Sulla discarica di Scala Coeli non si lascerà nulla impunito.

La legge regionale 35/2012, dall’Agosto del 2012, imponeva l’interruzione dell’iter autorizzativo della discarica di Scala Coeli, perché ubicata, grazie alla nota attenzione e lungimiranza di chi gestisce il settore rifiuti, in una zona di pregio agricolo, con la presenza di colture di qualità. Questa è una verità insindacabile, confermata da una delle massime autorità giuridiche della Repubblica nell’Aprile 2014, cioè il Consiglio di Stato, di cui tutti gli enti competenti dovranno rispondere senza alcuno sconto. Tutti i provvedimenti emanati dall’agosto 2012 ad oggi, cioè tutte le sanatorie spudorate nei confronti dell’ennesima fossa privata, vanno nella direzione esattamente opposta non rispettando la normativa vigente, oltre a non rispettare la volontà degli interi territori e delle istituzioni locali. Per questo stiamo provvedendo a riportare tutta la vicenda alle massime autorità giudiziarie dello Stato col fine di fare chiarezza non tanto nel merito delle questioni, visto che quello è già cristallino, tanto sulle motivazioni che hanno indotto un tale comportamento, anche alla luce di quanto sostenuto dalla relazione finale della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sugli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti in Calabria, un documento sconvolgente e gravissimo. Di certo è assurda e totalmente astrusa da ogni contesto di legittimità la nota del febbraio scorso con cui i funzionari del Dipartimento Politiche per l’Ambiente, ignorando la legge 35/2012, il Consiglio di Stato e la presenza di lavori abusivi lungo la strada che conduce all’impianto, hanno provveduto all’ennesima sanatoria della pseudo-discarica. Abbiamo apprezzato il tentativo con cui la Regione Calabria ha tentato di rimediare a questo imperdonabile errore, cioè con un un ulteriore provvedimento che ha sospeso la nota sopra citata, ma altrettanto scandaloso – anche in termini di cura delle finanze pubbliche – è che la Regione non si sia difesa di fronte al TAR rispetto a questa iniziativa. Ribadiamo senza possibilità di essere smentiti che la discarica, come esplicitato dal Consiglio di Stato, non può entrare in funzione e che quanto sta accadendo è totale responsabilità delle istituzioni competenti in materia. Rispetto ai danni che questo comportamento potrebbe causare, tanto nei confronti di interessi collettivi del territorio quanto nei confronti degli interessi specifici del settore agricolo e delle colture di qualità, preannunciamo che, qualora non si chiuda definitivamente questa faccenda, faremo in modo che venga avviato un processo di risarcimento, anche col contributo di istituzioni e associazioni di categoria, nei confronti di coloro che sono effettivamente responsabili di tutto questo, a partire dai contributi per il biologico e dai danni all’agricoltura. Lo diciamo perché nessuno speri che a pagare i danni, un giorno, sarà la Regione Calabria coi soldi dei cittadini visto che tutti gli organi competenti sono stati ripetutamente esortati a far rispettare le normative le quali non avrebbero comunque ammesso ignoranza. Qualora un privato cittadino avesse deciso di aprire un’attività facendo attraversare a dei mezzi pesanti una strada su cui insistevano propri lavori abusivi, o se un qualsiasi cittadino avesse agito ignorando una legge regionale o il Consiglio di Stato, di certo avrebbe subito pesantissime ripercussioni giudiziarie, ma questi principi di “normalità” e legalità sembrano scomparire quando si tratta di monnezza in Calabria: ora basta. Come autorità politica il Governatore Oliverio, anche alla luce della sua posizione pubblica e più che condivisibile nei confronti delle discariche, ha il dovere di intervenire immediatamente in questa faccenda. Lo faccia in nome della coerenza, della tutela del territorio e della legalità. Non solo: il Prefetto di Cosenza, anche alla luce del commissariamento del Comune di Scala Coeli, prenda atto della documentazione e agisca affinché venga rispettato il parere insindacabile di un organo costituzionale. Rete per la Difesa del Territorio “Franco Nisticò”

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