CARIATESI, E NOI CHE AVREMMO FATTO?

Grande è il clamore, in tutta Italia, per “l’’inchino” che durante una processione, ad Oppido Mamertino, i portatori -– senza che alcuno reagisse, ad esclusione dei carabinieri presenti al fatto –- hanno fatto tributare dalla statua della Madonna davanti all’’abitazione di un noto malvivente del posto.

Complimenti al maresciallo Marino –- fra l’’altro, con quel cognome, mi sa che è calabrese pure lui –- che ha immediatamente ordinato ai suoi carabinieri, di scorta alla statua, di abbandonare la processione.

Il fatto è tanto più clamoroso in quanto si è verificato a pochi giorni dalla condanna, pronunciata senza appello dal papa, di tutti i mafiosi e malviventi organizzati, comunque si voglia chiamarli.

Dopo che il fatto è emerso alcune reazioni, anche ad Oppido, ci sono state; ma a parte quella del vescovo, le altre sembrano condannare non il gesto dichiaratamente blasfemo ma chi quel gesto ha condannato. Il sindaco se la prende col maresciallo, il parroco con i giornalisti.

In altri termini, il sindaco e il parroco, papa o non papa, sono solidali col capomafia e con i portatori della statua. Questo vuol dire una cosa sola: ad Oppido Mamertino la ‘’Ndrangheta è forte: il suo richiamo è più forte di ogni altro, che venga dalla legalità o dalla fede religiosa.

Di più: ufficialmente, ad Oppido Mamertino il vero dio è il locale capomafia. A tal punto che non lui s’’inginocchia davanti ai simboli della fede religiosa, ma anzi accade il contrario. D’’altra parte, che il mondo di queste associazioni sia chiuso in se stesso, abbia valori propri e propri schemi morali, non è una novità: già Roberto Saviano l’’aveva messo in evidenza nel suo “Gomorra”.

Ad ulteriore dimostrazione, ove ce ne fosse bisogno, di questa totale separazione fra quel mondo e il resto del mondo, c’’è il rifiuto di partecipare alla messa da parte di duecento condannati per associazione mafiosa nel carcere di Larino, i quali hanno detto, in sostanza: “che ci andiamo a fare, a messa, se il papa ci ha scomunicati?” Tradotto in altri termini, nessuno di loro ha pensato che se voleva sentirsi cristiano doveva rinunciare all’’appartenenza alla sua cosca: quell’’appartenenza è prioritaria su ogni altro valore, speranza e desiderio. E anche su ogni altra paura: neanche le pene dell’’inferno li hanno indotti, secondo il desiderio di Francesco, a pentirsi.

Certo, è facile, da quassù, dove vivo io; dove un omicidio fa notizia per mesi, furti e rapine sono relativamente rari, tanto che polizia e carabinieri passano più tempo a fare multe per eccesso di velocità che a indagare su reati “seri”; è facile, dico, da qui, alzare il sopracciglio e giudicare. Non si vive in quell’’ambiente, non si respira quell’’atmosfera, non si teme che una parola di troppo provochi chissà quali conseguenze.

Ma sono calabrese, anche se non vivo in Calabria; e queste notizie mi fanno male. Io rivendico con orgoglio la mia origine ed amo la mia terra. E se per anni, durante lunghe permanenze all’’estero, quest’’appartenenza era rimasta sullo sfondo, essa è riemersa ed ha preteso di essere rivendicata con più forza proprio quando hanno cominciato a imperversare il razzismo leghista e il pregiudizio antimeridionale e rozzo dei Bossi, Calderoli, Borghezio, Castelli e camerati: il Sud non è così, dicevo e dico ogni volta che ne ho l’’occasione.Il Sud è anche e soprattutto civiltà, umanità, accoglienza, rispetto, cultura. Ed è vero.

Ma tocca a noi meridionali, a noi calabresi, dimostrare che è vero. Prima di tutto dicendo dei “no”, per rifiutare la logica (non “la cultura”: non c’’è cultura nella delinquenza) dell’’acquiescenza e del silenzio, quando non dell’’aperta complicità, con quella logica.

Giuseppe Riccardo Festa

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