Imputati due coniugi cariatesi, accusati di aver ospitato nella propria abitazione il presunto boss durante la latitanza.
Cariati, 13 novembre 2019
Approda dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione il procedimento che vede imputati due soggetti di Cariati, E.G. noto imprenditore edile e la moglie L. C., tratti in arresto nel 2014 con l’accusa di aver ospitato per diversi mesi presso la loro abitazione il super boss Silvio Farao, all’epoca latitante. I due sono difesi di fiducia dagli avvocati penalisti Provino Meles e Raffaele Meles.
I FATTI Il procedimento nasce nel febbraio 2014, quando i due vennero tratti in arresto insieme al latitante Silvio Farao, trovato proprio nell’abitazione dei coniugi. Secondo la DDA di Catanzaro, con l’aiuto prestato a Farao, E.G. e C.L. avrebbero agevolato l’intera consorteria criminale. Nello specifico, favorendo incontri con gli altri affiliati, assistendo Farao nei vari spostamenti e fornendogli vitto e alloggio, i coniugi cariatesi avrebbero di fatto agevolato l’intera consorteria criminale, essendo il ricercato il “core business” dell’intera organizzazione. Per come sostenuto dall’accusa, Silvio Farao era a capo della cosca operante sul territorio cirotano e con articolazioni in Germania e Lombardia, operando attraverso il reclutamento e la iniziazione a riti di affiliazione ‘ndranghetistica, con attribuzione di ruoli e gradi. Sodalizio che, avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della conseguente condizione di omertà della generalità dei consociati, realizzata attraverso il sistematico uso della violenza e minaccia, culminate in gravissimi episodi di delitti contro la persona, acquisiva, manteneva e rinforzava il controllo del comprensorio del cirotano, con conseguente sfruttamento di ogni risorsa.
IL PROCESSO La tesi accusatoria nei confronti dei due cariatesi, sposata in primo grado dal Tribunale di Catanzaro, portò ad una sentenza di condanna che stabiliva come l’aiuto al capo mafia non potesse che tradursi nell’aiuto alla intera consorteria criminale, con conseguente riconoscimento dell’aggravante mafiosa e inasprimento del trattamento sanzionatorio.
In secondo grado gli avvocati Meles ottennero per i propri assistiti sia una notevole riduzione di pena, sia l’esclusione dell’aggravante mafiosa sostenendo come non vi fossero indizi in grado di dimostrare che l’aiuto offerto al ricercato si fosse tradotto in un aiuto all’intera associazione mafiosa, per quanto apicale fosse la posizione del Farao. La Corte D’Appello di Catanzaro, in accoglimento parziale del ricorso presentato dagli avvocati Meles, ridusse notevolmente la condanna a cinque mesi di reclusione escludendo altresì l’aggravante mafiosa.
Per i gravi reati di cui erano accusati, E.G. e L.C. rischiavano fino a sette anni e mezzo di carcere. Il processo è ora approdato dinanzi ai giudici della Suprema Corte di Cassazione, di cui si attende la decisione.
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