Cara sindaca Ceccardi,
non si preoccupi: la perdoniamo per le sue affermazioni sui medici calabresi. E la perdoniamo perché non sa quello che dice.
No, non la prenda come un insulto. La consideri per quella che è: una lucida consapevolezza.
Vede, è lapalissiano che lei non ha un’approfondita conoscenza di quella che è la situazione sanitaria in Calabria e non conosce i professionisti che lavorano nella nostra regione. Come non sa che se la situazione è critica dipende da una serie di vicende e decisioni politiche che negli anni non hanno fatto di certo gli interessi della popolazione. Insomma, la grave condizione che viviamo non può essere attribuita evidentemente a medici, infermieri, tecnici e operatori sanitari in genere. Per questo la perdoniamo. E lo facciamo con la serenità e il sorriso con cui ascoltiamo da troppi anni considerazioni inconsapevoli e frettolose come la sua.
Mi sarei aspettata, invece, che nelle vesti di donna delle istituzioni trovasse ingiusto che, a parità di impegno, alcuni medici guadagnano di più e altri di meno in base alla regione nella quale prestano il loro servizio. E che si indignasse per questo. Perché, vede, le disuguaglianze in questo specifico contesto riguardano i medici. Ma assomigliano molto a quelle che riguardano, tanto per fare un esempio, le donne. Le quali, a parità di competenze e di ruolo, in Italia percepiscono uno stipendio inferiore a quello degli uomini.
Sì, la situazione sanitaria in Calabria non è rosea. Non è eccellente. Non è neanche accettabile: è drammatica. Sfiora i limiti dell’incostituzionalità, perché non sempre viene garantito alle nostre comunità il diritto alla salute. Scarseggiano le strutture adeguate o specializzate. E siamo costretti di frequente, quando ci ammaliamo davvero, a partire per cercare salvezza.
Chi lavora in sanità da noi – e si tratta di medici coraggiosi, che hanno scelto di lavorare qui nonostante le incredibili difficoltà – può trovarsi a dover salvare vite senza il supporto di tutti gli strumenti necessari o le attrezzature idonee che si hanno altrove. La maggior parte di loro lavora ogni giorno per fare al meglio il proprio mestiere. E gli scandali, ammettiamolo, sindaca, accadono al Sud quanto al Nord o al Centro. Non lo dico io, lo dicono le cronache. Non sarà difficile per lei essere d’accordo con me sul fatto che i bravi professionisti esistono in ogni campo e a ogni latitudine. Come ne esistono di meno bravi, in ogni campo e a ogni latitudine. E se sbagliano, devono essere sanzionati.
Le cose devono cambiare, ne siamo consapevoli. E lottiamo, come cittadini e istituzioni, con le esigue, ma dignitose forze che abbiamo perché qualcuno ascolti la nostra voce. Lo facciamo con coraggio, spesso da soli. Sempre più soli, perché nei decenni non sono state attuate politiche adeguate per risollevare davvero le sorti del Sud. Non si può negare, tuttavia, che occorre fare notevoli passi in avanti su alcuni fronti: capacità di governo, progettualità, responsabilità e rigore amministrativo. E posso assicurarle che ci sono fermenti e realtà locali che agiscono in questa direzione.
Però, ancora oggi siamo costretti a emigrare. Un destino che iniziate a conoscere anche al Nord. I vostri figli, come è successo ai figli della Calabria, della Sicilia, della Puglia, della Campania, vanno via. Cercano lavoro e un futuro migliore all’estero. Qualche volta lo fanno per scelta, altre perché obbligati dalle condizioni. E lì capita che debbano confrontarsi con chi li guarda dall’alto verso il basso, che si sentano soli lontano dalla famiglia, alle prese con una cultura nuova e una lingua diversa.
Sappiamo cosa si prova: molti dei nostri figli non lavorano qui. Alcuni dei migliori medici nel mondo sono calabresi. E a volte succede che curino la stessa gente che aveva provato a umiliarli prima che si integrassero o si facessero apprezzare per le loro qualità.
Non ci faccia la morale. È così giovane e vivace per essere vittima di luoghi comuni. Ma venga pure a una delle prossime iniziative che organizzeremo per discutere della situazione sanitaria calabrese. Venga, il mio paese la ospiterà.
Sono sicura che sarà disponibile a battersi con noi per i diritti degli italiani. Che sarà pronta a fare quello che serve per la dignità di questo popolo, che è il suo stesso popolo, il popolo italiano.
Non sto qui a ricordarle, poi, che ogni popolo è popolo del mondo. Che ogni persona è una persona a cui bisognerebbe garantire una vita dignitosa e tutti i diritti alla base della civiltà e della democrazia. Lo sa già. Perché è una donna delle istituzioni, che senza dubbio difende in ogni decisione, azione e intenzione i principi alla base della nostra Costituzione.
Filomena Greco
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