Cataldo Formaro Interior Designer: Ecco le storie che ci piace raccontare.

Definire cosa sia e quel che faccia un “architetto d’interni”, o “interior designer” come si dice comunemente, non è affatto semplice. Di norma si associa all’interior designer una figura più simile ad uno stilista d’interni, ma in realtà il progettista presta particolare attenzione agli aspetti pratici e funzionali del vivere la casa, ad esempio che i mobili abbiano il giusto dimensionamento; che siano rispettati gli spazi di passaggio; che gli arredi siano disposti in modo comodo e funzionale; che i materiali e le tecnologie siano di buona qualità; che non ci siano potenziali pericoli per la salute di chi usufruirà di questi ambienti; che ci sia un buon isolamento acustico, un buon rapporto fra consumi energetici e comfort; che tutto l’ambiente sia in armonia tra l’ingombro degli spazi pieni e l’utilizzo degli spazi vuoti. Un lavoro complesso che, in sintesi, è la sommatoria di diverse competenze ove, sempre e comunque, a dominare è l’estro, l’idea, la fantasia. In una parola la creatività, sicché progettare interni è un’attività che rientra a pieno titolo nelle espressioni artistiche dell’uomo. Cullato sulle onde dello Jonio, Cataldo Formaro, cariatese doc, è oggi un degli interior designer più ricercati sul mercato internazionale. Alla professione non è approdato per caso, quanto per talento naturale, se fin da ragazzino frequenta lo studio tecnico di un suo zio e passa le ore a disegnare, magari a sognare. E quel sogno comincia a prendere forma quando è chiamato a progettare gli interni degli show room di una prestigiosa azienda calabrese che produce divani. Di passo in passo, si “specializza” nell’ideazione di locali pubblici, anche se non abbandona mai, come nel caso della progettazione della dimora di un noto calciatore della nazionale francese, il “nido” della famiglia vera e propria. Le idee, si sa, non hanno confini, e Cataldo “pensa”, con successo, ad un ristorante italiano in Germania. E forse quello è il trampolino di lancio della sua creatività, perché da lì a poco sarà un sequela ininterrotta di successi inanellati uno dietro l’altro, tanto che contarli tutti è un’impresa. Ma il cariatese “capatosta” pensa in grande e vola oltreoceano, in Argentina, a Buenos Aires, l’altra Italia, ove il suo nome corre di bocca in bocca fra gli addetti ai lavori e si ritaglia una posizione privilegiata nell’ambito mondo dell’architettura d’interni. Cataldo Formaro concepisce le strutture con cura maniacale, inserendole nel contesto di un’arte moderna, raffinata, eppure semplice allo stesso tempo, soprattutto funzionale, in grado di trasmettere la “bellezza” italiana coniugata alla massima sicurezza del “vivere” quotidiano. Piacciono talmente tanto le sue linee sinuose ed aggraziate che giunge una telefonata dagli Emirati Arabi; c’è da fare un Casinò. E Cataldo vola. Ma non si ferma questo globe trotter cariatese, perché fra un aereo e l’altro sbarca in Australia, e poi a New York e, da ultimo, in Cina, nello sconfinato regno del nuovo capitalismo globale. Nella terra dei mandarini il progetto è ambizioso. Cataldo deve dare una mano, la sua impronta, alla realizzazione del Jimo International Trade China, la China City di Quingdao. Il progetto Jimo fa parte di un importate programma governativo cinese e consiste nell’apertura di un distretto permanente del Made in Italy di 20.000 mq nella città di Jimo situata a Nord – Est della Cina. La città è al secondo posto per scambi commerciali all’ingrosso con buyer cinesi, coreani e giapponesi. L’obiettivo è quello di diventare una piattaforma distributiva del made in Italy nelle nuove frontiere dell’Asia. E da quelle parti rimarrà impresso il nome di un calabrese di Cariati: Cataldo Formaro. Nel frattempo, anche la Patria ricorrere alle sue idee e così la Gazzetta dello Sport lo incarica di curare il design di tutte le tappe del Giro d’Italia: niente male. Ecco le storie che ci piace raccontare: storie minime di uomini e donne che, nonostante tutto, riempiono di orgoglio la nostra comunità, a testimonianza che una Cariati diversa, forse migliore, c’è. Basta coglierla. Grazie, Cataldo.

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