LEGAMBIENTE CALABRIA E’ CON GLI AGRICOLTORI CHE PROTESTANO PER I DANNI DA CINGHIALE

Chiediamo alla Regione di cambiare nella gestione della caccia in mano alle lobby dei cacciatori che operano nel loro esclusivo interesse

Proponiamo una Class Action contro un sistema che spreca risorse economiche e favorisce la perdita di biodiversità

 

Esprimiamo la nostra solidarietà e vicinanza agli agricoltori del “Comitato per la difesa della dignità dell’agricoltura” che hanno promosso a Maierato (VV) il 31 Agosto la manifestazione “Fateci Seminare” contro la mancanza di politiche per la gestione del cinghiale e il sostegno al settore agricolo che subisce danni enormi. I problemi di carattere economico e sociale, oltre che di carattere ecologico, dovuti ai continui danneggiamenti delle colture agricole causati dai cinghiali, hanno innescato crescenti ostilità alla presenza della fauna selvatica in generale e insofferenza da parte della comunità residente e degli operatori economici, agricoli e turistici.

Siamo solidali con gli agricoltori perché siamo tutti vittime della non gestione da parte della Regione Calabria di un fenomeno causato da politiche venatorie sbagliate di cui paghiamo le conseguenze: gli agricoltori per i danni alle loro attività, gli automobilisti che rischiano la loro incolumità fisica a causa degli incidenti stradali provocati da collisioni con gli animali, tutti noi cittadini che dobbiamo subire un sistema di gestione delle attività venatorie che dilapida soldi pubblici e minaccia la conservazione della biodiversità.

La presenza incontrollata del cinghiale in ogni parte del territorio, sia nelle aree vocate ma soprattutto in quelle non vocate dove l’animale non può assolutamente essere presente, è un fenomeno che riguarda tutto il territorio nazionale, ma questo non giustifica l’inerzia o la superficialità con cui viene affrontato il problema, ed anzi evidenzia come la soluzione è comune perché unica è la causa del proliferare della specie in tutto il Paese. Le cause sono le politiche venatorie sbagliate messe in atto dalle istituzioni preposte e la responsabilità è esclusivamente di una classe politica di ogni schieramento che ha lasciato mano libera ai cacciatori. Per questo apprezziamo che si dica basta ai cacciatori e si richiedano politiche sostenibili per la gestione della fauna selvatica. Inoltre pensiamo che i cacciatori che hanno creato il problema del sovrappopolamento di una specie, definita invasiva, non possano essere quelli che vengono chiamati a risolvere il problema.

Diciamo basta a una gestione esclusivamente venatoria del cinghiale e sosteniamo la richiesta di mettere in atto un modello innovativo per il controllo di una specie dannosa per l’agricoltura. Lo diciamo anche per la biodiversità: il cinghiale si adatta meglio ai cambiamenti climatici a scapito di altre specie più sensibili e di maggiore valore ecologico.

Servono piani di gestione della specie, conformi alle linee guida emanate dall’ISPRA che prevedono il selecontrollo. Si deve dare attuazione ai Piani di gestione del cinghiale, implementando le catture e gli abbattimenti con personale autorizzato ed avviando al contempo la sperimentazione di una filiera dell’utilizzo delle carni di cinghiale, predisponendo e allestendo adeguati centri di raccolta e di lavorazione delle carni ai sensi della Direttiva Comunitaria 853/2004. Interventi che bisogna effettuare, con le dovute interpretazioni del caso, sia nelle aree protette che al di fuori di esse per non rendere inefficaci i Piani di gestione.

Occorre comunque, in questa sede, dire qualcosa sulle politiche venatorie che mette in campo la Regione Calabria, che gestisce un settore in maniera disastrosa con il solo scopo di alimentare il potere dei cacciatori e delle associazioni venatorie che in maniera poco trasparente e clientelare gestiscono gli Ambiti territoriali di Caccia (ATC) e le relative risorse che ricevono. Come al solito la regione Calabria ricorre alla preapertura della caccia anticipandola alla prima settimana di settembre. Si tratta di una possibilità che prevede la legge 157/92 e non un obbligo che la Regione utilizza sempre ogni anno, a prescindere da com’è stata la stagione estiva, e soprattutto senza evidenze scientifiche che giustifichino la preapertura.

Si può interrompere questa spirale viziosa? Si può finalmente stabilire che le scelte si fanno sulla base di dati scientifici e non sulla base delle cambiali politiche che la casta dei cacciatori deve riscuotere come atto dovuto da funzionari e soprattutto politici. La gestione della fauna nella nostra Regione è completamente nelle mani della lobby dei cacciatori, sono loro che decidono dove, come e quando cacciare mentre i funzionari fanno da passacarte e ignorano i pareri espressi da Ispra e dal mondo scientifico. Gli ATC sono da bonificare da cui speriamo che anche gli agricoltori, che li co-gestiscono insieme ai cacciatori, prendano come noi le distanze. Noi abbiamo preso le distanze non nominando nessun nostro rappresentante in seno agli ATC e, in attesa della bonifica che può fare anche la giustizia amministrativa in vece della classe politica complice, auspichiamo che tutti ne prendano le distanze chiedendone una revisione totale visto il loro fallimento. 

La riforma e bonifica degli ATC non è indifferente per risolvere il problema del sovrappopolamento del cinghiale, non soltanto perché l’ATC di Vibo Valentia in maniera spudorata ha chiesto agli agricoltori danneggiati il pagamento per istruire la pratica di risarcimento, ma perché devono essere gli stessi ATC a pagare i danni causati dalla fauna selvatica in eccesso.

E ci riferiamo alla recente decisione del Consiglio di Stato, pubblicata il 5 luglio 2018, che addossa ai cacciatori l’onere risarcitorio dei danni prodotti dalla fauna selvatica alla produzione agricola e zootecnica. Poiché la normativa sulla caccia rende direttamente compartecipi i soggetti interessati ad un aspetto ludico della vita associata, ai fini della migliore gestione della risorsa costituita dalla selvaggina cacciabile, espressamente dichiarata bene indisponibile dello Stato. I giudici, nel caso, hanno stigmatizzato la natura esclusivamente “ludica” della caccia, che non può ripercuotersi a carico di terzi (le produzioni agricole e zootecniche), per cui gli organismi a cui è affidata la gestione pratica ed operativa della caccia (e cioè gli ATC) devono applicarsi con strumenti di gestione diretta (piani di prelievo) ed indiretta (sistemi di prevenzione) al fine di ridurre al minimo la causazione dei danni che, qualora risultino eccessivi rispetto al fondo appositamente stanziato dalla Regione non possono che essere pagati dagli ATC stessi, in ragione della loro inefficace gestione. E, qualora gli ATC non dispongano di altre risorse, ne viene consequenziale, che l’unica fonte per sostenere i risarcimenti eccedenti è costituita dalle quote di iscrizione/ammissione dei cacciatori negli ATC. In sostanza il Consiglio di Stato ha ragionato così: i cacciatori si divertono, questo divertimento non può cagionare danni, se ciò accade vuol dire che non c’è stata capacità o volontà di contenere la fauna selvatica in eccesso e dunque devono pagare i danni che questa arreca. Si badi, che questa recente sentenza del Consiglio di Stato non è affatto una novità giurisprudenziale, giacché anche la legge 157/1992 detta precise regole circa i compiti e la gestione economica degli ATC, posto che ai sensi dell’art. 14, questi “promuove ed organizza le attività di ricognizione delle risorse ambientali e della consistenza faunistica, programma gli interventi per il miglioramento degli habitat, provvede all’attribuzione di incentivi economici ai conduttori dei fondi rustici per la ricostituzione di una presenza faunistica ottimale per il territorio; per le coltivazioni per l’alimentazione naturale dei mammiferi e degli uccelli soprattutto nei terreni dismessi da interventi agricoli; per il ripristino di zone umide e di fossati; per la differenziazione delle colture; per la coltivazione di siepi, cespugli, alberi adatti alla nidificazione; per la collaborazione operativa ai fini del tabellamento, della difesa preventiva delle coltivazioni passibili di danneggiamento, della pasturazione invernale degli animali in difficoltà, della manutenzione degli apprestamenti di ambientamento della fauna selvatica”. E sono comunque tenuti alla «erogazione di contributi per il risarcimento dei danni arrecati alle produzioni agricole dalla fauna selvatica e dall’esercizio dell’attività venatoria nonché alla erogazione di contributi per interventi, previamente concordati, ai fini della prevenzione dei danni medesimi».

Perciò pieno sostegno alle richieste degli agricoltori per poter continuare le loro attività di semina senza l’incubo dei danni da cinghiale, e al tempo stesso noi siamo disponibili a mettere in campo una richiesta di Class Action contro chi gestisce gli ATC in Calabria insieme alle forze sane che per fortuna sono ben presenti nella nostra terra.

Dott.ssa Filomena Ierardi

Responsabile Comunicazione Legambiente Calabria

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