
Anche se spero di perdere, sono pronto a scommettere che Trump finirà per associarsi alla guerra di Netanyahu contro l’Iran degli ayatollah.
Trump, una sorta di Berlusconi all’ennesima potenza, è un narcisista, uno che ama essere al centro della scena, e poco importa se, per farlo, gli capita di smentire oggi quello che ha detto ieri e domani quello che ha detto oggi. Il caos dei primi mesi della sua seconda presidenza discende da questa smania di protagonismo, che peraltro ha sempre caratterizzato il suo personaggio. Ora egli vede la possibilità di passare alla storia come il presidente che ha sconfitto l’impero malvagio del clero sciita iraniano e gli prudono le mani, perché se non si sbriga rischia di essere battuto sul tempo dal premier israeliano, che peraltro ha già svolto gran parte del lavoro.
Al momento dice e non dice, ma non è difficile indovinare, dal modo stesso in cui si esprime, che si considera già impegnato nel conflitto: basti dire che ha affermato “abbiamo (non Israele ha) il controllo dei cieli su Teheran” e “sappiamo (non Israele sa) dove si nasconde al Khamenei ma per ora non lo uccideremo (non Israele non lo ucciderà)”.
Trump è prevedibile perché in fondo non è che un guitto, un Capitan Fracassa in cerca di adulazione e perennemente assetato di applausi. Viene da chiedersi quali frustrazioni avrà subito, da piccolo, per maturare questa spaventosa ipertrofia dell’ego.
Spero di perdere, dicevo all’inizio di questa riflessione, e certo non per simpatia nei confronti del regime guidato dal cupo Khamenei, che detesto senza remissione per la sua ottusità, la sua ferocia, il suo bigottismo, il suo carattere oppressivo e spietato, il suo negare agli uomini e soprattutto alle donne, in Persia, i più elementari diritti. Come chiunque ami l’umanità, e coltivi il sogno della fine di ogni discriminazione ovunque nel mondo, spero ardentemente che quel regime finisca al più presto nella pattumiera della Storia; però, come certamente anche ogni persiano non colluso col regime, vorrei che fosse il popolo di quel Paese, non le bombe israeliane o americane, a provocare l’auspicata rivoluzione; a maggior ragione perché la storia recente – in Somalia, in Libia, in Afghanistan, in Iran – insegna che le bombe e gli eserciti stranieri non hanno mai portato la democrazia e la libertà nei Paesi oppressi da dittature, e anziché risolvere i loro problemi li hanno se mai aggravati.
Trump si sogna sceriffo del mondo, anche se fino a ieri diceva il contrario, e si sogna in sella a un bianco destriero, cinturone con Colt 45 al fianco, mentre entra trionfante a Teheran acclamato da una folla in delirio, così come si sogna rappresentato da una statua d’oro nel mega resort turistico in cui vorrebbe trasformare Gaza, dopo che i Palestinesi saranno stati sterminati o dispersi nel deserto.
Fra l’altro, poi, non è che il regime che Trump sta cercando di instaurare negli USA sia un modello di liberalismo e democrazia: tutt’altro, fra pogrom anti immigrati, censura della stampa e del vocabolario, lotta alle università, disprezzo verso le donne, culto della pena di morte, religiosità reazionaria, atteggiamenti autocratici e insofferenza verso la magistratura: tutto sommato, a ben vedere, il trumpismo ha molti punti in comune col khomeinismo, così come da tempo, oramai, il governo israeliano ha ben poco in comune con una democrazia rispettosa del diritto internazionale e dei diritti umani e, tanto per non dimenticare nessuno, il putinismo somiglia moltissimo a quel nazismo che dice di voler eradicare dall’Ucraina.
Tutti questi regimi hanno in comune l’estremo narcisismo degli uomini che li guidano, la loro tragica convinzione di avere “la Verità” in tasca e la loro cinica indifferenza verso le sofferenze che provocano.
Ma a far ancora più male, quando ci si china a guardare il giardinetto della nostra Italia, è la constatazione che essi hanno innumerevoli ammiratori fra la gente e perfino adoratori, e aspiranti emuli, fra chi, dichiarandosi suo estimatore, occupa gli scranni del governo.
Giuseppe Riccardo Festa
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