IL “PALLONE TRICOLORE” SECONDO LA RUSSA: UN PALCO PER ARTISTI, NON PER GLADIATORI!

Dietro l’attacco del Presidente del Senato alla nomina di Gattuso si nasconde un’antica contesa culturale: chi incarna davvero l’anima del nostro calcio?

Ignazio La Russa e "Ringhio" Gattuso

Antonio Loiacono

C’è un’Italia del pallone che corre e morde e ce n’è un’altra che danza, inventa e accarezza il gioco. La nomina di Gennaro Gattuso a nuovo commissario tecnico della Nazionale non è solo una scelta sportiva, ma un atto identitario. E le parole con cui il Presidente del Senato, Ignazio La Russa, ha accolto — con riserva — la decisione della FIGC ne sono la dimostrazione.

«Non è giusto considerare Gattuso il simbolo del nostro calcio», ha detto La Russa. Ed è in questa frase, secca e tagliente, che si condensa il nocciolo della polemica. Il calcio italiano, per La Russa, non è quello dell’agonismo estremo, della grinta da marciapiede, del ringhio permanente. Il calcio italiano, per lui, è Rivera che lancia, Baggio che incanta, Del Piero che disegna traiettorie poetiche. È eleganza, intelligenza tattica, fantasia. Non muscoli, ma mente. Non fango, ma velluto!

Dietro l’apparente critica tecnica, infatti, si cela un conflitto simbolico. La Russa non contesta solo un nome, ma un’idea. Gattuso è, nella narrazione popolare, l’uomo della fatica, il calciatore che ha fatto della tenacia un’arte. Un simbolo autentico, forse, ma non quello “giusto”, secondo il Presidente del Senato.

La domanda è bruciante. Se Gattuso non è il calcio italiano, chi lo è? Per La Russa, l’identikit è chiaro: Buffon — che insinua possa aver avuto voce nella scelta — sarebbe stato più rappresentativo. E se proprio si vuole andare in panchina con un nome evocativo, allora “tanto valeva fare Buffon selezionatore”. Ma il discorso si allarga: «I simboli del nostro calcio sono altri. Totti, Del Piero, Cannavaro, Nesta, Inzaghi… e perché no, Zenga».

In questa lista, nessuno con una “vita da mediano” di rottura. Nessun gladiatore. Solo talenti puri, artisti, protagonisti di un calcio considerato “nobile”. Ecco allora che il “18 politico” di La Russa a Gattuso non è legato solo all’esperienza di quest’ultimo ma a ciò che incarna: una visione del calcio meno estetica, più ruvida.

In fondo, la Nazionale è — da sempre — uno specchio in cui il Paese si guarda. Non solo nei risultati, ma nei volti che la rappresentano. La Russa, che da politico conosce bene il potere dei simboli, coglie in Gattuso un messaggio che non gli appartiene. Ed è per questo che interviene, pubblicamente, in una questione che di norma non dovrebbe riguardare le istituzioni.

Ma qui non si parla solo di formazioni e moduli. Si parla di immaginario collettivo, di memoria, di senso estetico. Il “nostro” calcio, per chi la pensa come La Russa, è quello dei piedi gentili, non dei tacchetti affilati. È un’idea romantica, forse anacronistica, ma profondamente radicata in una certa cultura italiana, che mal sopporta il pragmatismo dei tempi nuovi.

Dalla FIGC nessuna reazione. Gattuso, fedele al suo stile asciutto, tace. Non serve rispondere, diranno in molti: basterà parlare sul campo. Ma il dibattito è ormai aperto, e non si richiuderà presto. Perché la domanda resta: che tipo di calcio vogliamo? Quello della poesia o quello della battaglia?

La Russa, nel suo affondo, sembra voler difendere un’Italia del pallone che oggi rischia di apparire sbiadita. Ma quella di Gattuso è un’Italia altrettanto vera: fiera, resiliente, popolare. Forse è proprio questa dualità — tra arte e mestiere, tra grazia e sudore — che definisce il nostro calcio. E allora, più che scegliere un simbolo, dovremmo imparare a convivere con entrambi. Gattuso è già stato campione del mondo. Oggi dovrà dimostrare di saperlo essere anche da bordo campo. A modo suo. Anche se non piace a tutti.

Chi guida la Nazionale guida anche un pezzo del nostro immaginario. E oggi, quel pezzo, parla calabrese e risponde al nome di Gennaro Gattuso. Piaccia o no.

 

 

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