che fine ha fatto l’ospedale?

CARIATI – Ogni tanto lo danno per morto e non ne parla più nessuno, come se si trattasse di un caro parente verso cui è necessaria una sorta di rassegnazione liberatoria, così, tanto per non soffrire oltre. Poi, all’improvviso, si rianima e torna un lieve soffio vitale. Qualcuno grida al miracolo; altri, più concreti, non si fanno incantare: è l’attimo che precede la fine, meglio metterci una croce sopra ed amen. L’ospedale civile “Vittorio Cosentino”, checché se ne dica, e nonostante gli sciocchi tentativi di accanimento terapeutico per tenerlo in vita, sta esalando l’ultimo respiro. E lo sanno tutti, a cominciare dalla politica piccola, grande, mediocre e meschina di questo sfortunato lembo di Calabria, a finire ai “baroni” (ma si fa per dire) della medicina un tanto al chilo, rigorosamente usa e getta. La morte annunciata inizia il 2003, quando tale Luzzo (assessore regionale alla sanità) inizia il percorso diabolico della “razionalizzazione”. Qualche timida protesta che lascia il tempo che trova e la macchina va avanti: sparisce la pediatria. Si rincuorano i signori, ma la spoliazione procede, seppur lentamente. Cambiano i governi locali, non le persone, e Cariati perde la chirurgia, vero fiore all’occhiello: un bliz dei Nas, i nuclei speciali dei carabinieri, chiude le sale operatorie. Non sono a norma, dicono, e vanno eliminate. Monta l’effimera protesta popolare cui seguono le rassicurazioni di rito: vedrete, costruiremo l’Ospedale dlla Sibaritide, un grande centro d’eccellenza che finalmente porrà un argine ai viaggi della speranza. Dateci tempo. Ma va via anche l’ostetricia che serviva un territorio vastissimo con oltre 400 nati all’anno: silenzio. Al “Cosentino” rimane solo medicina (18 posti letto) e l’ottimo servizio di cardiologia, privato, però, dei più elementari strumenti diagnostici. Per farla breve, quaggiù devi mettere in conto che per una semplice appendicite puoi anche andare all’altro mondo. Il fondo si tocca con il Pronto Soccorso: 4 medici per 4 turni; 12 infermieri; nessun anestesista; niente Tac (“Ma ce la compriamo da soli”, avevano garantito dai Palazzi”) né alcuna apparecchiatura al passo coi tempi. “Lavorare qui – dicono i medici dell’emergenza – è un azzardo, perché non riusciremo mai a garantire buona sanità”. Turni massacranti che diventano infernali nel periodo estivo, quando la popolazione residente decuplica e senza la benché minima garanzia di servizi degni di questo nome. Le istituzioni del territorio latitano, e d’altra parte è impensabile che la patata bollente stia tutta nelle mani della civica amministrazione cariatese che, ad onor del vero, un minimo d’impegno, in perfetta solitudine e pur senza averne titoli, lo ha dimostrato. Desaperecidos sono pure i sindacati, di tutte le sigle, che ai roboanti proclami populistici hanno fatto seguire un mutismo aberrante, che non è proprio quello degli innocenti: chi poteva sistemare chi lo ha già fatto. Ora ci si aspetta un altro colpo di mano, che non tarderà ad arrivare, complice una noncuranza senza limiti che lascia col fiato sospeso migliaia di cittadini, la gente, come si dice oggi, di una terra senza speranza, perduta nelle pieghe di un malaffare generalizzato che altrove chiamano mafia. E questa cos’è?

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