IL MONSIGNORE E LA FAMIGLIA

Monsignor Nunzio Galantino è il segretario generale della CEI, la conferenza episcopale italiana: come dire, in un certo senso, che ne è il primo ministro. In questa veste è intervenuto al programma “In mezzora”, su RAI3, e sul tema delle unioni civili ha rilasciato a Lucia Annunziata dichiarazioni che rientrano negli schemi tipici degli ambienti conservatori, per non dire reazionari, cui purtroppo il clero italiano (e non solo) almeno ai suoi massimi vertici, evidentemente appartiene.

Immancabile, da parte sua, il riferimento all’articolo 29 della Costituzione.

È abbastanza bizzarro che tanti si ricordino di citare la Costituzione soltanto quando fa loro comodo, e con letture parziali. A mons. Galantino vorrei ricordare, per esempio, l’Art. 7, primo comma: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani“. Non per cattiveria, ma perché sia lui che l’intero clero cattolico di questo articolo hanno tendenza a rimuovere forma e contenuto intervenendo spesso, a gamba tesa, sul contenuto delle leggi – esistenti o in fieri – della Repubblica Italiana.

L’art. 29, quello che sta a cuore a monsignor Galantino, recita: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare.

Toh! la Costituzione parla di matrimonio ma non precisa che i coniugi devono essere di sesso diverso! Sarà per questo, forse, che al monsignore ed ai suoi colleghi e seguaci l’idea che degli omosessuali possano sposarsi fa venire l’orticaria? Il monsignore auspica l’attuazione dell’Art. 29, ma su questo punto qualunque coppia omosessuale sarebbe d’accordo: “Lasciate che ci sposiamo” direbbe “e ci faremo in quattro per tenere unita la nostra famiglia”.

È evidente che in realtà Galantino ritiene che si possa parlare di famiglia solo se ci sono un marito e una moglie (di sessi ovviamente opposti) e dei figli. Se ne deduce che a suo parere non solo le coppie omosessuali: anche le coppie etero conviventi, stando alla sua visione, non sono famiglia perché non sono sposate, che abbiano figli o meno; né lo sono quelle sterili che di figli non possono averne (lui da Lucia Annunziata non l’ha detto, ma per lui non sono famiglia neanche le coppie etero – non importa se sposate o no e se con o senza figli – se uno o entrambi i coniugi sono reduci da un divorzio o se hanno preferito sposarsi solo col rito civile).

Ma è un’altra sua affermazione a suscitare la mia curiosità. Eccola: “Chiedo – dice il monsignore – che la politica non sia strabica. Non si può pensare a un governo che sta investendo tantissime energie per queste forme di unioni particolari e di fatto sta mettendo all’angolo la famiglia tradizionale che deve essere un pilastro della società”.

Sono certamente d’accordo sull’idea che le famiglie abbiano bisogno di un maggiore sostegno anche perché, diversamente dal monsignore, ho una personale e quarantennale esperienza dei problemi che le assillano e so di cosa sto parlando. Ma perché, secondo lui, riconoscere dei diritti a qualcuno limiterebbe i diritti di qualcun altro? Non riesco proprio a capire perché riconoscendo a Luca e Mario, o a Giulia e Roberta, il diritto di sposarsi, o almeno di essere riconosciuti titolari di diritti in quanto coppie, si limiterebbero i diritti di Giuseppe e Maria che appartengono al novero delle famiglie cosiddette “tradizionali”.

Giuseppe e Maria debbono certamente essere tutelati, e con loro i figli che avranno; ma vorrei tanto che Galantino si mettesse in testa che tutelare lA coppie di Luca e Mario e quella di Giulia e Roberta non nuoce in nessun modo ai diritti di Giuseppe e Maria.

Se ne faccia una ragione, monsignore: non è la politica, almeno in questo caso, ad essere strabica. È piuttosto lei, non me ne voglia, che si dimostra miope, oltre che spietato.

E incapace di riconoscere l’’amore, al di là dell’’angustia del suo campo visivo.

Giuseppe Riccardo Festa

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