Cambiano i tempi, cambiano i giochi.

Forse la migliore risposta estiva alla scoraggiante moda del momento della ricerca spasmodica dei “Pokémon on go”, di cui sono protagonisti quest’estate, ahimè, anche i miei figli di 10 e 8 anni, é il rilancio del nascondino e degli altri giochi di strada.

C’è addirittura qualcuno che vorrebbe che il nascondino, gioco più vecchio del mondo, rientrasse tra le discipline sportive sperimentali a squadre dei Giochi Olimpici di Tokyo 2020. A onore del vero mi sembra un po’ troppo, ma se la circostanza servisse ad alimentare una riflessione seria sui più statici diversivi del momento ben venga la proposta.

I giochi di un tempo praticati per strada, che hanno occupata le molte serate estive di tante generazioni, compresa quella del sottoscritto al buio di una pineta, sono di gran lunga molto più istruttivi di una ricerca di personaggi fatta dietro a un triste monitor. Ma c’é da combattere, piaccia o meno, lo straripante spirito di emulazione che contraddistingue i giovani d’oggi.

In realtà, é una sfida impegnativa che va affrontata. Ci sono molti ragazzi che stanno venendo su non conoscendo per nulla i tanti piacevoli divertimenti di strada che si svolgevano in passato. Più che altro, al di là dei più praticati, ciò che era divertente era alimentare l’inventiva. L’adattarsi al contesto circostante. C’erano gruppi di ragazzi che a seconda dei casi si davano regole di gioco diverse che imponevano ai loro coetanei, dopo lunghe discussioni, quando ci si doveva sfidare.

Ebbene forse anche noi genitori, specialmente quelli che si sono divertiti con molto poco, ossia saltando, correndo, centrando un bersaglio per strada o nei cortili, dovremmo fare la nostra parte. Far rinascere in noi quello spirito infantile del gioco che non fa poi tanto male.

Allora due ciabatte infilate nella sabbia a mò di pali di una porta, un fazzoletto da catturare per il trofeo bandiera, dieci caselle disegnate con il gessetto sull’asfalto, una casetta costruita con teli e legno trovato all’occorrenza significano che si può giocare senza dover ricorrere per forza alla tecnologia, accontentandosi di quello che offre il convento.

Alla fine tutto diventa una questione di volontà.

Nicola Campoli

 

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