SANREMO, TERZA SERATA. IL PIACERE DI CRITICARE

La terza, lunghissima serata conferma, ove ce ne fosse bisogno, che il direttore artistico oltre che presentatore, Fabio Fazio, è molto più bravo nella scelta degli ospiti (a parte il Baglioni della sera prima) che in quella delle canzoni in concorso.

Chiedo scusa per la lunghezza dell’’articolo, ma devo rendere conto di un sacco di cose.

La serata ha inizio con un toccante ricordo di Claudio Abbado, al quale l’Orchestra del Teatro La Fenice di Venezia dedica l’’ouverture de “Le Nozze di Figaro” di Mozart. Poi, purtroppo, inizia la gara: i “campioni” ripropongono i brani scelti dal televoto durante la prima serata; un nuovo televoto deciderà la classifica provvisoria.

Renzo Rubino si ripropone, come un pasto mal digerito, con “Ora”. Riesco a sentire meglio le parole. Sono proprio stupide. In compenso la musica è un’accozzaglia di spunti melodici attaccati con lo scotch. L’’ho bocciato in primo ascolto, lo riboccio al secondo.

Arriva poi Giusi Ferreri con la sua “Ti porto a cena con me”. Lei è sexy e la voce molto particolare ma la sua cena resta indigesta.

Terzo in gara il reverendo Frankie Hi NRG. Più lo guardo, più mi convinco che è un viceparroco. Anche perché fra gli autori c’e nientemeno che un certo Di Gesù. Recita (dire che canta sarebbe un insulto alla musica) la sua “Bicicletta”. Quello che mi manda in bestia è che qualcuno, per simili scemenzai, parli di arte e cultura.

Gualazzi e il suo misterioso partner col preservativo in testa ricantano “Liberi o no” accompagnati dal loro coro gospel. Gualazzi fa quasi tutto il pezzo in falsetto e con un’espressione vagamente beota sul volto. L’uomo dal preservativo insiste a saltellare sul palcoscenico. Non è chiaro quale sia la sua funzione. Sul piano antropologico suscita molti inquietanti quesiti, su quello musicale appare del tutto superfluo.

Cristiano De Andrè ripropone la sua “Il cielo è vuoto”. Riesco a capire un po’ meglio le parole. È un tentativo di poesia, e sulla poesia i giudizi sono sempre molto soggettivi. Comunque è un tentativo, e rispetto alla media degli altri sicuramente ha un peso specifico superiore.

Pausa nella gara per un meraviglioso monologo di Luciana Littizzetto in difesa della bellezza della diversità. Ecco, questa è la Luciana che abbraccerei. Subito dopo, un momento di altissimo spettacolo e cultura con un coro polifonico a cappella, originalissimo e incantevole. Poi, purtroppo, ritorna la gara. La differenza qualitativa fra i concorrenti e il coro è stridente.

Francesco Sarsina, il più antipatico della manifestazione, canta di nuovo “Nel tuo sorriso”. Mi accorgo che il testo, oltre alla parola “sorriso”, contiene anche le parole “respiro” e “cuore”. Basterebbe questo per una denuncia all’autorità giudiziaria.

“L’unica”, cantata dai Perturbazione, si conferma un pezzo originale, ironico e gradevole anche sul piano musicale. Francesco Renga ricanta “Vivendo adesso”. Conferma la bravura di interprete, la bella voce. È un bel ragazzo e sicuramente fa impazzire le ragazzine, ma io non sono gay e lo giudico solo come cantante. Il pezzo non è il peggiore sentito al festival, ma lascia una traccia profonda non più di qualche millimetro.

Riccardo Sinigaglia, quello del piercing sul sopracciglio, canta “Prima di andare via”. Mi viene la facile battuta: era meglio se andava via prima di cantare. Aria da protestatario del ‘68, testo vagamente psichedelico. Lo affianca una bassista che forse è la sua ragazza, considerati gli sguardi che si scambiano all’’inizio e alla fine. Mi è simpatico, in fondo. Peccato che cantando dia l’idea di un bambino che dice alla mamma “Non l’ho rubata io la Nutella.”

Renzo Arbore porta una ventata di follia geniale, di ironia surreale, di simpatia coinvolgente e ineffabile. Fa impazzire di gioia e allegria il pubblico, e anche me. Poi, ahimè, riprende ancora la gara.

Noemi ritorna con “Bagnati dal sole”, e dopo Renzo Arbore quella frase idiota “siamo qui a un passo da noi, bagnati dal sole” che c’è nel testo sembra ancora più idiota. Il coro dice “eho, eho”, la melodia non va da nessuna parte. Peccato, perché a parte i capelli sempre di un rosso allarmante, la fanciulla ha del fascino e un ottimo temperamento d’’interprete.

Antonella Ruggero ripropone “Da lontano”. Forse il titolo vuole giustificare il fatto che, dopo i versi iniziali, quando comincia a cantare davvero, tutta presa dai suoi acuti e dal suo birignao, non fa capire una parola del testo. La melodia si conferma lenta e lagnosa.

Arisa stasera il pettorale non lo esibisce. Forse non vuole che le si raffreddi visto che canta “Controvento”. L’oboe solista non riesce a dare spessore al pezzo, dalla melodia scontata e dal testo sgrammaticato (“come se il mondo è contro di te”) e infarcito di rime troppo facili.

Ron mi risolleva un po’ col suo “Sing in the rain”. Il riascolto mi conferma che fra quelle in gara è la canzone che preferisco. La gara dei cosiddetti “campioni” finisce con Giuliano Palma, che ha dismesso la mise da beccamorto. Ripete “Così lontano”. Il testo presenta qualche bizzarria semantica, ad esempio: “avevo già deciso di menticarti”. Nessuno dei miei vocabolari riporta il verbo “menticare”. Vabbè, sarà una licenza poetica. O forse voleva dire “avevo già deciso di dimenticarti”, ma il primo “di” non gli ci stava. Però la musica si conferma accattivante, nel ritmo soft rock e nella melodia dal sapore anni ‘50. Palma è l’ultimo dei cosiddetti campioni in gara, ma temo di dover ascoltare la gara dei giovani.

È quasi mezzanotte, e ci sono pure degli altri ospiti. I miei ventiquattro lettori dovrebbero farmi un monumento. Prima ci sono altri due ospiti. Luca Parmitano, così candidamente sincero nel racconto della sua esperienza sulla Stazione Spaziale, ha dato di gran lunga più emozione di molti dei cantanti in gara. Poi si è esibito Daniel Rice, solo voce e chitarra. Bravissimo. Canta l’americano liquido della West Coast, difficile da capire ma tanto musicale. La maggior parte dei nostri cantanti, temo, non possiede il talento necessario per simili performance.

Arrivano i giovani. Iniziamo male: un rapper un ragazzino, tale Rocco Hunt. Nome d’’arte? Se sì, cretino come pochi. Rap in napoletano: “Nu juorno buono”. Il solito temino da terza media. Filastrocca con buoni sentimenti, cartoline, protesta patinata, dialetto napoletano annacquato. L’’argomento: basta con la Terra dei fuochi, questa è la terra del sole, oggi è un bel giorno, sorridiamo. Insomma, il solito “chi ha avuto ha avuto ha avuto, chi ha dato, ha dato ha dato.”… Oddio, proprio non lo reggo.

Segue Veronica De Simone, bionda pertica tatuata. Canta “Nuvole che passano”. La voce si spegne sul finire dei versi. Che accidenti dice? Ah, ecco: “voglia di morire”, “la luce accesa”, “cuore di gabbiano”, “stelle che cadono”, eccetera: l’’autore deve aver letto le mie istruzioni per scrivere una canzone d’’amore degna del Festival di Sanremo. Le scoppia anche qualcosa dentro il cuore, ma purtroppo sopravvive e porta a termine l’’esibizione. Per giunta, la melodia è qualcosa di terribile per l’ovvietà. Se passa il turno questa, giuro che le prossime serate le passo ascoltando il “Gottesdammerung” di Wagner.

Terzo giovane: De Niro che canta “1969”. Al solito, non si capisce una parola. Ha un modo orribile, mentre canta, di sollevare lo sguardo rovesciando gli occhi. Dovrebbero arrestare gli autori di una canzone così priva di senso sotto ogni profilo. Ultimo (spero) tale Vadim. ‘Sti giovani sono proprio patetici, con questi nomi d’arte un po’’ del cavolo. Vadim canta “La modernità”. Un altro testo assolutamente sconclusionato. In compenso, però, la musica non vale niente. Se questi quattro rappresentano il futuro della musica leggera italiana, ho ragione a preferire il revival. E Wagner.

È finita! La classifica provvisoria dei campioni vede ultimo il rapper viceparroco e mi sta bene. Ron è solo tredicesimo: mah. Nessun problema per gli altri: quarti i Perturbazione, primo prevedibilmente Renga. Fra i giovani vanno avanti il rapperino napolitano e De Niro. Doppio mah. È l’una, muoio di sonno, vado a nanna. Spegnendo la luce mi chiedo: ma chi me lo fa fare? Poi mi rispondo: il gusto di criticare.

Mi addormento ghignando perfido e canticchiando Grande figlio di p… degli Stadio.

Giuseppe Riccardo Festa

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