
di Enrico Iemboli
All’indomani di una competizione elettorale la maggior parte dei partiti difficilmente ammette di aver perso, ognuno a modo suo ha vinto.
Un vecchio vizio della politica che si perpetua nell’indifferenza generale.
Lo stesso rito si è ripetuto all’indomani del “referendum” di giugno che ha registrato una affluenza alle urne del 30,06 % con dichiarazioni dei leader dei partiti e delle coalizioni che dopo l’esito del voto (negativo quasi per tutti) hanno cercano di nascondere le loro difficoltà rincorrendo al solito artificio contabile per poter concludere che nessuno ha perso.
Dovremmo preoccuparci di questo sistema malato se si pensa che alle politiche l’astensionismo ormai supera il 50% ed al referendum ultimo il 70% dei cittadini non ha votato.
Quando i principi democratici come la partecipazione e la rappresentanza cominciano a venir meno e quando i cittadini perdono la fiducia nella capacità del sistema politico di rispondere alle loro esigenze, vuol dire che la stessa democrazia è in crisi.
E’ da anni che la classe dirigente del Paese non si chiede perché la gente non va a votare, purtroppo a chi amministra e governa va bene così perché può continuare indisturbato a curare il proprio “rendiconto”.
Il sistema elettorale attuale permette a questi privilegiati di non dover dare conto a nessuno del loro operato se non al proprio segretario e/o leader che decide per il loro destino politico in quanto l’attuale pessima legge elettorale affida a lui il potere di selezionare e scegliere chi candidare e chi no.
Gli italiani sono solo osservatori ed esecutori e devono andare a votare per una lista dove l’ordine è stato predisposto da altri e sulla quale il cittadino non può esprimere nessuna preferenza.
Ad oggi nessuno politico e nessun partito vuole seriamente cambiare questa balorda legge elettorale.
Ma attenzione, il perpetuarsi di questo sistema alla lunga non si sa dove ci porterà, l’usura quotidiana della pazienza degli italiani può diventare un pericolo tanto silenzioso quanto pericoloso, anche perché i partiti hanno difficoltà a mantenere una base del consenso e di rappresentare in modo efficace gli interessi dei cittadini, sono sulla via dell’eclissi anche perché la maggioranza di loro non ha leader culturalmente e istituzionalmente validi.
Il referendum di giugno è stato posto con quesiti incomprensibili ed ha generato confusione nella mente degli italiani che si sono rifiutati di ri-legiferare su materie già deliberate dal Parlamento. L’esercizio della democrazia comporta fare buon uso dello strumento referendario ponendo agli elettori quesiti di interesse generale e a cui sia possibile dare una risposta anche senza avere competenze specifiche.
L’italiano si reca alle urne se ha la sensazione che il suo voto può essere importante e può contribuire alle risultanze finali.
C’è da dire che la “crisi della politica” non è un fenomeno solo italiano ma fa parte di un processo più ampio di mutamento sociale e culturale che sta interessando molti Paesi.
Un’opportunità per riflettere sui modelli di governo e per trovare nuove forme di partecipazione e rappresentanza.
Enrico Iemboli
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