Nel libro, di Mauro Santoro, ritrovo un sentimento molto comune ai tempi d’oggi.

Con molto piacere e interesse ho letto l’ultima “fatica” letteraria di Mauro Santoro, Sindaco di Terravecchia, nonché appassionato cultore da tempo delle vicende storiche del territorio. Il testo, trovato in edicola, “L’autarchia tessile del regime fascista”, edito da “Editoriale progetto 2000”, mi ha dato la possibilità di scoprire e valorizzare un’altro affascinante spaccato della Cariati attiva e prosperosa di un tempo. Storie, documenti e aneddoti che rafforzano il mio spontaneo e radicato legame con l’area, rispettoso sempre di chi scrive e di chi vive in modo stabile i luoghi. Curioso osservatore del glossario di situazioni, presenti e passate, che caratterizzato stati d’animo collettivi. Il libro é centrato, solo in parte, sulla storia dell’impianto industriale, presente in loco nel periodo 1935/1943, dedito allo sfruttamento della ginestra dalla quale si ricavava una “corposa” fibra tessile. Le testimonianze raccolte dall’autore, e la ricerca attenta dei particolari presso gli archivi locali, evidenziano la storia non troppo scontata dell’azienda che ha rappresentato, però, un momento simbolo della comunità locale, ai molti sconosciuto. Se non solo, perché in un periodo difficile dell’economia ha dato lavoro a ben 140 persone. Forse, e questo Santoro lo argomenta molto bene, la mancata esplosione del progetto industriale é legato a molti fattori, ma più che altro forse, “all’arretratezza sociale dei paesi meridionali, atavicamente legati alle certezze, piuttosto che stimolati ad intraprendere nuovi percorsi”. Un sentimento molto comune ai tempi d’oggi, che favorisce, inoltre, una preoccupante sensazione di vuoto, precarietà e di visone del futuro, con la quale si fanno i conti quotidianamente. Non entro volutamente nell’analisi approfondita dell’opera – sarebbe necessaria una riflessione più meticolosa e non é da me modesto recensore – che per il modo scorrevole con la quale si dipana, merita la lettura da parte di tutti coloro che si mostrano curiosi nei confronti dei luoghi che vivono. Non posso non accennare al resto che arricchisce l’opera di Santoro. Mi riferisco alle ricche argomentazioni del professore Franco Liguori che in modo sapiente e articolato, scrive della vita sociale e amministrativa di quegli anni. Un corredo che permette di fotografare persone e fatti di un tempo. Ma non spetta di sicuro al sottoscritto valorizzare quello che il noto saggista Liguori rappresenta per il territorio, grazie ai suoi lavori conosciuti e apprezzati di là delle mura domestiche. Vorrei solo accennare a un’idea con la quale “partecipo” alla possibile valorizzazione dell’opera di Mauro Santoro. Sarebbe simpatico e pregnante, infatti, rendere visibili con delle targhe episodi e strutture simbolo che hanno segnato la storia di un tempo di Cariati e dei Comuni vicini. Una sorta di “memoria parlante” dei luoghi, teatro di vicende che hanno segnato la storia locale. Anche questo significa valorizzare le gesta di una comunità che in un periodo non troppo lontano ha assunto un ruolo degno della sua forza e della caratterizzazione delle sue bellezze paesaggistiche e storico culturali. Insomma, come scrive in miniera lungimirante nella nota editoriale, Demetrio Guzzardi, “in molti continuano a pensare che la grande storia non abbia riguardato i nostri paesi del Sud Italia” e, invece, luoghi quanto Cariati, Scala Coeli e Terravecchia hanno scritto “importanti pagine … del cammino dell’umanità”. Speriamo che le cose volgano presto nel senso auspicato! Nicola Campoli

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