C’è qualcosa di malato in una società quando tanta gente, di fronte a una tragedia come quella di Rimini, col primo pensiero non va alle vittime – in questo tragico caso la ragazza e la transessuale stuprate, e il ragazzo pestato – ma ai criminali che hanno perpetrato quello schifo di reato e si frega le mani di contentezza: si tratta di nordafricani, e dunque il suo razzismo può sfogarsi ad alta voce. Imbaldanziti, questi sciacalli possono urlare la loro equazione: immigrato uguale arabo o africano, uguale clandestino, uguale musulmano, uguale stupratore, uguale assassino, eccetera eccetera. Gli imbecilli, da sempre, vivono di semplificazioni e di generalizzazioni.
Succedeva anche quando quell’equazione colpiva noi meridionali, ve lo ricordate, miei amati ventiquattro lettori? Per certi signori eravamo (per molti ancora lo siamo) tutti sporchi, ladri, fannulloni, mafiosi, e chi più ne ha più ne metta.
Io, come tutti, quei quattro miserabili li voglio vedere condannati al massimo della pena, a carcere duro, in isolamento diurno e notturno, e senza speranza di attenuazione del rigore che si meritano. Ma non perché sono nordafricani. Debbono pagare senza sconti il loro crimine perché sono quattro luridi e miserabili delinquenti, quattro balordi che la società deve tenere al sicuro per evitare che facciano ancora del male. Voglio che siano puniti esattamente come gli ex mariti, i mariti o i compagni ed ex compagni italiani che picchiano e ammazzano le donne, come i maiali italiani che stuprano i bambini, come i corrotti italiani che distruggono il nostro tessuto sociale, come i mafiosi italiani che avvelenano il nostro Sud, come gli evasori fiscali italiani che ci succhiano il sangue.
Io mi ricordo troppo bene gli insulti che ho ricevuto, da ragazzo: per gli imbecilli, in quanto calabrese, per definizione ero anche un mafioso e avevo un coltello in tasca. Perciò non posso condividere la voglia di far di ogni erba un fascio che accomuna chi, non importa se dagli scranni del Parlamento o da un post su Facebook, urla contro gli immigrati, indiscriminatamente, per dare fiato ai suoi ottusi e beceri pregiudizi.
Soprattutto, vorrei che qualcuno si ricordasse delle vittime; vorrei che si spendesse una parola d’amore per loro.
Io continuo a pensare all’orrore che hanno subito, al disgusto, alle lacrime, al dolore che li ha soffocati e ancora probabilmente li soffoca. Vorrei che ricevessero il pensiero d’amore che noi, miei affezionati ventiquattro lettori (anche voi, ne sono sicuro) dedichiamo loro con un fraterno abbraccio ideale.
Ma non ci pensano gli sciacalli che sfruttano ululando queste tragedie: le vittime sono solo, per loro, lo strumento e la scusa per sputare il loro becero veleno razzista.
Non può esserci una parola o un pensiero d’amore, in chi è accecato e instupidito dall’odio.
Giuseppe Riccardo Festa
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