Sanremo 2014: A tutto c’è un limite!

Stasera mi sono messo davanti al televisore un po’ prima ed ho avuto modo di seguire un pochino la rubrica pre-festival di Pif che intelligente, ironico e simpatico, ha anche mostrato le immagini del suo incontro, martedì, con Beppe Grillo che con la sua consueta eleganza e cortesia arringava la folla fuori dal teatro Ariston. L’ha liquidato con una battuta: «Madonna, quanto sputa!». Grillo stava attribuendo alla RAI la colpa di tutti i malanni dell’Italia. Presumo che fra quei malanni includesse anche i cachet milionari che per anni gli ha versato, ed il fatto che senza la RAI di lui nessuno avrebbe mai sentito parlare. Ma i miei ventiquattro lettori si aspettano che io racconti loro cosa penso delle canzoni in gara, non che metta in evidenza le incongruenze di uno sputacchiante demagogo. Parliamo dunque della seconda serata, che per quanto riguarda la competizione ha inizio con Francesco Renga. Il suo primo brano è “A un isolato da te”. Secondo una sciagurata tradizione inaugurata da Claudio Baglioni, il pezzo parte troppo basso, e il significato delle parole fatica a superare la griglia del microfono. Mi arriva però qualche verso che si conclude con un “che”. La cosa mi indispone, perché detesto i versi che si concludono con un “che”. Però il pezzo non è sgradevole e la voce di Renga non è male. Renga prosegue con “Vivendo adesso”, che è decisamente migliore del primo pezzo: più interpretabile, testo più complesso. infatti passa il turno. La seconda serata comincia meglio della prima. Anche perché non ci sono gli intoppi grilleschi e sociologici che hanno funestato la prima. Il secondo cantante in gara è Giuliano Palma, che si presenta in una tenuta che dà un po’ sul beccamorto. Esordisce con “Così lontano”, dal ritmo da buon vecchio rock, quasi un twist. Percepisco qualche problema del cantante con l’intonazione. Il testo è squinternato, ma la canzone simpatica. È poi la volta di “Un bacio crudele”. Pezzo decisamente più R&R. Testo inverecondo ma gran bel ritmo, melodia prevedibile e forse per questo simpatica. Io sceglierei questa, ma passa la prima. Arriva Noemi, splendidi occhi, capelli di un rosso orrendo, travestita da uovo di pasqua. Canta “Un uomo è un albero”. La similitudine mi pare un tantino azzardata. Sul piano melodico non si capisce dove vuole andare. Presenta poi “Bagnati dal sole”. Insopportabile il testo, melodia insulsa. A dispetto del suo entusiasmo nell’interpretarli, i pezzi sono insignificanti. Io pronostico che passerà la seconda e stavolta ci azzecco. Ma una vale l’altra. Renzo Rubino, forse per contrastare il suo cognome, indossa, sotto pantaloni alla saltafossi, orrendi calzini verdi. Esordisce proponendo “Ora”, una coso melensa. Non so se la melensaggine stia nel pezzo o nell’interprete. Comunque, che canzone scema! A seguire, esegue “Per sempre e poi basta”. Bell’ossimoro nel titolo. Ma perché una tonalità così evidentemente troppo bassa? Comunque una cosa triste che vorrebbe essere romantica. Solita melodia senza capo né coda, nella quale però l’interprete s’infervora in maniera esagerata. Penso che vorrebbe andare avanti con questo pezzo, mentre io spero che, visto che una deve passare, passi la prima. Ci azzecco anche stavolta. E arriva Ron, uno che ci sa fare davvero, che ha scritto cose egregie come “Piazza Grande” e “Attenti al lupo” che poi sono diventate successi di altri, tipo Lucio Dalla. Ci sa fare, si vede e si sente. Comincia con “Un abbraccio unico”. Testo fuori dagli schemi anche se parla d’amore. Pezzo intenso e gradevole. Ancora più gradevole è il secondo pezzo, “Sing in the rain”, una simpatica ballata folk. Difficile scegliere: per la prima volta mi piacciono entrambe le canzoni. Per l’allegria scelgo la seconda. Evviva, ci ho azzeccato! Ed ecco Riccardo Sinigaglia. Comincia con “Prima di andare via” il pezzo è abbastanza originale ma la voce denuncia qualche incertezza. Nell’insieme un pezzo gradevole. Rovina tutto col secondo pezzo, “Una rigenerazione”, che sembra una prolunga della prima. La voce ha un che di sgradevole, tutta di gola. Che orrore quel piercing sul sopracciglio. Alla fine è una lagna. Meglio la prima. Ci ho azzeccato anche stavolta. Francesco Sarcina mi riesce subito antipatico. Ha un atteggiamento fra il nevrotico e il presuntuoso, tormenta inutilmente l’asta del microfono. Il suo primo pezzo s’intitola “Nel tuo sorriso”. Che fantasia! La canzone conferma il titolo: una cosa velleitaria e dimenticabile, nella musica come nel testo. Ancora peggio va con la seconda canzone, “In questa città”. Anche con lui è difficile percepire la differenza con la prima. Un vero obbrobrio. Il secondo testo in più è decisamente idiota; per quel che vale, passa la prima. Brevi note aggiuntive: nell’opera di riesumazione di salme che a Fazio riesce sempre bene, iniziata martedì con la Carrà, stasera abbiamo visto le gemelle Kessler travestite da sacchi della spazzatura, comunque incredibilmente agili e disinvolte, e quel che è peggio un’intera mezzora di inutile ed eccessivamente beatificante tributo a Claudio Baglioni (Fazio nutre verso Baglioni un’incomprensibile venerazione), che ho seguito durante i primi dieci secondi dell’invereconda “Piccolo grande amore”. C’è stata anche Franca Valeri, ma nel suo caso non si tratta di riesumazione, perché Franca Valeri è un essere superiore, incredibile, incantevole; e il siparietto che ha inscenato, in cui l’ha poi affiancata Luciana Littizzetto, è stato uno dei momenti più alti e commoventi della serata. Sì, lo so, sono parziale. Ma il Teatro è un’altra cosa, e Franca Valeri è la Signora del Teatro Italiano. Ero comunque, dopo Francesco Sarcina, al limite della sopportazione. Con sgomento, a mezzanotte e dieci ho sentito Fabio Fazio annunciare che ora cominciava la competizione delle nuove proposte. Chiedo perdono ai miei ventiquattro lettori: non ce l’ho fatta, e sono andato a letto. Parlerò delle nuove proposte che avranno passato il turno. L’arte vale bene qualche piccolo sacrificio, ma a tutto c’è un limite, no? Giuseppe Riccardo Festa

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