GLI ABISSI DELL’ODIO

Dove cercare, dove trovare le parole? Come definire l’abisso nel quale è sprofondato il senso di umanità di quell’uomo, e dei tanti altri che prima di lui hanno compiuto stragi analoghe, che stanotte, a Nizza, si è messo alla guida di quel camion e si è poi lanciato sul lungomare, zigzagando, deciso a uccidere quanti più innocenti poteva prima di essere ucciso a sua volta?

A fare più paura e orrore è la consapevolezza che questi assassini si credono martiri, s’illudono che il loro dio li premi, in un ultraterreno bordello, col regalo di settantasette vergini che saranno a loro disposizione per tutta l’eternità.

È dunque col sogno di passare i millenni futuri tra le cosce di queste divine schiave del sesso, che costoro imbracciano i mitra, si caricano di esplosivi, si mettono alla guida di autobombe o, come a Nizza, di camion da lanciare sulla folla, per falciare quante più vite è possibile. Ma si può, ancora oggi, illudersi che una promessa del genere abbia un qualche fondamento? Pochissimi fra questi assassini appartengono alle fasce più diseredate del mondo islamico. Molti, al contrario, come gli attentatori di Dakka, sono di estrazione borghese, figli di buona famiglia e portatori di un certo grado di cultura. È dunque possibile che davvero credano, una volta perpetrata la strage e uccisi a loro volta, che si risveglieranno su quel letto pieno di donne?

Ma, d’altra parte, può l’odio verso tutto ciò che islamico non è fermentare a tal punto, nella mente di quella gente, da rendere plausibile l’esecuzione di simili progetti di morte?

Evidentemente, purtroppo, sì.

Mentre piangiamo i nostri morti – perché tutti questi morti, quale che ne sia la nazionalità, sono nostri morti – ci scopriamo impotenti. Figli di una cultura basata sulla convivenza e sul rispetto reciproco, non abbiamo gli strumenti, mentali prima che culturali, per capire come degli esseri umani possano giungere a tanto.

Una cosa però dobbiamo tenerla a mente: guai se, guidati da una pur legittima rabbia, reagiremo chiudendoci a nostra volta in un guscio di rancore e di sospetto, rifiutando ogni dialogo e respingendo chiunque, per cultura, religione, etnia, sia diverso da noi e rispondendo con l’odio, anziché con gli strumenti della ragione, alla loro dichiarazione di guerra.

Se lo faremo, allora saremo diventati come loro; e a quel punto loro, la guerra, l’avranno vinta.

Giuseppe Riccardo Festa

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