Il ministro Lollobrigida: “Difendiam la nostra etnia, ia, ia, oh!”

Il ministro dell’agricoltura (funzione che ha ispirato il titolo di questo articolo) Lollobrigida torna alla carica e, impavido difensore degli italici valori e costumi, e soprattutto dell’italica etnia, ancora una volta, dimenticando le sue mansioni governative, abbandona per così dire la fattoria, la vanga e le sementi e anziché di colture decide di dedicarsi alla cultura, ovviamente quella italica, per difenderla o meglio, per usare le sue parole, per tutelarla.

E per farlo non ricorre, come ci si aspetterebbe, agli abusati argomenti del passato, ma anzi si appella al Sacro Dizionario Treccani della Lingua Italiana, che questa etnia – etnia, per carità, mica razza – la definisce come “raggruppamento linguistico culturale”.

Ebbene, perdindirindina, stavolta debbo proprio dire che ha ragione: l’etnia italiana, intesa come raggruppamento linguistico culturale, va difesa.

Come il ministro ha sottolineato, la questione non riguarda il colore della pelle né il luogo di nascita: sono la cultura e la lingua italiane che bisogna tutelare. E quindi mi permetto di proporre al ministro qualche modesto suggerimento, che egli potrà a sua volta sottoporre ai suoi colleghi competenti in materia. Per esempio, si potrebbe reintrodurre nelle scuole superiori lo studio della Storia dell’Arte e della Storia tout-court, che i programmi, di recente, hanno preso un po’ a trascurare. Si potrebbe, anche, insistere di più sull’integrazione dei figli degli immigrati, che sono nati qui, sono cresciuti qui, di fatto appartengono al raggruppamento linguistico e culturale italiano, ma ci si ostina a considerare stranieri.

Ma il ministro questa difesa del raggruppamento linguistico e culturale – insomma, dell’etnia – degli italiani l’ha fatta agli Stati generali della natalità, una natalità che in Italia è ai minimi storici, e quindi l’impressione è che, ancora una volta, pur se ha detto che non di razza egli parlava, in effetti al contrario egli proprio di razza stesse parlando, tirando in ballo l’innocente vocabolario Treccani per fare la solita tirata nazionalista tanto cara a lui ed al suo elettorato.

Che poi, se in effetti questo governo (ma anche quelli precedenti) ci tenesse davvero a incrementare le italiche nascite nel senso a lui caro, cioè generate da italiche genti che italiche siano da un adeguato numero di generazioni (quante, poi? Vattellappesca), invece di abbandonarsi a proclami ed a razziste – pardon, etniche – enunciazioni di principio dovrebbe cercare di essere un tantino più fattivo sul piano pratico.

Si sa benissimo che i giovani non fanno figli perché vivono nella precarietà e non hanno redditi adeguati, ma questo governo di garanzie sul lavoro, come ad esempio il reddito minimo garantito, non ne vuole sentir parlare e anzi con gli ultimi decreti ha dato una spinta ulteriore alla crescita del lavoro precario.

Si metta nei panni di una coppia di giovani che vive di contratti a termine, ministro, o addirittura è pagata con i coupon stagionali (da voi reintrodotti) se non in nero; provi a immaginare quanto è facile, per quella coppia, trovare una casa, programmare un futuro, mettere su famiglia, e poi vada a dire a quella coppia che è necessario essere patriottici, è doveroso fare figli, è imperativo difendere l’etnia italiana, beninteso intesa come gruppo linguistico e culturale.

Ho il sospetto, ministro, che quella coppia le risponderà con una poco culturale, ma etnicamente molto italica, pernacchia.

Giuseppe Riccardo Festa

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