Il ritorno alla vita nei piccoli borghi

La verità è che da soli i piccoli Municipi d’Italia non possono dare risposte

Quello del ritorno alla vita nei piccoli borghi è un tema di grande interesse che più volte torna periodicamente nelle nostre cronache e che in questi mesi di pandemia ha ripreso a circolare, vivendo un nuovo e positivo fermento. Anche a chi scrive piace molto trascorre lunghi periodi tra quell’Italia minore che ancora conserva valori sinceri, nonché saperi e sapori che nelle grandi città ormai sono scomparsi.

Il cuore del discorso riguarda le nuove generazioni. Insomma, come rendere appetibili tali micro realtà ai giovani del posto e anche a tutti quelli che possono essere attirati da concrete politiche di rilancio economico e sociale. Esiste da qualche anno una specifica legge nazionale, la n.158/2017, approvata dal Parlamento italiano per la realizzazione di interventi, anche di tipo infrastrutturali, nelle picciole comunità di cui è ricco il nostro Paese.

La legge 6 ottobre 2017, n. 158 (“Misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni, nonché disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici dei medesimi comuni”), contiene norme che riguardano i piccoli comuni (comuni con popolazione residente fino a 5.000 abitanti o istituiti a seguito di fusione tra comuni aventi ciascuno popolazione fino a 5.000 abitanti), al fine di sostenere lo sviluppo sostenibile, l’equilibrio demografico, favorendo la residenza in tali comuni, tutelare e valorizzare il patrimonio naturale, rurale, storico-culturale e architettonico, nonché il sistema dei servizi essenziali, con l’obiettivo di contrastare lo spopolamento.

Come spesso accade, tuttavia, in Italia si impiegano anni per “costruire” provvedimenti che una volta trovato un consenso unanime poi vengono riposti nei cassetti delle scrivanie, senza che nessuno riesce a postare in bilancio le risorse sufficienti, che gradualmente puntino a mettere in pratica il dettato normativo. La verità è che da soli i piccoli Municipi d’Italia non possono dare risposte, innanzitutto, a chi ha deciso di non abbandonarli, diventando dei veri e propri eroi, e a quelli che hanno tutte le più belle intenzioni per iniziare a costruire in loco un percorso di vita.

Di idee e progetti ce ne sono tanti. In alcuni casi le amministrazioni comunali sono anche pronte a favorire quelle opportune economie di scala, allo scopo di valorizzare in maniera integrata i punti di forza dei loro territori, rispondendo alla necessità di favorire una competitività per aree omogenee. Quelle che mancano non sono le idee, ma le risorse economiche che devono però trovare impulso in una convinzione piena da parte del Governo centrale. All’orizzonte nulla lo fa presagire se non le solite chiacchiere, che non producono nulla di positivo nella direzione che si spera.

Sta di fatto che purtroppo sono ancora tanti i tentennamenti che non generano di sicuro una avvio certo che punti al rilancio delle micro comunità che, invece, offrono potenzialmente tutte le condizioni per riuscire a contribuire a un miglioramento della vita dei tanti, che potrebbero pensare di andarci a vivere.  Per concludere, infatti, il fatto nuovo non c’è. Siamo alle solite di un copione già sentito e replicato più volte. Dispiace che nel loro piccolo alcuni Comuni provano a smuovere le acque, ma diventano tutti casi isolati che non fanno presagire un futuro duraturo. Serve una politica nazionale ampia, variegata e duratura che creda e provi ad invertire la rotta.

Basta fare un giro per la gran parte dei piccoli Paesi lungo la nostra Penisola per accorgersi che, ormai, permangono condizioni estreme di spopolamento e di mancanza di servizi essenziali. Così facendo da qui a poco meno di cinquanta anni molti di essi conteranno forse poco più di qualche ultimo e coraggioso residente.

Nicola Campoli

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