Poesie, contaballe ed osterie

Come al solito, i poeti avevano già visto e previsto tutto: prendete ad esempio Cesare Pascarella: amico di d’Annunzio, apprezzatissimo da Croce, è vissuto a Roma fra il 1858 e il 1940 ed ha scritto diecine e diecine di sonetti, per lo più in dialetto romanesco e di ambientazione popolare. I più divertenti e istruttivi, almeno a mio modesto parere, sono quelli de La Scoperta de l’America in cui in un’osteria, fra un bicchiere di vino e l’altro, un narratore illustra a un uditorio che lo segue a bocca aperta la vera storia del primo viaggio di Cristoforo Colombo attraverso l’oceano Atlantico.

Il narratore è il tipico ignorantone presuntuoso da bar, quello che, si direbbe oggi, si è laureato all’università della vita. Ha orecchiato qua e là qualche notizia, l’ha capita male e la racconta peggio. Il risultato, nel suo caso, è esilarante.

Pascarella lo fa parlare in prima persona durante l’intera sequenza di cinquanta sonetti, fra i versi dei quali sono epici quelli dedicati all’incontro degli esploratori europei col  primo indiano d’America: Se fermorno. Se fecero coraggio… / – A quell’omo! je fecero, chi sète? – / Eh, fece, chi ho da esse? So’ un servaggio. E si conclude con un’orgogliosa esaltazione del genio italico e di Colombo in particolare: Lui perché la scopri? Perché era lui. / Si invece fosse stato un forestiere / Che ce scopriva? Li mortacci sui!

L’uditorio del nostro adorabile e presuntuoso narratore ascolta, dicevamo, a bocca aperta. Non è evoluto e scolarizzato come noi, che non ci accontentiamo di un racconto fantasioso e raffazzonato, divertente quanto si vuole ma sempliciotto e semplicistico: noi siamo consapevoli di quanto in realtà l’impresa fu complessa, esaltante per certi versi e dolorosa, anche tremendamente tragica per altri. Da chi pretende di possedere “la verità”, noi, pretendiamo documentazione, fatti, prove inoppugnabili. Non ci affidiamo, noi, al primo tizio che passa, venuto fuori dal nulla, per fargli raccontare quello che gli pare e prenderlo per oro colato; meno che meno, faccio per dire, per gestire il nostro destino e la nostra vita.

Vero?

Lo sappiamo, noi, che la Storia, la Politica, la Scienza, sono molto più complicate di una narrazione semplificata e distorta quale può essere quella di un narratore da taverna di poca cultura, interessato a incantare l’uditorio con battute facili e soluzioni semplici: tipo, allargando il discorso, il dare la colpa di tutto quello che succede a fantomatici quanto fasulli Savi di Sion o inventare responsabili sempre diversi da noi e preferibilmente stranieri – un esempio a caso, i Francesi – facendoli incazzare di brutto (poco importa se nel Paese di quegli stranieri lavorano centinaia di migliaia di nostri connazionali) per ogni guaio, problema, difficoltà e disagio per i quali forse, invece, dovremmo sommessamente fare un mea culpa.

Noi non diamo retta al primo cialtrone che, senza uno straccio di esperienza lavorativa, senza cultura, senza prove, senza niente, si mette a sparare sentenze su tutto e su tutti, facendolo magari pure ministro.

Noi non siamo boccaloni come l’uditorio dell’osteria romana che si lascia incantare dal simpatico contaballe inventato da Cesare Pascarella.

Vero?

Giuseppe Riccardo Festa

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