ogni critica.
Era lo stesso per l’Umberto Bossi e il Silvio Berlusconi dei rispettivi tempi doro. Criticarli era più che impensabile: era bestemmia. Per questo motivo paragono l’atteggiamento di questi signori a quello dei seguaci di una religione: essi non seguono un’opinione ma una fede; e come in ogni fede, gli argomenti razionali che contrastano con le loro visioni sono semplicemente rigettati, e chi osa proporli è visto come un nemico, un reprobo e un malvagio.
Ogni tentativo di richiamare l’attenzione di questi sostenitori sulle contraddizioni dei loro leader si scontra col rifiuto di prenderne atto. Nel caso di M5S la reazione più diffusa è che la casta che ha diretto l’Italia finora l’ha ridotta nella situazione penosa in cui versa attualmente, e che le responsabilità più gravi incombono sul PD, indicato come colpevole di aver appoggiato acriticamente, sempre e senza eccezioni, ogni iniziativa di FI, poi PDL, poi nuovamente FI.Mi viene in mente Caterina Guzzanti che, in un programma di qualche tempo fa, parodiava la tipica simpatizzante neofascista: a chi al suo personaggio contestava il razzismo e la violenza del suo movimento, rispondeva, invariabilmente: E le foibe?.
Così, quando si fa notare ai simpatizzanti M5S che Grillo predica bene ma non sempre razzola altrettanto bene, e che ha subìto diverse condanne, e che la democrazia all’interno del suo partito è stata soffocata, e che il suo movimento è suo nel senso più stretto del termine (così come FI appartiene a Berlusconi), e che non accetta alcuna forma di dissenso, ci si sente rispondere: Come osi dire questo, visto che il PD di qua e il PD di là?.
Ora, non è che necessariamente uno che critica Grillo e il suo movimento debba essere un iscritto, un simpatizzante o un elettore del PD: potrebbe anche essere, come è il mio caso, un osservatore esterno ai partiti che li guarda tutti con lo stesso interesse critico. E anche se fosse, i simpatizzanti del PD o di qualunque altro partito hanno lo stesso diritto di criticare Grillo che Grillo ha di criticare i loro leader.
A chi mi ha investito col suo sacro furore vorrei solo, pacatamente, chiedere: perché pretende la coerenza assoluta e la cristallina onestà da tutti gli uomini politici italiani meno uno? Gianfranco Fini è sparito dalla scena politica dopo che i suoi interessi familiari - veri o presunti - su quel famoso appartamento di Montecarlo sono stati resi noti. I leghisti ci hanno messo un po’ di tempo, ma alla fine hanno capito che Bossi, il grande castigatore di Roma, ladrona potrebbe essere anchegli un ladrone. Molti berlusconiani hanno dovuto ammettere che il loro capo carismatico è bugiardo, disonesto, evasore fiscale, ridicolo sulla scena internazionale. L’IDV si è dissolta come neve al sole dopo che sono emerse le inadeguatezze di Antonio Di Pietro. Anche nel PD alcuni soggetti di dubbia onestà, come l’ex tesoriere della Margherita, hanno subito la giusta sanzione per i loro comportamenti.
E Grillo? È davvero così cristallina e adamantina la storia di Beppe Grillo? Io non chiedo ai simpatizzanti e militanti di M5S di abbandonare il loro leader e il loro movimento: me ne guardo bene. Non ne ho il diritto, l’intenzione e nemmeno l’interesse: ognuno crede, vota e ammira quello che gli pare, e guai a chi si permette di dirgli non devi seguire Tizio o Caio. Ma un’operazione verità è doverosa. Se essi esigono come è giusto la più cristallina rettitudine negli altri politici, e mettono sotto la lente d’ingrandimento, e condannano, ogni loro comportamento contrario alla legalità, altrettanto dovrebbero fare con i propri.
Cè poi l’oggettivo aspetto padronale. I leader, nei partiti normali, vanno e vengono. Alcuni durano anni, perfino decenni; ma nessuno si identifica col partito in modo totale ed esclusivo. Il PD, poi, è un vero e proprio porto di mare: ha cambiato più segretari politici quel partito che abiti una qualunque valletta in tutte le serate di un qualsiasi festival di Sanremo. Adesso si è imposto Renzi ma perfino lui ha rifiutato di far apparire il suo nome sul simbolo, almeno in questa tornata elettorale, e incontra una fiera resistenza da parte dell’ala più a sinistra del suo partito.
Viceversa, in partiti come FI e M5S l’identificazione fra movimento e capo (oltre che padrone) è totale e assoluta. Il capo detta la linea, dispone e decide, e quando qualcuno non è d’accordo caccia via senza complimenti il dissidente. FI, non a caso, è nei guai proprio a causa dei pur blandi limiti che la magistratura ha imposto ai movimenti di Berlusconi, e dell’impossibilità del medesimo a candidarsi.
Con buona pace dei difensori a oltranza di M5S e di FI, io continuo e continuerò a ritenere che i partiti padronali siano un’anomalia, e che la democrazia interna ad un partito sia la prima condizione a garanzia della sua democraticità anche verso l’esterno. E che chi pretende dagli altri la perfetta onestà e coerenza debba a sua volta esserne portatore.
I partiti tradizionali sono indubbiamente pieni di vizi e difetti, e individui disonesti; e autoreferenziali. Proprio per questo sono spariti, dopo Tangentopoli, la DC di Andreotti e il PSI di Craxi. Ma gli italiani, protervi, hanno poi scelto – soprattutto nel Meridione, non dimentichiamolo – di votare in massa per FI: un altro partito che, ai difetti ed allautoreferenzialità di DC e PSI, aggiungeva anche l’evidente finalità personalistica del suo fondatore. Per vent’anni, costui ha così dominato la scena politica italiana.
Un PD debole e succube non ha saputo opporsi con forza sufficiente a Berlusconi e ai suoi alleati, anche a causa dell’eterogeneità e frammentazione delle coalizioni con le quali, due volte e per brevissimo tempo, ha interrotto lo strapotere di Berlusconi; e quando avrebbe potuto non ha avuto il coraggio, o la forza, o la capacità, di varare norme cogenti per combattere il mostruoso conflitto d’interessi che in costui s’incarnava.
È una colpa gravissima, e se ne deve fare carico; ma non è un partito padronale. Non c’è, nel PD come negli altri partiti diversi da FI e M5S, un dominus che decide secondo il suo capriccio, e senza appello, chi e che cosa è giusto e chi e che cosa è sbagliato.
Rifiutare e stigmatizzare l’autoreferenzialità, i vizi, gli opportunismi, le disonestà e le ipocrisie dei politici è giusto. Di più: è doveroso e necessario. Ma bisogna farlo onestamente, senza riserve e senza pietà e anche senza mettersi su un piedistallo; e bisogna farlo con tutti. Con tutti. Ci piaccia o no.
Giuseppe Riccardo Festa
PS: non risponderò ai commenti più o meno scomposti di critici che non obiettino in modo puntuale, chiaro, pacato e obiettivo alle mie osservazioni, e in particolare alle insinuazioni ed agli insulti di carattere personale. Ho di meglio da fare.
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